NON SOLO LA QUALITÀ, MA CONTA ANCHE LA COTTURA DEI CIBI

Fritto o arrosto? Meglio bollito

Per una dieta equilibrata, è bene limitare il consumo di cibi troppo cotti: possono causare resistenza insulinica e favorire la comparsa di complicanze micro e macrovascolari del diabete

Nel formulare una dieta che protegga dal rischio di problemi metabolici e cardiovascolari è opportuno tenere conto non soltanto delle proprietà nutrizionali dei vari alimenti, ma anche delle modalità di cottura. Infatti, i cibi cotti a temperature molto elevate, specialmente se assunti in quantità eccessive, possono avere effetti dannosi perché introducono nell’organismo i cosiddetti Age (advanced glycation endproducts, prodotti avanzati della glicazione), molecole complesse il cui accumulo nei tessuti contribuisce allo sviluppo di complicanze micro e macrovascolari del diabete. In presenza di alti livelli di glucosio nel sangue, il loro effetto tossico si somma a quello della iperglicemia.

Queste sostanze agiscono negativamente anche nei confronti dell’azione dell’insulina, favorendo il fenomeno della resistenza insulinica e il possibile conseguente sviluppo del diabete in chi non ne sia già affetto, ma abbia qualche fattore di rischio, come, per esempio, l’obesità. In sostanza, per una sana alimentazione è consigliabile scegliere patate lessate con olio e prezzemolo piuttosto che patatine fritte e non è affatto detto che dal punto di vista del gusto il piacere sia minore. Per approfondire l’argomento, pubblichiamo un intervento del professor Paolo Brunetti, che qui di seguito ci spiega bene che cos’è la glicazione, come agiscono questi insidiosi Age e perché sia meglio essere molto cauti nel consumo di fritti e arrosti e preferire altri tipi di cottura (al vapore, bollitura), che si abbia il diabete o no.

Il glucosio contenuto nell’amido (dei farinacei) o nel saccarosio (zucchero da cucina) è un alimento essenziale per il metabolismo cellulare. Il cervello dipende pressoché per intero dalla disponibilità di glucosio e quindi dalla concentrazione di glucosio nel sangue. Tuttavia, quando il glucosio si accumula nel sangue e raggiunge concentrazioni superiori alla norma, come accade nel diabete, induce fenomeni di grave tossicità denominata appunto glucotossicità.

Reazione a catena

Il glucosio ha infatti la proprietà di aderire, con un meccanismo non enzimatico ma per pura affinità chimica, a gruppi aminici liberi di proteine, composti lipidici e acidi nucleici modificandone la struttura. Tuttavia, finché la sua concentrazione nel sangue rimane entro i limiti fisiologici, questo processo, noto come glicazione, rimane contenuto, è reversibile e non è fonte di patologia.

Quando invece si stabilisce una condizione di iperglicemia cronica, il processo di glicazione acquista un’entità e un’estensione proporzionale all’aumento della glicemia, diventa irreversibile, induce la formazione di legami crociati fra molecole vicine e determina una profonda alterazione strutturale e funzionale delle proteine intra ed extracellulari (mielina, collageno, lipoproteine, acidi nucleici, eccetera). Il risultato finale di questo processo, al quale contribuiscono, insieme alla glicazione, anche fenomeni di ossidazione (si parla perciò di glico-ossidazione), è rappresentato dai prodotti avanzati della glicazione o Age (advanced glycation endproducts), molecole assai complesse e anche numerose che, per il loro lento catabolismo, si accumulano nei tessuti partecipando attivamente alla genesi delle complicanze micro e macrovascolari del diabete.

La glicazione della membrana basale dei capillari sanguigni è un fenomeno ubiquitario che interessa tutti i tessuti, ma che, in particolare, contribuisce al danno renale (nefropatia), dei nervi periferici (neuropatia) e della retina (retinopatia) e allo stesso sviluppo del danno aterosclerotico dei grandi vasi. La glicazione della mielina delle fibre nervose è un elemento di danno aggiuntivo nella neuropatia periferica così come la glicazione del tessuto connettivo del derma e del tessuto sottocutaneo tendineo e periarticolare è determinante nella genesi delle complicanze cutanee e osteoarticolari della malattia. Anche gli acidi nucleici possono essere sede di glicazione con modificazioni strutturali del Dna e conseguenti alterazioni cromosomiche non estranee, per esempio, alla genesi delle malformazioni fetali più frequenti nella gestante diabetica.

I prodotti avanzati della glicazione (Age) si riversano anche in circolo andando a combinarsi con i recettori specifici di membrana presenti in vari stipiti cellulari dove inducono la formazione di radicali liberi di ossigeno e l’espressione di una serie di mediatori dell’infiammazione e della coagulazione che partecipano attivamente alla genesi delle complicanze. Con lo stesso meccanismo, gli Age interferiscono con il segnale insulinico contribuendo alla genesi della resistenza insulinica.

