Bassa marea
Torniamo a parlare di ipoglicemia, un rischio sempre in agguato, che bisogna sapere affrontare: alcuni suggerimenti pratici per la prevenzione e la terapia e i risultati di studi recenti su questo importante argomento
di Paolo Brunetti già professore ordinario di Medicina interna all’Università di Perugia
Il rischio di ipoglicemia accompagna il paziente diabetico, specialmente se in terapia insulinica, in ogni momento della sua vita, con risvolti psicologici spesso di notevole entità, tanto da improntare di sé le abitudini di vita del paziente. Per questo ci pare opportuno ritornare sull’argomento, già oggetto del dossier pubblicato sullo scorso numero di Tuttodiabete, aggiungendo considerazioni e suggerimenti pratici.
Il rischio di ipoglicemia aumenta con la durata del diabete, sia per la ridotta efficienza del sistema di controregolazione sia per la perdita progressiva dei sintomi dell’ipoglicemia (hypoglycemia unawareness). Un paziente con diabete di tipo 1 in trattamento insulinico che sperimenti due episodi sintomatici di ipoglicemia, anche se non gravi, ogni settimana non è certamente una eccezione.
Il timore dell’ipoglicemia rappresenta uno dei maggiori limiti per la programmazione di una terapia intensiva che si ponga obiettivi glicemici troppo vicini alla norma. L’esperienza anche di un solo episodio di ipoglicemia severa è in effetti, il più delle volte, sufficientemente traumatizzante da rendere il soggetto assai riluttante nei confronti di qualsiasi proposta di terapia intensiva.
L’ipoglicemia espone inoltre il paziente a rischi di varia natura, ed esercita un impatto economico non indifferente a livello sia individuale sia della collettività. Uno studio condotto negli Stati Uniti (Leese GP et al. Diabetes Care 2003, 26, 1176) ha dimostrato come un singolo episodio di ipoglicemia grave, ove si consideri, accanto alla valutazione medica, la perdita di produttività, ha un costo complessivo, inclusivo di costi diretti e indiretti, di 1.500 dollari. Infatti, la ricorrenza di episodi ipoglicemici impone un maggiore ricorso all’automonitoraggio della glicemia, con un consumo più elevato di strisce reattive, un contatto più stretto con il proprio medico o con il servizio diabetologico di appartenenza e la possibile assenza dal posto di lavoro.
Prevenzione e autocontrollo
Ai fini della prevenzione dell’ipoglicemia è indispensabile che i pazienti siano addestrati all’automonitoraggio, ma anche che ricevano le giuste indicazioni sul corretto impiego dell’insulina in rapporto alla ingestione dei pasti. Il modello multi-iniettivo, con insulina rapida prima dei pasti e una dose di insulina ritardata per il fabbisogno basale, e quello infusionale, con sola insulina rapida mediante pompa, garantiscono una buona copertura durante la giornata e una sufficiente flessibilità. Sono invece da escludere, per il maggior rischio ipo e iperglicemico i modelli basati sull’impiego di insuline miscelate. Per ottenere la massima corrispondenza fra picco glicemico postprandiale e insulinemia, l’analogo ad azione rapida deve essere somministrato 10-15 minuti prima del pasto, se la glicemia è superiore a 80 mg/dl, o subito prima del pasto o dopo di questo, se la glicemia è inferiore a 80 mg/dl.
Per il calcolo corretto della dose di insulina rapida da somministrare prima dei pasti è utile calcolare la differenza tra la glicemia preprandiale e quella misurata due ore dopo il pasto. Se la differenza ha un valore positivo compreso fra 0 e 50 mg/dl, si può ritenere che la dose di insulina somministrata sia corretta in rapporto alla quantità di carboidrati ingerita. Se, per esempio, con una glicemia preprandiale di 110 mg/dl vengono somministrate 8 unità di insulina e la glicemia postprandiale è 130 mg/dl, si può ritenere giusta la dose di insulina impiegata perché il delta glicemico è di +20 mg/dl. Se, viceversa, la glicemia postprandiale è pari a 90 mg/dl e, quindi, con un delta negativo di -20 mg/dl, è necessario, da un lato, rimanere in guardia per essere certi che non si verifichi un’ulteriore riduzione della glicemia nelle ore immediatamente successive e, dall’altro, ridurre la dose di insulina prevista per il medesimo pasto il giorno successivo.
La dose di insulina ritardata, da somministrare preferibilmente la sera, può essere calcolata sulla base della glicemia del mattino successivo, che deve mantenersi possibilmente compresa fra 90 e 120 mg/dl.
Precauzioni al volante
La possibile occorrenza di ipoglicemia è una delle cause, anche se non la sola, che espone i soggetti diabetici a più alte probabilità di incidenti automobilistici. Sono a maggiore rischio di incidenti i diabetici in terapia insulinica che abbiano sperimentato un episodio di ipoglicemia grave nei precedenti 24 mesi, o che abbiano perso i sintomi di allarme dell’ipoglicemia, che facciano uso di benzodiazepine o altri psicofarmaci, eccedano nel consumo di alcol, siano irregolari nel consumo dei pasti, non addestrati all’automonitoraggio della glicemia o portatori di patologie associate (per approfondire, si veda Unger J. Clinical Diabetes 2013,31, 179).
Ove si consideri la popolazione diabetica nella sua globalità, la possibilità di incidenti, mentre si è alla guida di un auto, non è sensibilmente superiore a quello della popolazione generale. Infatti, da una meta-analisi di 15 studi emerge che il rischio relativo di avere un incidente d’auto è, nella popolazione diabetica globalmente intesa, rispetto alla popolazione generale, superiore in media solo del 20%, assai trascurabile, rispetto a un incremento del 400% rilevato nei soggetti con sindrome da deficit di attenzione e iperattività (Adhd) e del 240% in quelli con sindrome da apnea ostruttiva da sonno (Osas).
