Campo Base Avanzato, 5 Ottobre 2002

Campo Base Avanzato, 5 Ottobre 2002

Ormai da 5 giorni la luce abbagliante dei ghiacci ci inebria e ci instupidisce. E’ ormai tempo di smontare. Gli alpinisti diabetici presenti alla spedizione, MARCO PERUFFO (ha raggiunto la cima del Cho Oyu di 8201 m), MAURO SORMANI (è arrivato fino al Campo 3 a 7550 m), VITTORIO CASIRAGHI (è arrivato fino al campo 2 a 7140 m), cercano di fare il punto della situazione. Vivere ai 5770 m del Campo Base per quasi un mese, con una settimana monsonica di neve e freddo vento. Poi di colpo essere pronti, con le energie necessarie per salire in alto, con gli zaini pesanti, proprio come dei portatori. Non c’è dubbio, tutti condividono questa realtà, una spedizione in Himalaya, su una montagna di 8000 m, è soprattutto una grande fatica. Fatica, come ha detto Mauro, di esistere… Se si considera che a 5000 m, nell’aria, la pressione parziale di O2 è inferiore della metà rispetto che a livello del mare, l’organismo è costretto a un superlavoro per adattarsi a un ambiente così severo. L’ipossia è uno scoglio per tutti. Quando si sale, occorre rispettare una ritmica una frequenza, dettata dal livello di preparazione, di acclimatamento. Più in alto si sale e più questa regola viene stravolta. I passi diventano meno frequenti e aumentano le soste per immagazzinare la maggiore quantità di aria possibile. Esistere è una cosa, mantenersi in salute è cosa ben più ardua. Nessuno sfugge alla patologia da freddo. L’eccessiva escursione termica tra notte e giorno, il solito vento giornaliero che si insinua tra le tende del C. B., miete quotidianamente, mal di gola, tosse, raffreddore, secchezza delle prime vie aeree. L’affanno poi, è sempre presente. Si viene sempre sopraffatti. Ci si accorge sempre in ritardo che ci si muove più velocemente del consentito. A volte poi sembra che le energie svaniscano di colpo, le gambe diventano molli, il corpo vacilla, il respiro diventa affannoso e incontrollabile. E gli alpinisti diabetici? L’esperienza vissuta è stata veramente intensa e sicuramente è arrivata al limite di ognuno. Il nemico numero uno è stato sicuramente il freddo. Il freddo è stato l’artefice delle varie ritirate e rinunce dei vari componenti. Quando Marco è arrivato in cima alla montagna (erano le 10,49 del 3 0ttobre 2002), ha controllato la glicemia (274 mg/dl). Per lui era ormai ora di effettuare la consueta iniezione di insulina.
Purtroppo però tutte le insuline a sua disposizione risultavano completamente ghiacciate. La temperatura rilevata in quell’occasione risultava di -34 °C. Che fare? Marco è un alpinista di grande capacità ed esperienza e ha deciso prontamente di lasciare la cima e in poco meno di tre ore era nella tenda lasciata al campo 2 a 7140 m. Qui ha ricontrollato la glicemia (349 mg/dl) e tramite il calore prodotto dal sacco a pelo ha riportato a liquidità l’insulina. Un’altro episodio legato a questo severo ambiente è capitato al sottoscritto scendendo dal Campo 2 (7140 m) al Campo 1 (6440 m). In quell’occasione non sono stato in grado di valutare la glicemia per circa quattro ore a causa del raffreddamento del sistema di misura. In questi casi occorre tassativamente accertarsi che il sistema non subisca shock termici provenienti dall’ambiente esterno, mantenendolo a stretto contatto corporeo. E’ evidente che quando si verificano questi tilt di sistema, la misura viene by-passata e il diabetico è costretto ad agire affidandosi alla capacità di interpretare le sensazioni provate. In questa spedizione si sono toccate situazioni ambientali sicuramente limite, dove sistemi, apparecchiature e materiali attuali hanno mostrato tutti i loro limiti. Ancora una volta la capacità e la grande esperienza dei diabetici ha saputo fare fronte a queste carenze con l’auspicio che in un non lontano futuro la migliore tecnologia disponibile possa colmare questo divario.

Vittorio Casiraghi

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