Zona di confine: torniamo a parlare di quella condizione borderline, sempre più diffusa, che non è ancora diabete di tipo 2, ma, se non curata, può diventarlo. Vediamo come riconoscerla e affrontarla per allontanare lo sviluppo della patologia conclamata
di Paolo Brunetti, già professore ordinario di Medicina interna all’Università di Perugia
La crescente diffusione del diabete rende necessario il ricorso a una strategia che ne consenta la prevenzione. Ciò è possibile ove si intervenga in una fase della storia clinica anteriore al diabete e che viene perciò definita prediabete. Il prediabete non è, di per sé, una entità clinica definita, bensì una categoria di rischio per lo sviluppo futuro di diabete di tipo 2 e di malattie cardiovascolari. Per questo ne è auspicabile un precoce riconoscimento diagnostico come premessa di un efficace trattamento terapeutico finalizzato alla prevenzione del diabete e delle sue complicanze.
Il prediabete è caratterizzato da specifiche anomalie della regolazione del metabolismo del glucosio che si collocano lungo l’iter che dalla normalità conduce al diabete e che consistono in un aumento della glicemia a digiuno (Ifg, impaired fasting glucose) o della glicemia due ore dopo un carico orale di glucosio (Igt, impaired glucose tolerance) al di sotto della soglia diagnostica di diabete, oppure, infine, in valori di emoglobina glicata intermedi tra quelli considerati normali e quelli diagnostici di diabete. Si può perciò fare diagnosi di prediabete ogni qual volta troviamo una glicemia a digiuno -confermata almeno due volte- compresa fra 100 e 125 mg/dl o una glicemia due ore dopo carico orale di glucosio compresa fra 140 e 199 mg/dl oppure, infine, un valore di emoglobina glicata A1c compreso fra 5.7 e 6.4%.
Tutti e tre i parametri considerati vanno intesi come categorie arbitrarie che si collocano lungo il continuum che dalla normalità porta al diabete e, in quanto tali, sono in grado di predire la futura insorgenza di diabete. Tuttavia, le tre condizioni che definiscono il prediabete riconoscono basi fisiopatologiche diverse.
Sia nella Ifg sia nella Igt è dimostrabile, per esempio, l‘esistenza di un deficit di secrezione di insulina e di una riduzione della sensibilità all’insulina. Tuttavia, la sede della resistenza insulinica e le modalità e l’intensità del deficit secretivo sono diverse nella Ifg rispetto alla Igt.
Nei soggetti con Ifg vi è un deficit della risposta insulinica nella fase precoce dell’Ogtt con un recupero nella fase tardiva, mentre soltanto nei soggetti con Igt è stata dimostrata una riduzione di oltre il 60% della “seconda fase” della risposta insulinica.
Anche la sede della resistenza insulinica è diversa nelle due condizioni. I soggetti con Ifg hanno infatti una severa resistenza epatica all’insulina e una sensibilità normale o quasi normale all’insulina a livello muscolare, mentre i soggetti con Igt hanno una marcata resistenza insulinica a livello muscolare e assai blanda a livello epatico.
Nella Ifg, la resistenza epatica all’insulina giustifica l’iperglicemia a digiuno e, insieme con il deficit della risposta insulinica precoce al glucosio, determina una marcata iperglicemia nella prima ora dell’Ogtt con ritorno della glicemia alla norma alla seconda ora per l’assenza di resistenza muscolare e per il recupero della secrezione insulinica tardiva.
Nella Igt, la glicemia a digiuno è normale per l’assenza di resistenza epatica all’insulina, ma la glicemia alla seconda ora dell’Ogtt è patologica per il deficit tardivo della secrezione insulinica e per la presenza di una marcata resistenza muscolare all’insulina.
Il diverso substrato fisiopatologico che sottende i tre parametri di misura giustifica una eventuale discordanza dei risultati nello stesso soggetto. A questo proposito, l’American diabetes association suggerisce che, in caso di discordanza fra due parametri di misura, per esempio tra il valore della glicemia a digiuno e quello della glicata, si debba ripetere il dosaggio del valore risultato patologico e, se confermato, formulare, su questa base, la diagnosi definitiva.
