AGGIORNAMENTO – NEL 1922 LA SCOPERTA DI BANTING E BEST

Un’arzilla novantenne

L’insulina ha quasi un secolo di vita, storia ed evoluzione. Uno dei farmaci più importanti di sempre, che ha rivoluzionato il trattamento del diabete. Anche dal punto di vista dell’autocontrollo del paziente

di Paolo Brunetti già professore ordinario di Medicina interna all’Università di Perugia

Quest’anno si celebra il 90° anniversario della scoperta dell’insulina, attribuita ai due ricercatori di Toronto Frederick Grant Banting e Charles Herbert Best, una delle più grandi scoperte, se non la più grande in assoluto, della medicina moderna. È perciò anche l’occasione per riflettere sugli avanzamenti compiuti nella terapia del diabete di tipo 1, per definizione insulino-dipendente, in questo quasi secolo di storia, grazie alla disponibilità delle nuove insuline e allo sviluppo della moderna tecnologia. Al tempo stesso, non dobbiamo dimenticare il fondamentale contributo dato al miglior controllo della malattia diabetica dalla pratica dell’autocontrollo, di cui può essere considerato un pioniere Elliott Proctor Joslin, vissuto tra il 1869 e il 1962 e fondatore del Joslin diabetes center di Boston (Massachusetts, Usa), punto di riferimento mondiale per la ricerca e la pratica diabetologica.

Dagli anni Ottanta a oggi la terapia insulinica si è arricchita degli analoghi dell’insulina ad azione rapida o ritardata, molecole ottenute per biosintesi, modificate rispetto alla struttura originale della insulina umana, ma più idonee di questa a ricostruire la omeostasi insulinemica, sia in condizioni basali sia dopo l’assunzione dei pasti, quando vengano iniettate sottocute. Al tempo stesso, la terapia infusionale sottocutanea continua di insulina si è arricchita di nuove generazioni di strumenti di piccole dimensioni, di grande versatilità e di facile impiego, tanto da renderle altamente competitive nei confronti della classica terapia multi-iniettiva. Nella terapia iniettiva come in quella infusionale, agli analoghi dell’insulina ad azione rapida -insulina “lispro”, insulina “aspart”, insulina “glulisina”, fra loro equivalenti- spetta la copertura dei pasti, resa possibile, a differenza della insulina umana, da un loro più rapido assorbimento dal tessuto sottocutaneo con generazione di un picco insulinemico precoce in grado di prevenire sia l’iperglicemia patologica derivata dall’assorbimento dei carboidrati sia la possibile insorgenza di ipoglicemie tardive.

La ricostituzione della insulinemia basale nei diabetici insulino-privi è invece possibile grazie all’impiego di un analogo ad azione ritardata (insulina “glargina” o insulina “detemir”, preferibilmente la prima perché da somministrare in una sola iniezione) o, in alternativa, grazie alla infusione continua mediante minipompa, variamente modulata nel corso della giornata, di un analogo ad azione rapida.

L’equilibrio ottimale

L’obiettivo della terapia insulinica nel diabete di tipo 1 è, come lo studio Dcct ci ha insegnato, la quasi normoglicemia. L’accuratezza delle dosi di insulina rapida e ritardata deve perciò essere valutata sulla base del monitoraggio della glicemia da eseguire la mattina a digiuno, ma anche prima del pranzo e della cena e due ore dopo l’inizio dei pasti. Un controllo ottimale della glicemia presuppone una glicemia a digiuno e preprandiale compresa fra 90 e 120 mg/dl, una glicemia postprandiale mediamente inferiore a 140-150 mg/dl e una concentrazione di emoglobina glicata (Ac1) compresa fra 6,5 e 7%.

