Anno 22 – n.2
Aprile-Giugno 2005
Aggiornamento
UNO STATO D’ANIMO SERENO E’ FONDAMENTALE PER UN’EFFICACE TERAPIA
Calma, ragazzi
Il diabete può creare ansia e stress e tensione possono compromettere la buona gestione della propria condizione e la qualità della vita: bambini e adolescenti sono particolarmente vulnerabili a questi rischi. L’importanza di un adeguato sostegno psicologico ai giovani e alle loro famiglie
prof. Paolo Brunetti
Direttore Dipartimento di Medicina Interna
Università degli Studi di Perugia
La qualità di vita dei giovani diabetici è fortemente influenzata da fattori psicologici determinati dall’impatto con la patologia diabetica e le sue possibili complicanze. Nella terapia del diabete di tipo 1 a insorgenza in età infantile o giovanile è perciò necessario tenere conto, non soltanto del controllo metabolico indispensabile per la prevenzione delle complicanze a lungo termine, ma anche dell’equilibrio psicologico del paziente e, specie se si tratta di un bambino, dei suoi familiari.
Che il diabete a insorgenza in età giovanile abbia un notevole impatto psicologico è, infatti, facilmente comprensibile. Il giovane diabetico e i suoi genitori sanno di dover subire una patologia a evoluzione cronica che ancor oggi non siamo in grado di curare ma soltanto di arginare, che è potenzialmente causa di gravi e invalidanti complicanze d’organo, che richiede l’applicazione di una terapia assai complessa, tale da coinvolgere l’intero nucleo familiare e che può essere avvertita dal giovane paziente come un elemento di discriminazione rispetto ai suoi coetanei.
Grandi progressi sono stati fatti, nel corso degli anni, nel campo della terapia, del buon controllo della condizione diabetica e nel modo di affrontarla e gestirla. E’ innegabile, tuttavia, come l’impegno necessario per attuare quotidianamente e senza interruzioni una terapia insulinica corretta, rappresenti, di per sé, una causa non indifferente di stress e quindi di reazioni psicologiche sfavorevoli. Alcuni studi hanno dimostrato che, entro 3 mesi dalla diagnosi, il 36% dei bambini sperimenta un distress psicologico sufficiente a soddisfare i criteri di un ordine psichiatrico diagnosticabile, identificabile in prevalenza in un “disturbo dell’adattamento”. Tuttavia, nella quasi totalità dei casi, è dato assistere alla completa remissione dei sintomi entro 9 mesi dall’esordio della patologia. Successivamente, lungo il decorso del diabete, a partire dai 2-3 anni di durata, è frequente la comparsa di sintomi di depressione e di ansietà, di difetti di socializzazione, di disturbi somatici e di disturbi del sonno (peraltro di moderata entità).
Entro i 10 anni di durata, secondo gli studi di Kovacs e altri e di Gelfand e altri, ben il 47% dei pazienti soddisfa i criteri diagnostici di “disordine”: sono stati infatti osservati “disordini da iperattività e deficit di attenzione”, così come disordini dell’umore quali forme depressive, bipolari, distimiche. Specialmente negli ultimi anni si è osservata, in una percentuale non irrilevante di casi, quasi interamente di sesso femminile, la comparsa di disordini del comportamento alimentare (anoressia, bulimia) che vengono a complicare non poco la condotta terapeutica. Si è anche osservato che il miglior predittore della futura comparsa di disordini psichiatrici è rappresentato dall’eventuale presenza di psicopatologia materna. Ciò lascia intendere l’importanza di un supporto psicologico da fornire a tutto l’ambito familiare del bambino diabetico.
Lo stato psicologico del paziente diabetico non è estraneo al grado di controllo metabolico. E’ stato dimostrato che a livelli più elevati di depressione e di ansietà corrispondono valori più elevati di emoglobina glicata. Analogamente, a un controllo metabolico migliore corrisponde una migliore qualità di vita, valutata attraverso la rilevazione di alcuni parametri basilari come la percezione dell’impatto del diabete, lo stato di preoccupazione per l’evoluzione futura della propria condizione, il livello di soddisfazione per la propria vita e il grado di percezione della salute.
