Da oltre 50 anni si discute a livello scientifico sull’impatto che le parole e il linguaggio possono avere sulle persone con diabete di tipo 1 o di tipo 2: molto è stato scritto per esempio su come un linguaggio negativo possa generare un distress emotivo. La paura delle complicazioni è associata con distress emotivo e ridotta qualità della vita e il distress emotivo potrebbe comportare una risposta fisiologica che impatta anche sugli outcome clinici.
Ci sono prove scientifiche sperimentali che documentano questo tipo di correlazione in altre patologie croniche, ma al momento mancano ancora dati certi in merito al diabete e alle sue complicanze. Quello che sappiamo dalla ricerca è che spesso le persone con diabete hanno una percezione del rischio di sviluppare complicanze maggiore rispetto a quelli che sono i dati di prevalenza, sovrastimano il rischio: potrebbe esserci un problema nel modo in cui il rischio viene comunicato.
Un recente studio ha indagato quale linguaggio e quali “cornici contestuali” (frame) vengono utilizzati per parlare delle complicanze del diabete, attraverso l’analisi di una serie di pubblicazioni dedicate al diabete in Nordamerica e Australia.
Lo studio utilizza il concetto di framing elaborato dagli psicologi Amos Tversky e Daniel Kahneman: il modo in cui un problema viene formulato influisce sul modo in cui la persona percepisce il punto di partenza, rispetto a cui valutare i possibili esiti delle proprie azioni. Il linguaggio utilizzato determina, quindi, un processo di influenza selettiva sulla percezione dei significati che una persona attribuisce a parole o frasi.
In particolare nella comunicazione dei messaggi sul rischio in salute, il frame dei guadagni o quello delle perdite hanno effetti diversi sulle decisioni riguardo allo stile di vita e alla prevenzione: mettere in luce i guadagni, ovvero i benefici di un comportamento sano è un modo di comunicare più efficace rispetto mettere in evidenza le perdite.
Sovrastimare i rischi di complicanze, oltre a generare distress, ansia e paura, potrebbe non essere la scelta più felice nella comunicazione che ha come obiettivo quello di favorire l’adesione delle persone con diabete alla terapia e a comportamenti salutari.
I risultati della ricerca
I ricercatori hanno selezionato 125 articoli tra quelli prodotti all’interno di riviste in lingua inglese che si rivolgono specificamente a persone con diabete di tipo 1 e 2: Diabetes Forecast (American Diabetes Association) (17), Diabetes Dialogue (Canadian Diabetes Association), Circle (Diabetes Australia) e Diabetes Magazine (Diabetes New Zealand).
Dall’analisi degli articoli selezionati è emerso che le complicazioni in cui si parla più frequentemente sono quelle cardiovascolari (37%), seguite da retinopatia (31%), nefropatia (28%), alla neuropatia (25%) e infine altre complicazioni non specificate (25%).
Il 66% dei messaggi sulle complicanze conteneva un messaggio di rischio, riferimenti alle complicazioni non inquadrati in un discorso sui rischi si trovano principalmente in articoli che raccontano storie personali di convivenza con il diabete.
Più della metà degli articoli (56%) non indicava se le informazioni sulle complicanze si applicavano al diabete di tipo 1, al diabete di tipo 2, o ad entrambi, utilizzando il termine generico diabete senza definirlo.
Il fattore di rischio più comunemente citato per lo sviluppo o la progressione delle complicanze era semplicemente “avere il diabete” (66%). Frasi di questo tipo possono suggerire ai lettori che lo sviluppo delle complicanze è inevitabile e possono aiutare a spiegare lo sviluppo o il mantenimento di percezioni di rischio di complicanze distorte. I lettori che percepiscono le complicazioni come inevitabili possono sviluppare un senso di disperazione circa l’impatto delle loro azioni e ridurre di conseguenza i loro sforzi di cura di sé.
Molte delle variabili legate allo sviluppo o alla progressione delle complicanze del diabete sono state descritte brevemente e mancavano di dettagli, ad esempio “alti livelli di glucosio nel sangue” o “mantenere un peso sano”.
Il frame della perdita: senza informazioni chiare, senza speranza
Nella comunicazione sul rischio di complicanze del diabete, individuate dai ricercatori, dominano i messaggi inquadrati nel frame delle perdite: un focus sulle perdite o sugli esiti negativi delle complicanze è stato utilizzato in quasi due terzi dei messaggi di rischio.
La maggior parte dei messaggi di rischio (65%) sono presentati senza alcuna spiegazione di come i fattori di rischio siano collegati allo sviluppo o alla progressione delle complicazioni e non sono supportati dal riferimento a prove scientifiche. Un livello minimo di prove a supporto è stato fornito per il 17% dei messaggi di rischio di complicazioni e solo il 18% dei messaggi è stato accompagnato da riferimenti a prove evidence-based.
La maggior parte dei fattori di rischio sono stati descritti in termini generali e con una mancanza di dettagli (ad esempio, “alti livelli di glucosio nel sangue per un periodo di tempo” o “mantenere un peso sano”). Anche le strategie suggerite per ridurre il rischio tendevano ad essere brevi, generiche e prive dei dettagli necessario per metterle in atto. Inoltre, solo il 35% dei messaggi di rischio era supportati da prove scientifiche, e meno del 50% dei messaggi di rischio collegato al tipo di diabete.
L’utilizzo del frame delle perdite è in contrasto con le ricerche di comunicazione che hanno mostrato come sia più efficace nella prevenzione del rischio un linguaggio positivo, basato sui benefici più che sulla paura.
Interessante anche un altro dato emerso dall’analisi: i riferimenti alle implicazioni emotive o psico-sociali delle complicazioni sul lungo termine sono praticamente assenti (compaiono solo in 3 messaggi). L’impatto sul mondo della vita, e non soltanto sul corpo della persona con diabete sembra non essere considerato rilevante per indirizzare i comportamenti sani.
Consigli e interrogativi per chi comunica i rischi
Oltre al consiglio di ponderare meglio l’utilizzo del frame di perdita, i ricercatori concludono con alcuni consigli rivolti alle associazioni che parlano direttamente con le persone con diabete:
- Avere informazioni specifiche e basate sulle evidenze scientifiche è indispensabile per permettere alle persone con diabete di fare scelte informate e consapevoli nella loro vita quotidiana. Parte del lavoro di queste riviste potrebbe essere orientato, per esempio, ad insegnare come valutare la qualità delle prove scientifiche.
- Uno dei trend più recenti è quello della medicina personalizzata: anche per quanto riguarda la comunicazione del rischio di complicazioni del diabete, la tendenza è sempre più quella di valutare il rischio individuale. Questo pone un interrogativo per chi si occupa di comunicazione: ha senso fornire informazioni non specifiche e generiche, con il rischio di distorcere la percezione? Quali alternative ci sono?
A cura di Francesca Memini