L’adolescenza è un passaggio critico per chi convive con il diabete di tipo 1. L’adolescente deve, sempre più, rendersi autonomo e responsabile nel monitoraggio e nella gestione: deve ricordarsi di testare livelli di zuccheri nel sangue a cadenza regolare, assumere i farmaci, seguire il corretto regime alimentare e di esercizio fisico, cercando di integrare queste attenzioni nella vita e nell’ambiente sociale caratteristici di questa fase della vita. La scuola, il confronto con i coetanei, le attività nel tempo libero non sono sempre facilmente compatibili con la gestione del diabete.
Anche i genitori e gli operatori sanitari, che devono facilitare questa nuova autonomia, vivono un momento denso di responsabilità e di cambiamento.
Cosa succede quando gli obiettivi di controllo glicemico non vengono raggiunti? Sul piano fisico sappiamo che il ragazzo con diabete di tipo 1 può andare incontro a iperglicemia – che porta a lungo termine a numerose complicanze – o a ipoglicemia, che comporta, tre le altre cose, anche disorientamento, aggressività e confusione mentale.
L’impatto del mancato controllo non è soltanto sul piano fisico ma anche su quello – spesso sottostimato – della qualità della vita: stress, difficoltà cognitive, irritabilità, difficoltà relazionali e problemi di autostima per il ragazzo. Per i genitori, paura delle complicazioni a lungo termine, ansia per le conseguenze di un attacco ipoglicemico e tentativi di iper-protezione.
Che cosa si può fare per affrontare queste difficoltà? Possiamo trovare spunti utili parlando non solo con i diretti interessati, gli adolescenti, ma anche con tutte le altre persone coinvolte nel percorso di cura. È quello che ha fatto un gruppo di ricercatori americani raccogliendo video-interviste semistrutturate di adolescenti con DT1 e genitori e, in un secondo momento, anche quelle degli operatori sanitari.
Gli adolescenti (tra i 14 e i 18 anni) che hanno partecipato avevano le ultime 3 valutazioni dell’emoglobina glicata superiore ai parametri di controllo. I temi emersi dall’analisi dalle interviste sono stati principalmente tre:
- Le reazioni di fronte ai risultati negativi, nonostante gli sforzi;
- I sentimenti nascosti come fonte di comportamenti, tensioni crescenti, conflitti e allontanamento da sé;
- Le dinamiche relazionali di fronte al mancato controllo glicemico che possono sfociare in depersonalizzazione, distacco e disconnessione.
Per capire meglio come questi tre temi si intrecciano, proviamo a ricostruire, con un pizzico di fantasia, la storia prototipica che emerge dalle interviste.
Storia a più voci
Anna cammina veloce verso la scuola, con il suo zaino pieno di libri e una ciocca di capelli che continua a caderle sugli occhi. Alza il volume del cellulare al massimo e spinge gli auricolari nelle orecchie per mettere in silenzio il cervello. Non è l’interrogazione di storia della terza ora che la preoccupa, è un altro l’esame che vorrebbe evitare. Anna ha 16 anni e già da 6 anni in quello zaino non si porta solo i libri, ma anche una diagnosi di diabete di tipo 1. Rimette di nuovo a posto i capelli e marcia spedita a ritmo di musica.
Per la terza volta il valore dell’emoglobina glicata è risultata fuori dai parametri di controllo. Di nuovo. E di nuovo, dopo la scuola dovrà presentarsi all’ambulatorio, con quel pezzo di carta con i numeri sbagliati e sua madre e il dottore che la guardano… che odio quegli sguardi! Il fatto è che io ci provo… faccio del mio meglio, ma niente, non funziona. Poi arriva lei e si mette a urlare e a farmi il ripasso di quello che devo e non devo fare. Come se non lo sapessi… come se non lo avessi già sentite un miliardo di volte. Io sto cercando di fare del mio meglio, ma con questi valori nessuno mi crede. È così frustrante.
Un calcio a un sasso, si aggiusta i capelli ed entra a scuola, correndo incontro agli amici. Almeno qui non si parla sempre e solo di diabete.
Sono le 16.10, la madre di Anna è fuori dall’ambulatorio, controlla il cellulare per vedere se c’è qualche messaggio dalla figlia. Doveva già essere qui, è in ritardo, speriamo che non sia successo nulla. Ma perché non arriva? Erano d’accordo di trovarsi lì, Anna dopo la scuola andava a fare i compiti dalla sua amica Elena, ma sapeva che avevano appuntamento lì, alle 4 precise. Controlla di nuovo il cellulare. “Dove sei?????”: il suo messaggio whatsapp ha la doppia spunta di lettura, ma Anna non risponde.