Alcune limitazioni poste alla concessione della patente di guida per i soggetti diabetici sembrano perciò talvolta eccessive; viceversa, una maggiore attenzione dovrebbe essere prestata dai medici curanti, come dalle agenzie regolatorie, al rischio ipoglicemico. In particolare, l’occorrenza di due episodi di ipoglicemia grave nel corso di 12 mesi dovrebbe indurre gli organi preposti al rilascio della patente di guida a esigere una rivalutazione delle capacità di automonitoraggio glicemico e autocontrollo del soggetto.
I pazienti ad alto rischio dovrebbero controllare la glicemia prima di mettersi alla guida e ripetere il controllo ogni ora durante i lunghi viaggi. L’ipoglicemia può determinare, infatti, un disorientamento spaziale, compromettere la direzione di marcia e ridurre la capacità di manovra dei vari comandi.
È implicito che i pazienti debbano avere con sé, nella macchina, il necessario per il controllo glicemico e una fonte di carboidrati di rapido impiego, come una riserva di zollette di zucchero o, in alternativa, bevande zuccherate, miele, eccetera. Anche se la soglia glicemica al di sotto della quale compaiono i sintomi dell’ipoglicemia è stata identificata in 70 mg/dl, per la massima sicurezza, è opportuno mantenere la glicemia durante la guida a un livello ≥90 mg/dl (maggiore o pari a 90).
È quindi essenziale controllare la glicemia: se il valore è inferiore a 70 mg/dl, andrà corretto assumendo 15 grammi di carboidrati a rapido assorbimento (un succo di frutta, mezza lattina di Coca Cola o aranciata, 3 zollette di zucchero). Se dopo 15 minuti la glicemia è inferiore a 80 mg/dl e/o non si attenuano/scompaiono i sintomi, occorre ripetere la somministrazione di altri 15 grammi di carboidrati a rapido assorbimento.
Quando si fa sport
Il rischio di ipoglicemia durante l’esercizio fisico può essere ridotto eseguendo l’automonitoraggio della glicemia prima di iniziare l’attività e al termine di questa. La glicemia ottimale prima dell’inizio dell’attività, se di intensità moderata, dovrebbe essere compresa fra 120 e 160 mg/dl. Con valori inferiori a 120 mg/dl è opportuno assumere 15 grammi di carboidrati, preferibilmente complessi (cracker, grissini, fette biscottate, eccetera).
Se l’esercizio fisico viene programmato entro 4 ore dalla somministrazione di una dose di insulina rapida è opportuno che questa sia ridotta del 50%. I pazienti in terapia infusionale mediante pompa possono ridurre o azzerare l’infusione basale prima di iniziare l’attività. In ogni caso, la decisione circa la rimodulazione della dose di insulina deve tener conto della intensità e della durata della attività fisica programmata.
È POSSIBILE CHE RICONOSCA L’IPOGLICEMIA DEL PADRONE
Il tuo cane se ne accorge
Alcuni ricercatori dell’Università di Liverpool hanno riferito che, in alcuni casi, i cani erano capaci di avvertire l’insorgenza di una ipoglicemia nel loro padrone prima che questi avvertisse alcun sintomo. Nei tre casi riportati (si veda Chen M et al. British Medical Journal 2000; 321: 1565), i cani tenevano un comportamento abnorme: si mostravano agitati e abbaiavano così da richiamare l’attenzione dei loro padroni e spingendoli a eseguire un controllo della glicemia, che risultava in effetti sensibilmente ridotta, fra 27 e 30 mg/dl, in assenza di qualsiasi sintomo. Il comportamento dei cani ritornava del tutto normale dopo che i padroni avevano assunto dei carboidrati e corretto l’ipoglicemia. Osservazioni di questo tipo erano state riferite anche in precedenza (Lim K et al. Diabetic Med 1992; 9 (Suppl 2): S3) e spiegate con l’ipotesi che i cani potessero fiutare un odore diverso, dovuto eventualmente a una traspirazione cutanea derivata dall’ipoglicemia, o che, in alternativa, avvertissero una inapparente modifica del comportamento dei loro padroni.
Queste osservazioni aneddotiche non hanno trovato riscontro, per il momento, in uno studio controllato eseguito da alcuni studiosi dell’Università di Portland (Oregon, Usa) in tre pazienti con diabete di tipo 1, non affetti dalla sindrome di hypoglycemia unawareness, che si erano prestati volontariamente per questo esperimento. Ciascuno dei tre pazienti ha raccolto due campioni di cotone strusciato sull’avambraccio in occasione di due episodi di ipoglicemia (glicemia eguale o inferiore a 60 mg/dl) e due di normoglicemia (glicemia capillare 100-150 mg/dl). I cani provenienti da una organizzazione dedicata all’addestramento dei cani non si sono dimostrati capaci di distinguere i campioni ottenuti in occasione dell’ipoglicemia da quelli ottenuti in presenza di normoglicemia.
Questa sperimentazione non esclude del tutto la veridicità delle osservazioni precedenti, perché i cani impiegati non avevano familiarità con i pazienti diabetici e veniva quindi a mancare quel rapporto di simbiosi che lega il cane al proprio padrone e che può fargli cogliere, accanto a finissime modificazioni dell’odore, anche sottili anomalie di comportamento percepite dal proprio compagno. Per ulteriori approfondimenti: Dehlinger Ky et al. Diabetes Care 2013; 36: e98.
Scopri il magazine online TuttoDiabete