A sottolineare la diversa origine fisiopatologica di Ifg e Igt, nella maggior parte dei casi, le due condizioni si presentano in forma isolata e non coincidono negli stessi soggetti. Solamente il 30-45% dei soggetti con Ifg ha anche Igt e soltanto il 20-30% dei soggetti con Igt ha anche Ifg. Inoltre, il 5-20% dei soggetti con Ifg sono diabetici. La Ifg è più comune tra gli uomini e la Igt tra le donne; la Ifg tende a raggiungere un plateau nell’età media, la Igt è più comune nell’età avanzata.
Quando coesistono nello stesso soggetto, proprio a causa della loro differente origine, presentano una sinergia di effetti. Infatti, il rischio di sviluppare diabete, calcolato fra il 5 e il 10% ogni anno, non è significativamente diverso per Ifg e Igt singolarmente considerate, ma quasi si raddoppia laddove vi sia la combinazione dei due difetti, che denota, come è facile intuire, una maggiore gravità del disordine metabolico.
La condizione di prediabete può essere associata a obesità, specialmente addominale o viscerale, a dislipidemia con aumento dei trigliceridi e/o riduzione del colesterolo Hdl e a ipertensione, fattori di rischio cardiovascolare che caratterizzano la sindrome metabolica. La comparsa di complicanze cardiovascolari può precedere la comparsa di diabete e lo stesso può dirsi per le complicanze microangiopatiche. Infatti, segni di retinopatia sono stati riscontrati nel 7% dei pazienti arruolati nello studio americano Diabetes prevention program (Dpp).
Numerosi studi hanno dimostrato come sia possibile prevenire o ritardare la comparsa di diabete in soggetti prediabetici se trattati con modificazioni dello stile di vita o con l’impiego di farmaci. Tuttavia, affinché una campagna di prevenzione del diabete sia economicamente sostenibile, è necessario che sia rivolta a una popolazione a rischio. Si ritiene perciò che le indagini diagnostiche consistenti nello screening della glicemia a digiuno, nel dosaggio della HbA1c ed eventualmente nell’esecuzione di un Ogtt, debbano essere eseguite in individui obesi o in sovrappeso (con indice di massa corporea, Bmi ≥25 Kg/metri quadri) e abbiano uno o più dei fattori di rischio per il diabete elencati nella tabella I.
In alternativa, per l’individuazione dei soggetti a rischio di sviluppare diabete, sono stati elaborati vari “punteggi di rischio”, fra cui uno dei più convalidati è il Finnish diabetes risk score o Findrisk. Si tratta di un metodo assai semplice, utilizzabile anche da personale non medico, raccomandato anche dalla Easd e dalla Idf, già utilizzato in molteplici programmi di prevenzione in Finlandia, Germania, Italia e fondato sul rilievo di alcuni parametri come età, sesso, indice di massa corporea, circonferenza alla vita, presenza o meno di ipertensione arteriosa e diagnosi di diabete in familiari di primo grado. Sulla base del punteggio ottenuto, è possibile stabilire l’entità del rischio di sviluppare il diabete entro 10 anni, da “basso” (una probabilità su 100) a molto alto (una probabilità su due), e decidere quindi sulla esecuzione di uno screening fondato sul rilievo della glicemia a digiuno e/o dopo carico e/o della A1c.
Fate attenzione, se siete in sovrappeso
Lo screening dovrebbe essere eseguito in tutti i soggetti obesi o in sovrappeso (Bmi ≥25 Kg/m2) che abbiano uno più dei seguenti fattori di rischio.
● Eccessiva sedentarietà
● Familiari di primo grado affetti da diabete di tipo 2
● Membri di etnie ad alto rischio di diabete
● Donne che abbiano partorito neonati macrosomici (peso >4Kg) o che siano state
affette da diabete gestazionale
● Ipertensione arteriosa: valori >140/90 o in terapia anti-ipertensiva
● Dislipidemia: colesterolo Hdl ≥35 mg/dl e/o trigliceridi ≥250 mg/dl
● Rilievo precedente di Ifg o Igt
● Storia di malattie cardiovascolari
● Donne con sindrome dell’ovaio policistico
● Altre condizioni cliniche associate a resistenza insulinica (per es: acanthosis nigricans)