Pane tostato no

Oltre che dalla produzione endogena, gli Age possono originare anche da fonti esterne. La cottura del cibo, per esempio, specialmente se caratterizzata da una esposizione prolungata a elevate temperature, induce la generazione di prodotti della glico-ossidazione e  della lipo-ossidazione e una parte degli Age introdotti con l’alimentazione viene assorbita. Del resto, la reazione di Maillard o reazione di imbrunimento, un processo importante per la formazione di aroma, di appetibilità e di colore dei cibi, è stata per la prima volta descritta proprio in rapporto alle modificazioni subite dagli alimenti sottoposti a cottura. Il colore bruno che compare sulla superficie degli alimenti arrostiti come il pane tostato, ma anche la carne alla griglia o allo spiedo o fritta, è dovuto alla formazione determinata dalle alte temperature di prodotti avanzati della glicazione. Non sorprende perciò se l’uso di una dieta ricca di Age si traduce in una concentrazione ematica di Age  più elevata e, di conseguenza, in un rischio più elevato di complicazioni.  Una maggiore incidenza di complicanze vascolari e renali secondaria all’esposizione a livelli più alti di Age esogeni è stata di fatto dimostrata negli studi animali. Ancora, negli animali da esperimento è stato documentato che la somministrazione di cibi cotti ad alte temperature contribuisce all’aumento della insulinemia e alla comparsa di resistenza insulinica e di diabete.

Sana cottura al vapore

Alcuni ricercatori della Università di Copenhagen (AB Mark et al. Consumption of a diet low in Advanced Glycation Endproducts for 4 weeks improves insulin sensitivity in overweight women. Diabetes Care Publish Head of Print, published online August 19, 2013) hanno confrontato gli effetti di una dieta ad alto o basso contenuto di Age, seguita per un periodo di 4 settimane, in due gruppi di donne obese. Il tipo e la quantità dei cibi era la stessa nei due gruppi, che però si differenziavano per il metodo di cottura impiegato. Per ottenere una dieta ricca di Age, i soggetti erano invitati a friggere o arrostire in forno o alla griglia i loro cibi e a mangiare pane tostato. Il gruppo destinato a usare cibi poveri di Age era stato invece addestrato a bollire o cuocere al vapore i loro alimenti e a mangiare il pane non tostato. L’aderenza alla dieta dei due gruppi era dimostrata dalla escrezione urinaria di due tipici prodotti avanzati della glicazione, la carbossimetil-lisina e un derivato del metilgliossale, di molto aumentata nei soggetti che aderivano alla dieta ricca di Age.

Al termine del periodo di studio di 4 settimane, è stata osservata, in entrambi i gruppi, una modesta riduzione del peso e della circonferenza alla vita, ma questa differenza era significativamente più marcata nei soggetti sottoposti alla dieta povera di Age. Il risultato più importante della ricerca è stato comunque l’osservazione che l’assunzione di una dieta ricca di Age ha determinato un significativo incremento della insulinemia e della resistenza insulinica, calcolata con il metodo Homa-Ir e una riduzione dell’indice di sensibilità insulinica. L’introduzione con la dieta di Age non solo, quindi, facilita la comparsa di complicanze per l’innesto di meccanismi ossidativi, infiammatori e proliferativi, ma anche contribuisce alla comparsa di resistenza insulinica e quindi di diabete di tipo 2.

L’EMOGLOBINA GLICATA E I SUOI VALORI

I processi di glicazione hanno una valenza negativa, legati come sono al danno metabolico e vascolare. Non possiamo tuttavia non ricordare che dalla loro conoscenza abbiamo tratto un grande profitto nell’affinare la nostra tecnica di controllo del diabete.

Il processo di glicazione interessa anche le proteine circolanti, come l’emoglobina contenuta nei globuli rossi, una proteina a breve emivita, perché legata alla sopravvivenza dei globuli rossi, notoriamente di soli 120 giorni. Con la sua componente glicata (A1c), l’emoglobina racchiude la memoria della esposizione pregressa della molecola proteica alla concentrazione di glucosio. È stato così possibile utilizzare il dosaggio dell’emoglobina glicata come parametro di controllo metabolico, meglio riassuntivo del compenso medio rispetto al dosaggio puntiforme della glicemia, poiché questo è soggetto ad ampie oscillazioni nella giornata e tra giorni diversi, mentre l’emoglobina glicata esprime, con un solo numero, la glicemia media dei precedenti due mesi.

Oggi la terapia del diabete viene mirata al conseguimento di valori di emoglobina glicata inferiori al 7% e la stessa diagnosi di diabete e di prediabete può essere formulata sulla base della concentrazione di emoglobina glicata. La condizione di prediabete è infatti definita da valori di emoglobina glicata compresi fra 5,7 e 6,4% mentre sono diagnostici di diabete valori eguali o superiori al 6,4%.

Scopri il magazine online TuttoDiabete