Da quando ci è stato detto: “Ora potete uscire, ma state attenti”, tutta l’euforia che pensavamo di riservare a questo momento è andata pian piano scemando.
Ci siamo guardati intorno.
Abbiamo preparato i vestiti, le scarpe, le mascherine e i guanti.
Pensavamo di essere pronti, ma qualcosa di inizialmente inespresso, ha cominciato a scalpitare e a farsi sentire a gran voce.
“Forse, per oggi, resto a casa”, ci siamo detti allora, “rimando a domani…tanto non devo fare nulla di urgente”.
Cos’è successo al nostro desiderio di libertà, che tanto ha caratterizzato il lockdown? Perché è così difficile tornare alla socialità?
Mi aiuta in questo tortuoso viaggio nella psiche la Dottoressa Greta Fraccascia, Psicologa. E partiamo proprio dalle origini, ovvero dai due istinti primordiali che ci caratterizzano:
“Si tratta dell’istinto di sopravvivenza e di quello di riproduzione. Il primo è costituito da questi atteggiamenti: attaccare, cercare riparo e cercare nutrimento. Quando percepisco una minaccia esterna si attiva il sistema simpatico, che produce due risposte: scappare o attaccare. La fuga è anche sinonimo di rifugio.
Il Covid non si può attaccare. È qualcosa di intangibile, indefinibile, impalpabile. Resta quindi la fuga.
Attraverso il cervello primitivo, istintuale, impariamo a scindere e a riconoscere una minaccia da una sicurezza.
La casa rappresenta una sicurezza.
La minaccia in questo caso non è solo fisica, ma anche psicologica. L’uomo, infatti, ha bisogno di risposte certe. Una volta che ci è stato detto: ‘State a casa’ ci siamo sentiti rassicurati da un’imposizione. Si trattava di una solitudine funzionale, non passiva, poiché ci è stato chiesto di restare a casa per il nostro bene, come forma di tutela, verso la nostra salute.
È molto diverso sentirsi dire: ‘Esci, ma stai attento’.
Il confine è meno definito e di conseguenza più arbitrario e porta, purtroppo, a sentirsi minacciati dalle altre persone.
Questo è molto pericoloso, perché siamo a tutti gli effetti animali sociali. Gli altri sono il nostro specchio: esisti tu, esisto anch’io.
La nostra identità si costituisce su tre livelli: il modo in cui io mi vedo, il modo in cui mi vedono gli altri e il modo in cui penso di essere visto dagli altri.
Ecco perché è imprescindibile il contatto con le altre persone.
Inoltre, il benessere di una persona non si quantifica basandosi esclusivamente sull’assenza di malattie, ma include componenti sociali e psicologiche. L’aspetto sociale è parte del nostro benessere”.
Alla luce di quanto detto, ecco alcuni consigli per vivere nel miglior modo possibile questa seconda fase.
“Pensiamo alla paura. Perché non proviamo ad utilizzarla in modo costruttivo? La paura è uno stato emotivo funzionale e vitale: ci permette di sopravvivere. A questa, però, va aggiunta una ragionevolezza. È necessario attivare il cervello superiore, ovvero quella parte della corteccia cerebrale finalizzata al ragionamento e al pensiero astratto.
Dobbiamo imparare a fidarci della nostra attenzione. Una persona con diabete è costretta a prendersi cura di sé costantemente; ad essere attenta a ciò che gli succede. Sa capire quando sta arrivando una ipoglicemia, ad esempio. Questo è il momento di sfruttare al meglio questo grado di attenzione, che, tramite il diabete, è andato ad affinarsi col tempo.
Per quanto riguarda il fatto di uscire con accorgimenti – guanti, mascherina, disinfettante – anche in questo caso, una persona con diabete può rifarsi a un’esperienza che già vive nel quotidiano. È normale infatti, per lei, uscire con glucometro, insulina, succo di frutta…
È automatico, perché vitale. Probabilmente, quindi, questa routine di prendere la mascherina, lavarsi le mani, stare attenti a non toccarsi, potrebbe essere più semplice per una persona col diabete, perché già è attuata nel quotidiano.
La consapevolezza del proprio corpo e l’attenzione alla propria cura sono strumenti molto importanti in questo momento.
Credo, alla luce di quanto accaduto, che sia essenziale riconoscere e rivalutare parti e situazioni del mondo esterno che abbiamo dato per scontato. Quante volte, prima del Covid, abbiamo rimandato la visita a un famigliare o a un amico, o abbiamo perso l’occasione di fare una passeggiata e di stare all’aria aperta? Tutto questo ha acquisito ora un significato nuovo. Impegniamoci tutti, affinché questo valore perduri nel tempo”.
A cura di Patrizia Dall’Argine