UN ALTRO ESEMPIO DI FELICE CONNUBIO TRA DIABETE E SPORT
12 giorni fra i ghiacci
Sei giovani sono partiti per una spedizione alle isole Svalbard, a nord della Norvegia. Uno di loro, Mattia, è diabetico insulinodipendente e ci parla di queste due settimane con gli sci ai piedi, sempre sotto zero, in mezzo a paesaggi insoliti e suggestivi. E con perfetto autocontrollo. Potete rivivere la sua esperienza tappa per tappa sul portale Bayer
Quasi venti chilometri al giorno di traversata con gli sci, trainando, spesso in salita, una slitta pesante una quarantina di chili, con una temperatura media di meno dieci gradi, dormendo sempre in tenda in giornate in cui il sole non tramonta mai. E, per giunta, con la preoccupazione di incontrare i bellissimi, ma pericolosi orsi bianchi. Questo è stato lo Svalbard Ski Tour 2007, la spedizione che sei giovani appassionati di sci-alpinismo hanno affrontato per quasi due settimane, dal 20 aprile all’inizio di maggio, immergendosi nei meravigliosi paesaggi delle isole Svalbard (“coste fredde”, nome eloquente), arcipelago a nord della Norvegia, vivendo un’intensa esperienza in cui alla fine il piacere ha prevalso di gran lunga sulla fatica.
Per uno di loro, però, questi 200 chilometri sui ghiacci hanno avuto un significato particolare: Mattia Tanza, ventisettenne di Clusone (Bergamo), è infatti diabetico insulinodipendente dal maggio 2002 e, dal suo punto di vista, la felice riuscita di questa impresa rappresenta un’ulteriore dimostrazione (non la prima e certo non l’ultima) dell’importanza cruciale del nesso diabete-sport e di quanto l’attività fisica sia benefica e salutare.
Mattia era un amante della montagna sin da quando aveva 17-18 anni: praticava sci-alpinismo prima della diagnosi e ha continuato dopo, anche grazie all’aiuto degli amici dell’Associazione diabetici in quota (Adiq), alla quale si è iscritto cinque anni fa. Il diabete non era un buon motivo per smettere; anzi, si potrebbe dire che era un’ottima ragione per continuare. Con le dovute attenzioni e la necessaria preparazione, naturalmente.
Ma lasciamo parlare il protagonista: “Abbiamo scelto di andare alle Svalbard perché è proprio uno di quei posti che fanno parte della letteratura degli appassionati di altura e luoghi incontaminati. Non era la prima esperienza di questo genere per me: ero già stato in Patagonia nel 2003-2004 e avevo poi partecipato a un’altra spedizione nel Kirghizistan”.
E così il gruppo (con Mattia, Ivan, Pietro, Marco. Gabriele e Giacomo) si è organizzato in piena autonomia, ed è partito da Clusone, per cominciare la sua avventura armato di cartine topografiche, cibo, fornelli, vestiti di ricambio, tende, sacchi a pelo, corde, picozze. ramponi, fucili (contro il pericolo-orsi, che però “per fortuna non abbiamo mai visto, neanche da lontano”), localizzatori satellitari per soccorso in caso di estrema emergenza.
Proteggere l’insulina
Rispetto agli altri, non diabetici, Mattia Tanza aveva però una compagna di viaggio in più, da trattare con cura, l’insulina: “Il primo problema -ci spiega- erano le temperature molto rigide, che potevano far congelare l’insulina. Questo non deve succedere, perché altrimenti non è più utilizzabile. Quindi, non la si può lasciare nello zaino o nel sacco a pelo, bisogna tenerla addosso, a contatto con il calore del corpo; così indossavo una maglietta con tasche in cui tenevo tutta la strumentazione. Il secondo problema era la gestione dello sforzo fisico, che comporta una diminuzione delle dosi di insulina, tenendo conto anche del fatto che il regime alimentare non è quello che si segue a casa. Abbiamo, infatti, dovuto portarci dietro cibi che, associati, avessero lo stesso potere calorico di quelli che si assumono a casa, ma che pesassero meno, perché si trattava di trascinarseli dietro per tutto il giorno. E così grandi scorte di cibi liofilizzati, formaggio, bresaola sotto vuoto, barrette energetiche, frutta secca, muessli, latte in polvere”.
Mattia ha saputo affrontare brillantemente entrambi i problemi (al di là di qualche temporaneo episodio di disagio) perché sapeva bene che cosa doveva fare. In viaggi faticosi come questo (12-13 ore di routine lavorativa quotidiana fatta di marce, montaggio e smontaggio tende, preparazione dei pasti e così via) “si ha sempre una riduzione delle calorie assunte e questo influenza la terapia insulinica necessaria -continua il nostro- Proprio le esperienze passate mi hanno permesso di gestire al meglio la situazione. In queste settimane mi sono trovato a dovere ridurre dell’80% la quantità totale di insulina, il che significa fare molte iniezioni in meno rispetto solito. E’ una situazione che scombussola tutti i parametri a cui si è abituati. Occorre perciò una certa flessibilità e capacità di adattarsi, di cambiare dosaggi e orari a seconda dello sforzo fisico, cosa che può essere frutto di esperienze fatte, oltre che di insegnamenti ricevuti da medici e da amici che si siano trovati in condizioni analoghe. E alla fine è andato tutto benissimo”.
Dieci controlli al giorno
Una delle cose essenziali era dunque l’assiduità dell’autocontrollo glicemico, per avere sempre il polso della situazione e sapere come regolarsi di volta in volta per le iniezioni e per l’alimentazione: Mattia racconta di avere fatto anche dieci verifiche al giorno. Di fondamentale importanza è stato anche l’allenamento specifico, fatto prima della partenza: “Io faccio attività sportiva durante tutto l’anno, con tre allenamenti la settimana -rivela Tanza- e prima di una spedizione come questa, ho cercato di misurarmi con condizioni, se non uguali, almeno simili a quelle che si sarebbero potute trovare sul posto: quindi, molto sci alpinismo sulle montagne di casa, magari in alta quota con temperature rigide”.
Il messaggio che Mattia vuole trasmettere è che, con una adeguata preparazione e una piena conoscenza di sé stessi si può affrontare una spedizione impegnativa come lo Svalbard Ski Tour anche con il diabete: “Se si coltiva una passione come questa e si studiano e si comprendono i meccanismi della sua pratica in rapporto con il diabete, allora si può arrivare a fare cose che pochi altri hanno fatto, proprio come andare per due settimane alle Svalbard”. Nulla è dunque vietato, se ci si prepara una adeguatamente. E allora, non soltanto si superano i rischi, ma si godono anche i benefici dell’attività fisica: “Per un diabetico -commenta ancora Mattia Tanza- essere sedentario è un guaio. E’ importantissimo, quindi, sfruttare la capacità che ha il movimento di favorire un buon controllo glicemico”.
Conclude così il giovane sci-alpinista: “Mi preme dire infine che l’attività sportiva in montagna non deve essere considerata come una impresa estrema. E’ piuttosto un’esperienza che si svolge in un contesto particolare che impone alcuni accorgimenti (a causa del freddo, dell’isolamento eccetera), ma che non preclude a nessuno l’aspirazione di esplorare e vedere posti che potrebbero sembrare irraggiungibili. In realtà, l’attività fisica in montagna permette di imparare a convivere bene con il movimento in funzione del diabete”.