“Mamma, senti… Ma Alessia guarirà quando sarà grande?”
“No, non guarirà. È qualcosa che si dovrà portare con sé, per sempre”.
La domanda, la fa Diego, 8 anni.
La risposta, la dà Sabrina, sua madre.
Il soggetto di questa conversazione è Alessia.
Alessia e il suo diabete. Alessia, la sorella maggiore. 12 anni di esperienza su questa terra; 3 dei quali, in compagnia del diabete.
Parlo con Sabrina, perché mi interessa il punto di vista del genitore, della famiglia. Mi interessa il punto di vista del fratello. E lei mi racconta di un’estate, che doveva essere cavalloni e sabbia e che si è trasformata in uno tsunami, con la corsa in ospedale, con la glicemia a 700, e una paura folle.
“Mamma, perché è successo proprio a me?”
Un’altra domanda – ancora più dura – ma stavolta è Alessia stessa a formularla. Nel letto dell’ospedale di Massa, perché non ha capito cosa sia successo e non ha capito nemmeno cosa ci sia da capire; cosa nasconda questa parola nuova, sconosciuta, improvvisa e disarmante.
Disarma il fatto che non si possa rispondere che passerà, come un’influenza o un raffreddore e disarma anche che molte persone lo pensino – mi dice Sabrina – e che confondano il diabete di tipo 1 con quello di tipo 2 e che si sentano di commentare con uno sconsolante: “Sì, ma basta mangiare sano, no?”
Ma questa è soltanto una faccia della medaglia. Diamo un’occhiata anche all’altra.
Perché nell’altra faccia della medaglia, ci sono piccole azioni, piccole parole, che sono vere e proprie rivoluzioni. Degli tsunami alla rovescia, che non distruggono, ma costruiscono. E costruiscono in maniera solida, granitica.
Dall’altra parte della medaglia c’è una bambina di 9 anni, che al quarto giorno di ricovero ospedaliero, chiede alla dottoressa di insegnarle a farsi l’insulina da sola.
Poi, c’è sempre la stessa bambina che al sesto giorno di ricovero ospedaliero chiede alla sua mamma: “Ma perché piangi? Se ci pensi è meglio che sia capitato ora, così quando sarò grande potrò gestirmi anche senza il tuo aiuto”.
E poi c’è il fatto che a volte, nemmeno i figli si conoscono davvero.
A volte, già da piccoli, sono in grado di dimostrare una forza eccezionale, un’energia folgorante, uno slancio vitale inattaccabile.
Sabrina conosceva la timidezza di Alessia, ma ancora non conosceva il suo coraggio.
Le avevano detto in ospedale “Vedrà, quando si riprenderà, sarà sua figlia a darle la forza per accettare e sostenere il diabete”, ma Sabrina, in quei giorni – quei giorni di tsunami – faticava a crederlo.
Del resto, si parlava di una bambina.
Eppure è proprio andata così.
Nonostante Alessia fosse allergica a ben due tipi di insulina a rilascio lento – un caso più unico che raro – nonostante le crisi e lo scoramento a circa 7 mesi dall’esordio, nonostante i cambiamenti alimentari e di vita, è andata proprio così.
Supportata dalla sua classe, dalla sua famiglia, dall’introduzione del microinfusore, le cose tutte si sono riassestate. La dimensione del quotidiano ritrovata. La quotidianità, dalla quale si cerca spesso di scappare, è così bella dopo uno tsunami. È un conforto tale.
E adesso ci sono tanti progetti. Le idee sono molto chiare.
Alessia vuole fare la veterinaria, perché deve salvare tutti gli animali.
“Già la casa sembra uno zoo”, mi dice Sabrina ridendo, “cani, gatti, criceti, tartarughe…”
E nel frattempo, mentre aspetta che il sogno sia maturo per essere colto e realizzato, si dedica all’equitazione, allo studio della chitarra e al nuoto.
Piccole donne crescono.
Piccole, grandi donne.
A cura di Patrizia Dall’Argine