Fra stato psicologico e controllo metabolico si stabilisce così un apporto bidirezionale, secondo cui il miglior controllo influenza le condizioni psicologiche, mentre uno stato d’animo più positivo consente di conseguire con maggiore facilità un soddisfacente controllo glicemico. E’ perciò necessario fornire ai giovani diabetici e alle loro famiglie il supporto psicologico di cui hanno bisogno nel momento in cui vedono cadere su di loro una calamità -così viene intesa la improvvisa comparsa del diabete- imprevista. Dal Dcct ci giunge un insegnamento anche in questo senso, essendo prevista nel protocollo del trial l’applicazione ai soggetti inclusi nello studio, e quindi potenzialmente arruolabili nel gruppo di terapia intensiva, di specifici interventi comportamentali volti a facilitare l’inizio e la prosecuzione della terapia intensiva.
Le modalità di supporto psicologico sono molteplici, da interventi individuali a quelli di gruppo a quelli rivolti al nucleo familiare e al personale medico. Un programma di “patient empowerment”, abbastanza diffuso negli Usa, prevede, in tappe successive, di aumentare la capacità del paziente di identificare e perseguire obiettivi realistici, di trasmettere una tecnica per la soluzione dei problemi così da evitare gli ostacoli che si frappongono al conseguimento degli obiettivi, di insegnare il modo per fare fronte a ostacoli altrimenti non eliminabili e di dominare lo stress causato dal diabete e, infine, di far acquisire ai pazienti una maggiore motivazione alla terapia. L’applicazione di questa tecnica si è dimostrata capace di indurre un miglioramento del controllo metabolico.
I programmi di educazione finora rivolti ai giovani diabetici sono e continueranno a essere di fondamentale utilità. Sarebbe tuttavia opportuno mettere a disposizione dei pazienti e delle loro famiglie interventi psicologici strutturati, per rimuovere gli effetti negativi indotti dalla patologia e migliorarne l’esito. Molto si è fatto negli ultimi anni per rendere più efficace, sul piano metabolico, l’approccio terapeutico al paziente con diabete di tipo 1. Ancora molto c’è da fare per assicurare una copertura adeguata anche sul versante psicologico per migliorare, insieme al controllo glicemico, anche la qualità di vita.
I RISULTATI DEGLI STUDI SU ADOLESCENTI E BAMBINI
La terapia intensiva fa bene ai più giovani
Uno stretto controllo metabolico mantenuto con più iniezioni quotidiane è la migliore garanzia contro le complicanze anche quando il diabete insorge in età prepuberale
Oggi sappiamo che il futuro dei nostri giovani diabetici sarà per molti aspetti assai migliore -e sperabilmente normale- rispetto a quanto accadeva in un passato anche non molto lontano. Il “Diabetes control and complications trial” (Dcct) ci ha infatti dimostrato che l’insorgenza delle complicanze microangiopatiche (retinopatia, nefropatia, neuropatia) può essere in buona misura prevenuta mantenendo nel tempo un buon controllo metabolico. Ciò si è dimostrato valido anche nei circa 200 adolescenti inclusi nello studio. Non soltanto: il vantaggio di cui ha goduto la popolazione diabetica in terapia intensiva rispetto a quella in terapia convenzionale si è mantenuto anche dopo la chiusura dello studio, quando i valori di emoglobina glicata nei due gruppi sono andati ad avvicinarsi progressivamente fino a sovrapporsi.
Infatti, 4 anni dopo la chiusura del Dcct, il gruppo sottoposto a terapia intensiva ha presentato un’incidenza di complicanze di gran lunga inferiore a quella del gruppo precedentemente in terapia convenzionale. Segno questo che esiste una memoria tessutale del livello di esposizione glicemica, capace di mantenere i suoi effetti anche a distanza di anni. E’ questo il motivo per cui un controllo metabolico ottimale deve essere conseguito e mantenuto fin dall’esordio del diabete. Una correzione tardiva non compensa il danno, anche se inapparente, indotto dalla precedente esposizione ad alti valori di glicemia.
Queste considerazioni valgono anche per i giovani diabetici con insorgenza della patologia in età prepuberale. Alcuni studi hanno valutato se vi fosse una diversità di evoluzione a seconda che il diabete fosse insorto prima o dopo i 5 anni di età. La conclusione è stata che i bambini con insorgenza del diabete prima dei 5 anni hanno una certa protezione nei confronti del danno esercitato da alti valori glicemici, ma questa protezione è soltanto parziale e, con il passare del tempo, la differenza di incidenza delle complicanze nelle due fasce di età (diabete insorto prima e dopo 5 anni) tende ad attenuarsi fino a scomparire.