Ne deriva che le dosi di insulina rapida preprandiale e di insulina basale devono essere modificate fino a raggiungere gli obiettivi glicemici desiderati senza incorrere nel pericolo di ipoglicemia. Ciò è quanto il medico, il diabetologo, deve insegnare al paziente, invitandolo a registrare in un apposito diario il monitoraggio domiciliare della glicemia che deve rappresentare la base di discussione e di confronto per ogni successivo controllo.

Ma l’educazione del paziente non può limitarsi alla indicazione del farmaco (l’insulina) e il medico non può prendersi carico dell’intero processo educativo, al quale devono partecipare altre figure attive in ambito sanitario. Lo aveva intuito con grande lucidità e con enorme anticipo rispetto ai tempi in cui è vissuto Elliott Joslin, che può essere considerato a buon diritto il padre della moderna diabetologia. Il dottor Joslin fu un sostenitore convinto della necessità di una diagnosi precoce del diabete, di un controllo stretto della glicemia (con il ricorso -nell’era pre-insulina- a diete povere di carboidrati fino al digiuno e alla pratica regolare di esercizio fisico) e di un coinvolgimento diretto del paziente, opportunamente istruito, nella gestione della propria patologia.

L’educazione terapeutica

L’approccio innovativo di Joslin alla terapia del diabete fu l’oggetto di numerosi dibattiti, ma il grande medico americano, scomparso nel 1962, non visse abbastanza per vedere confermata in pieno la sua teoria dallo studio decennale Diabetes control and complication trial o Dcct, che, pubblicato nel 1993 nel prestigioso New England journal of medicine e successivamente ampliato dallo studio osservazionale Epidemiology of diabetes interventions and complications o Edic, fornì la documentazione indiscussa della efficacia di uno stretto controllo metabolico per la prevenzione primaria delle complicanze microangiopatiche (retinopatia, nefropatia, neuropatia) e cardiovascolari del diabete di tipo 1. Può essere interessante ricordare come, per onorare la lungimirante previsione di Joslin, furono prodotte, in quella occasione, spille per i pazienti e lo staff della Joslin Clinic con la scritta “I Told You So”.

Joslin, che aveva anche intuito come la terapia insulinica dovesse essere integrata con corrette abitudini alimentari e motorie, sintetizzò il suo concetto di equilibrio metabolico con l’immagine della troika, divenuta il simbolo della Joslin Foundation: un carro trainato da tre cavalli, dieta, esercizio fisico e insulina, che dovevano procedere di concerto e con pari dignità per il buon esito della corsa e per questo essere guidati con perizia dallo stesso paziente, opportunamente educato a gestire la propria condizione. Con Joslin, il paziente viene messo per la prima volta al centro della scena e a lui venne dedicato il primo testo di educazione terapeutica in ambito diabetologico, il Diabetic manual for the doctor and patient, perché fosse il primo artefice del controllo della propria condizione. Fu ancora Joslin, dopo la scoperta dell’insulina, a espandere il ruolo delle infermiere, inviandole nella comunità a educare i diabetici a un uso appropriato dell’insulina in stretta armonia con la dieta e con l’esercizio fisico. È nata da allora, negli Stati Uniti, la figura dell’infermiere abilitato all’educazione dei pazienti diabetici.

Anche nel nostro Paese, grazie all’impegno delle società scientifiche, il tema dell’educazione all’autogestione del diabete è stato ampiamente sviluppato, sebbene rimangano ancora aree grigie che meritano un ulteriore approfondimento e una maggiore diffusione di interventi. Il punto nodale nel processo educativo del paziente in terapia insulinica è l’acquisizione delle competenze atte a stabilire, come Elliott Joslin aveva intuito con tanto anticipo, una corretta integrazione tra alimentazione, esercizio fisico ed insulina. Queste conoscenze sono e rimarranno indispensabili per un uso ottimale delle insuline di cui oggi disponiamo, almeno fin quando non potremo disporre degli strumenti necessari per una erogazione automatica dell’insulina regolata dalla stessa concentrazione ematica del glucosio.