L’importanza di avere una memoria storica. il racconto della diabetologa Silvana Manfrini

Alcuni giorni fa, mi è arrivato un bel racconto.

Un re possiede un anello, vuole tramandarlo alla prole futura – a tutti coloro che, proseguendo l’albero genealogico, verranno dopo di lui – ma prima decide di far incidere al suo interno una frase breve, saggia, capace di curare e salvare. Si rivolge ai grandi studiosi del regno, ma – come accade spesso, in storie di questo tipo – nessuno degli accademici presenti riesce a riassumere in poche parole un pensiero complesso. Quella sintesi invece la padroneggia un uomo di strada, di poca cultura. Un uomo che prima di sapere la vita, la sperimenta, la attraversa. E questa è la frase tanto agognata che suggerisce al suo re:
“Anche questo passerà”.

Ho pensato che l’intervista fatta alcuni giorni fa alla dottoressa Silvana Manfrini, diabetologa presso l’ospedale di Senigallia, molto avesse a che fare con quanto descritto sopra.
Mi ha fatto ragionare sulla necessità di avere, sempre e comunque, una memoria storica degli eventi.
La sua memoria come dottoressa, come persona impegnata nella cura del diabete, è simbolicamente racchiusa in una vetrinetta nella quale sono conservati i primi glucometri, le vecchie siringhe di vetro (che dovevano essere bollite prima dell’uso), quelle di plastica e così via, fino ad arrivare ai microinfusori moderni.
Bisognerà inoltre ricordare, mentre guardiamo quella vetrinetta, che quando ha iniziato il suo percorso di medico “non esisteva diabetologia. Avevamo solo un piccolo ambulatorio all’interno di medicina”.
Lei certamente non potrà dimenticare i tanti corsi, gli eventi formativi, la sua ferrea volontà e dedizione nell’aggiornarsi, nel comprendere a pieno questa patologia per potersi rapportare ai pazienti nel modo più giusto, o meglio ancora più cosciente.
Perché, invero, l’evoluzione della medicina e della cura, va di pari passo con quella del medico.

E così anno dopo anno sono passate le decadi e la dottoressa Manfrini ha visto piccoli pazienti diventare adulti.
“I ragazzi si confidavano con me, mi parlavano dei primi amori. C’è sempre stato un grandissimo rapporto di fiducia. Ora sono le stesse persone che mi portano i confetti, perché nel frattempo si sono sposate e hanno avuto figli”.
E continua: “facile non lo è mai stato… non lo è per nessuno. Il diabete è una notizia a cui non si può essere preparati. Ma il diabete è una condizione. Va pensato come qualcosa che non funziona correttamente, ma verso il quale abbiamo moltissimi strumenti. Possiamo gestirlo al meglio. Ecco perché conservo tutto. Perché non posso dire a una persona col diabete che è fortunato: non lo è; ma posso mostrare che oggi è meno gravoso sostenerlo e che la ricerca continua. La storia insegna, porta ottimismo, perché ci ricorda che tutto si muove in avanti”.

Ecco allora che “Anche questo passerà” è una frase che può essere applicata persino a ciò che per sua natura è cronico. E scoprire che questo sempre – che è sempre fino ad ora, poi si vedrà – è composto da tanti momenti temporanei, che – nel bene e nel male – come arrivano, se ne vanno.
Un’ipoglicemia passa, un’iperglicemia anche.
Quello a cui si deve puntare non è la risoluzione della malattia, ma del disagio che ci sta attorno. Bisogna parlarne, non occultare nulla, perché siamo noi a dover comandare sul diabete, non il contrario. Sennò si trasforma in un cavallo senza briglie. Si deve parlare delle complicanze, senza averne paura. E si deve fare di più anche dal punto di vista educativo. Ai bambini, a tutti i bambini, si deve parlare di diabete”.

A cura di Patrizia Dall’Argine