E’ quindi necessario ottenere anche nel bambino piccolo il miglior controllo metabolico possibile, evitando al tempo stesso un aumento della incidenza di episodi ipoglicemici. Numerosi studi sono infatti concordi nell’affermare che, particolarmente nel bambino di età inferiore a 5 anni, l’esposizione a ripetuti episodi ipoglicemici provoca conseguenze neuropsicologiche evidenziabili con l’esecuzione di alcuni test. In particolare, questi soggetti presentano, rispetto a una popolazione di controllo costituita da giovani con insorgenza più tardiva del diabete, un deficit verbale, consistente in una minore ricchezza del vocabolario acquisito, un difetto della memoria a lungo termine, una riduzione della capacità di apprendimento e una minore capacità di coordinamento visivo-spaziale. Si ritiene che questi difetti siano il risultato di un danno funzionale e/o strutturale indotto nella regione dell’ippocampo dall’ipoglicemia.
D’altro canto, i bambini presentano una maggiore predisposizione all’ipoglicemia e al danno da questa indotto a causa di una minore efficienza del sistema di controregolazione e della difficoltà o impossibilità di comunicare, da parte del bambino piccolo, i sintomi dell’ipoglicemia. Inoltre, la ricorrenza degli episodi ipoglicemici induce la perdita dei sintomi dell’ipoglicemia (“hypoglycaemia unawareness”) con ciò aumentando il rischio di episodi ipoglicemici di maggior gravità fino al coma e alle convulsioni. La maggiore sensibilità del bambino piccolo all’ipoglicemia si spiega, d’altra parte, con l’immaturità delle strutture cerebrali per questo assai più sensibili agli insulti lesivi di vario genere. Nella conduzione della terapia insulinica del bambino al di sotto dei 5 anni si deve tener conto perciò del maggiore rischio rappresentato, per questa fascia di età, dagli episodi ipoglicemici e della protezione sia pure parziale del giovane organismo nei confronti del danno secondario alla gluco-tossicità. Sia pure tenendo conto di queste limitazioni, è necessario perseguire il miglior controllo metabolico possibile applicando una terapia razionale che non può prescindere dall’impiego di iniezioni multiple e da un accurato monitoraggio della glicemia. L’impatto negativo di una eccessiva frequenza di episodi ipoglicemici può essere almeno in parte prevenuto con l’adozione di una terapia che usi in modo appropriato la farmacocinetica delle preparazioni insuliniche oggi disponibili.
UN ANALOGO DELL’INSULINA CONSIGLIABILE ANCHE IN ETA’ PEDIATRICA
Una buona glicemia dai 6 anni in su
Buone prospettive terapeutiche anche per l’età pediatrica sono state aperte dalla introduzione del nuovo analogo ad azione ritardata “glargine”, le cui caratteristiche corrispondono assai bene a quelle di una insulina basale ideale. Attualmente l’uso di “glargine”, stando alla scheda tecnica del farmaco, è autorizzato soltanto al di sopra dei 6 anni di età, ma ciò si deve esclusivamente all’attuale carenza -che ci auguriamo presto colmata- di studi clinici eseguiti in età inferiore. Questo analogo ha una lunga durata di azione (fino a 20-24 ore), non ha un sensibile picco di attività e, per essere solubile nel flacone in ambiente acido e non in sospensione, presenta una elevata riproducibilità di assorbimento dal tessuto sottocutaneo. L’introduzione della “glargine” ha reso possibile un consistente progresso nella terapia insulinica, attestata fin dagli anni ’50 sull’esclusivo impiego dell’insulina NPH e delle insuline lente come forme insuliniche ad azione ritardata. Il grande vantaggio offerto dall’insulina “glargine” consiste innanzitutto nella prevenzione dell’ipoglicemia, ampiamente dimostrata anche in età pediatrica e nel miglioramento del controllo metabolico. E’ questa la prima volta che una strategia di terapia insulinica intensiva può garantire un miglioramento del controllo glicemico con una parallela riduzione del numero di episodi ipoglicemici.