Diabete di tipo 1 nei giovani adulti: rottura biografica e vita quotidiana

Nell’ambito della ricerca qualitativa, in sociologia e psicologia della salute si parla spesso della malattia come di una rottura biografica, un evento che in qualche modo spezza la storia che conoscevamo di noi stessi, che mette in discussione le nostre convinzioni, i comportamenti, le assunzioni date per scontate e che richiede una riparazione, che avvenga non tanto sul piano medico ma su quello dell’identità e delle relazioni con gli altri.

Da quando è stata data questa definizione di rottura biografica nel 1982 da Mike Bury, sociologo della salute, ci sono state parecchie discussioni in merito. La malattia cronica rappresenta una rottura biografica, un punto specifico nella storia personale della persona che si ammala, o piuttosto il concetto è da intendersi in maniera più fluida, per esempio come un alternarsi di momenti di normalità e momenti di rottura? La malattia può in determinati contesti essere rappresentata come normale, come qualcosa che non isola dalle relazioni ma costruisce un nuovo tipo di appartenenza?

Nel caso del diabete di tipo 1, una patologia che ha un esordio spesso in età infantile e che diventa parte della vita quotidiana, più che di rottura biografica si può parlare di liminalità, almeno secondo gli autori di un nuovo studio inglese recentemente pubblicato su Sociology of Health & Illness.

Questo studio analizza le storie di 15 ragazzi tra i 16 e i 24 anni, raccolte attraverso focus group e interviste, per comprendere meglio la loro esperienza e valutare se effettivamente raccontano storie di rottura biografica o se emergono modelli narrativi differenti, più prossimi al concetto di liminalità. Questo perché una migliore comprensione del modo in cui i giovani danno senso alla propria esperienza permette di migliorare l’accompagnamento verso una piena autonomia e responsabilizzazione nella gestione della malattia.

Il diabete di tipo 1 come esperienza liminale

Il concetto di liminalità descrive una situazione di tensione in cui i singoli non si collocano propriamente in nessuno spazio, classificazione o definizione, ma in uno spazio intermedio: non sei né di qua (dove ti trovavi prima della diagnosi) né di là (dopo la diagnosi, nella nuova identità di persona con diabete).

I giovani con diabete raccontano storie caratterizzate da un desiderio di normalità, ma anche dall’irrompere delle interferenze causate dal diabete.
Dall’analisi delle interviste emergono 3 temi principali:

  1. Nessuno sa cosa significa essere me (‘Nobody knows what it’s like to be me’)

Una delle peggiori frustrazioni che emerge dalle interviste è quella di essere etichettati o percepiti come “diversi”: questo aspetto sembra essere uno dei maggiori ostacoli nella transizione all’età adulta.  L’importanza di avere una rete sociale capace di comprendere e supportare è – come abbiamo visto in altri articoli – uno degli elementi che permette al giovane con diabete di tipo 1 di sentirsi “normale” e di vivere anche il proprio sforzo quotidiano nella gestione della malattia con serena accettazione, piuttosto che come qualcosa di cui vergognarsi.
Purtroppo, vergogna e senso di colpa legate allo stigma emergono spesso dai racconti e spesso sfociano nel tentativo di nascondere la malattia. È qui che si manifesta la liminalità: le interferenze della malattia vengono accuratamente nascoste nel contesto sociale, dove i ragazzi desiderano mostrarsi come normali, mentre nel contesto privato possono accettare la malattia. La malattia finisce sullo sfondo nelle esperienze sociali, per tornare in primo piano nel privato. Il diabete non viene mai descritto come un’esperienza soverchiante, ma nemmeno come qualcosa di normale, parte dell’identità pubblica.

  1. Sono io contro il sistema medico (‘It’s me against the [medical] system’)

Questo secondo tema riguarda il rapporto con il contesto medico: l’attenzione di medici e operatori della salute costantemente rivolta agli obiettivi di controllo glicemico è vissuta come una minaccia rispetto al desiderio di una vita normale.

Gli intervistati manifestano la difficoltà di comunicare con medici, che si concentrano solo sui valori e non sul perché quei valori possono essere fuori dalla norma, ovvero non considerano le difficoltà che i giovani affrontano nella loro esperienza concreta. Manifestano l’esigenza di una medicina più centrata sulla persona che orientata ai risultati clinici. L’approccio medico per i giovani rappresenta una minaccia all’indipendenza e all’identità, e costantemente riporta l’attenzione su ciò che rende diversi dagli altri.
Anche in questo caso ci viene in aiuto il concetto di liminalità: le visite di controllo e i target clinici rappresentano la rottura, che passa in background nella vita quotidiana a casa, dove in caso di difficoltà si può contare sul supporto della famiglia.

  1. Avere il coraggio di imparare la complessità (‘Daring to learn the complexity’)

L’ultimo tema è quello che riguarda una delle principali difficoltà riscontrate in questa fase di transizione all’età adulta: la sicurezza e il coraggio di imparare la complessità della gestione del diabete, per rendersi indipendenti dai genitori. Non si tratta semplicemente di imparare le indicazioni teoriche, ma di attivare un processo di costruzione di senso che permetta di “possedere” il sapere. Le relazioni con altri giovani con diabete diventano un capitale sociale e umano, una risorsa a cui attingere per attivare questo processo: la costruzione di senso, il processo riflessivo sulla propria e sull’altrui esperienza, avviene collettivamente nel gruppo di pari.
Da un sapere tecnico si passa a un sapere vissuto, concreto e applicabile nel quotidiano, pur nella sua complessità. La liminalità in questo contesto è caratterizzata dalla transizione verso una narrazione di “normale malattia”, l’elemento di rottura dell’esperienza del diabete sta sullo sfondo, ma torna in primo piano nella routine quotidiana.

Conclusioni

Questi 3 temi individuati nelle parole dei giovani intervistati possono essere molto utili per chi si occupa di accompagnarli in questa transizione all’età adulta: maggiore attenzione all’integrazione della gestione del diabete nella vita quotidiana, con tutte le nuove esigenze che questa fase della vita può comportare, medici più centrati sul paziente e non ossessivi rispetto ai valori, maggiore coinvolgimento in attività con il gruppo dei pari sono strumenti e strategie applicabili e facilitanti.

 

A cura di Francesca Memini