Attenti alla pizza
A parità di carboidrati, chi consuma più lipidi avrà una glicemia più elevata di chi ne assume di meno e dovrà perciò somministrarsi una maggiore quantità di insulina rispetto a chi fa un pasto povero di grassi.
In un recente dossier di aggiornamento (cfr. Tuttodiabete 3/2012) abbiamo affrontato il problema del conteggio dei carboidrati in quanto strumento essenziale per la valutazione della dose di insulina ad azione rapida, da somministrare con una iniezione o con un bolo nel corso della terapia infusionale con minipompa. La dose di insulina necessaria per ottenere un buon controllo postprandiale della glicemia è infatti strettamente dipendente dal rapporto insulina/carboidrati, che presenta ampie variazioni da soggetto a soggetto, passando da valori inferiori a 10 g di glucosio per una unità di insulina a valori superiori ai 15 g. È noto, d’altra parte, che altri componenti della dieta, oltre ai carboidrati, come le proteine e i grassi, possono influire sul fabbisogno di insulina, ma il loro effetto sulla glicemia è abitualmente più tardivo.
Uno studio recente, eseguito in un gruppo di 7 pazienti diabetici di tipo 1 in trattamento infusionale con una minipompa (Wolpert HA et al. Dietary fat acutely increases glucose concentrations and insulin requirements in patients with type 1 diabetes. Diabetes Care 2013; 36:810-816), ha richiamato l’attenzione sul ruolo che i grassi contenuti nella dieta possono svolgere nel controllo della glicemia e nella determinazione del fabbisogno insulinico. Gli autori hanno confrontato, con uno studio incrociato (crossover), un pasto ad alto contenuto di grassi (60 g) con uno a basso contenuto di grassi (10 g), ma con una identica quantità di carboidrati. Hanno monitorato in modo continuo la glicemia e la dose di insulina somministrata tramite un pancreas artificiale nelle 18 ore successive al pasto, rilevando un cospicuo aumento, anche se assai variabile da soggetto a soggetto, del fabbisogno insulinico. Inoltre, nonostante l’aumento dell’insulina somministrata, la glicemia dei pazienti che avevano consumato un pasto ricco di grassi, era più elevata di quella rilevata dopo un pasto povero di grassi.
Questa osservazione trova una conferma nella esperienza condivisa dalla maggior parte dei diabetici secondo cui il controllo della glicemia dopo l’assunzione di una pizza richiede la somministrazione di una dose di insulina assai maggiore di quella richiesta a parità di dose di carboidrati ingeriti.
L’effetto dei lipidi è mediato dalla riduzione della sensibilità insulinica indotta dagli acidi grassi dopo alcune ore dalla loro ingestione, ma altri fattori come la qualità dei grassi ingeriti, la velocità dello svuotamento gastrico, la secrezione di glucagone e la liberazione intestinale di incretine, l’età e il sesso dei soggetti, il loro grado di obesità e la durata stessa del diabete, possono influire sul controllo glicemico determinando un’ampia variabilità di risposta nei diversi soggetti.
Da tutto ciò emerge comunque la necessità di considerare con maggior attenzione il ruolo dei lipidi nel determinismo della dose insulinica introducendo fattori di correzione, peraltro ancora da definire, nel calcolo della dose da somministrare. (P.B.)
Più poveri, più obesi
Secondo i più recenti dati Istat, le persone obese in Italia sono il 10,1% della popolazione, cioè quasi 6 milioni di persone e la tendenza è quella di un costante aumento. La percentuale è leggermente maggiore negli uomini che nelle donne (11,1 % contro 9,2%). Sono considerati obesi quei soggetti nei quali il peso corporeo eccede del 60% il peso forma ideale. Su quella che è ormai da ritenersi una patologia, a sua volta concausa di altre patologie (come il diabete) vuol richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica l’annuale Obesity day, promosso il 10 ottobre dall’Adi – Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica.
L’Adi sottolinea che “l’obesità nei Paesi sviluppati non interessa tutti i segmenti della popolazione nello stesso modo. Nelle società occidentali è più frequente nei quartieri degradati e tra i gruppi con minore livello di istruzione e di reddito. Il reddito e il potere di acquisto familiare influenza i comportamenti alimentari. Gli alimenti più ricchi di zuccheri e addizionati di grassi sono spesso economici, palatabili e convenienti. Negli Stati Uniti una alimentazione corretta è di norma più costosa e non alla portata di tutti, tanto che viene considerato un forte indicatore di rischio obesità il vivere in immobili dal basso valore economico. Lo stesso fenomeno si osserva anche nei Paesi che stanno attraversando un periodo di transizione. In Romania l’obesità infantile è significativamente correlata allo stato socioeconomico. Le cause di tale fenomeno sono lo stile di vita sedentario, le abitudini alimentari e il maggiore contenuto di grassi della dieta. I bambini obesi delle classi meno abbienti mangiano meno frutta. Il fenomeno, relativamente recente per i paesi dell’Est, dei supermercati alimentari al dettaglio e lo scarso potere di acquisto delle famiglie sono fattori in grado di facilitare comportamenti obesogeni”.