La signora Lucia ha paura. Paura che sua figlia abbia avuto una crisi ipoglicemica, paura che sviluppi complicanze, paura che quei numeri si trasformino in un mostro peggiore. Ha paura ed è arrabbiata: perché vorrebbe proteggere sua figlia, ma sua figlia non vuole prendersi cura di sé e se nemmeno si presenta agli appuntamenti, chissà il resto…
Il dottor G è perplesso, come mai Anna non è presente alla visita di controllo? Ormai dovrebbe essere più responsabile, non devo certo essere io a dirlo. D’altra parte non sono io quello che ha il diabete, io non posso farci nulla. Mi creda, vorrei tanto poter fare di più ma non ho la bacchetta magica. Concentriamoci di più su questi valori. Mi faccia vedere di nuovo, fino a un paio di anni fa andava tutto bene e poi? Dobbiamo cercare di scendere almeno sotto i 9!
Fuori dall’ambulatorio, la signora Lucia controlla di nuovo whatsapp: “scusa mi sono dimenticata l’appuntamento, questa sera ti spiego!”. Respira profondamente mentre sale in macchina. Vorrebbe tanto urlare in faccia a sua figlia tutta la sua frustrazione, la sua rabbia, la sua paura. Inspira. Mette in moto. Espira. Parte.
Anna rientra a casa, fuori è già buio. Ciao sono tornata! Che c’è per cena? Ora si mette a strillare, lo so. È che… vedi… stavamo facendo i compiti e non mi sono accorta dell’ora. Domani ho un’interrogazione di fisica importante, Elena mi ha aiutato a capire alcune formule che non mi entravano in testa. Quando me ne sono accorta, era già troppo tardi. Era inutile che venissi.
Tanto è tutto inutile, è sempre inutile ogni mio sforzo, sbaglio sempre qualcosa, mi impegno ma tanto quei numeri non vogliono rimettersi in ordine. Altro che formule di fisica… quelle non mi entrano in testa solo perché devo sempre pensare a questo maledetto diabete!
È inutile urlare, mi dà sollievo per un po’, mi sfogo, ma a lei non fa bene, così non l’aiuto. Ogni mio tentativo di aiuto è inutile.
Che giornata! A volte mi sembra così inutile il mio lavoro. Soprattutto quando non si presentano ai controlli: cosa posso fare di più? Dove sbaglio?
I risultati della ricerca
Pochi studi fino a ora hanno messo a confronto i tre diversi punti di vista: la stessa narrazione in base al narratore può diventare una storia diversa, rivelando aspetti inattesi o nascosti, motivazioni inespresse e soprattutto permettendo di comprendere meglio le relazioni e le reazioni che si innescano tra le persone. Possiamo considerare genitori, figli e team medico come parte dello stesso sistema, uniti da un obiettivo comune – tenere sotto controllo il diabete – ma con percezioni distanti; e quello che ciascuno percepisce influenza le relazioni dell’altro.
L’aspetto più interessante che emerge da queste interviste è che medici, pazienti e familiari provano le stesse emozioni: senso di fallimento, frustrazione e rabbia.
Di fronte a queste emozioni, che non vengono espresse ma nascoste, le reazioni sono molto diverse: gli adolescenti diventano ribelli, anche rispetto ai loro compiti di monitoraggio e gestione del diabete; i genitori si lamentano, si arrabbiano, rimproverano e incolpano i figli. I medici si concentrano di più sulla malattia che sulla persona, si distaccano sul piano relazionale.
Ciascuno reagisce ai comportamenti dell’altro, senza considerare i vissuti e le emozioni che ne stanno alla base, e così la miccia è innescata. Il livello del conflitto si innalza sempre più, la discussione si sposta dall’integrazione della gestione del diabete nella vita quotidiana ai risultati degli esami. L’adolescente non vuole più saperne del diabete e della gestione del diabete. Siamo in un circolo vizioso.
Conoscere il punto di vista dell’altro permette di costruire un rapporto di collaborazione, facilitando l’esplorazione delle difficoltà e delle strategie per affrontarle, in ultima istanza permettendo all’adolescente una migliore gestione del diabete. Sappiamo da numerose ricerche, per esempio, che l’aderenza (o la mancata aderenza) alla terapia va affrontata da un punto di vista multifattoriale, tenendo presenti aspetti psicologici e sociali che possono emergere solo dall’ascolto reciproco.
Lo staff curante generalmente si concentra soltanto sugli aspetti tecnici della gestione del diabete, mentre per il paziente e i familiari sono l’esperienza e il significato della malattia ad essere determinanti per le scelte e per il comportamento.
L’ascolto e la collaborazione sono gli ingredienti migliori per affrontare l’adolescenza e le difficoltà di vivere con il diabete in questa fase della vita.
A cura di Francesca Memini
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