Hanno partecipato allo studio 910 soggetti non affetti da diabete, età media 65 anni, suddivisi a seconda che non avessero mai bevuto caffè, lo avessero usato in passato fra i 18 e i 45 anni di età, o lo consumassero regolarmente dai 45 anni di età in poi fino al momento della inclusione nello studio. La diagnosi di diabete veniva posta sulla base di una glicemia a digiuno superiore a 125 mg/dl o di una glicemia due ore dopo carico di glucosio eguale o superiore a 200 mg/dl.
Lo studio ha dimostrato che sia i consumatori abituali di caffè, sia quelli che avevano assunto caffè in passato, avevano un rischio di sviluppare il diabete, negli 8 anni successivi alla prima osservazione, inferiore di oltre il 60% rispetto a quelli che non ne avevano mai consumato. Ciò che è molto importante è che questo effetto protettivo si manifesta, in particolar modo, nei soggetti già affetti da intolleranza al glucosio che, in quanto tali, hanno una elevata probabilità di sviluppare il diabete. Non è stato invece dimostrato un rapporto fra la quantità di caffè consumata giornalmente e la riduzione del rischio.
Questo studio conferma i risultati di studi precedenti con la maggiore autorevolezza che deriva dall’avere applicato, sia all’inizio sia al termine del periodo di osservazione (in media 8,3 anni), un carico orale di glucosio. Inoltre, la riduzione del rischio era totalmente indipendente da altre variabili quali età, sesso, esercizio fisico, Bmi, ipertensione, fumo, e uso di alcool.
Si ritiene che l’effetto protettivo nei confronti della incidenza del diabete sia dovuto alle azioni metaboliche della caffeina, anche se non può essere escluso il ruolo di altri composti presenti nel caffè. Mancano in effetti, al riguardo, studi compiuti su soggetti che facciano uso di caffè decaffeinato. (P.B.)