Diabetrek 2011

Quest’anno siamo sulle Pale di San Martino, nella cornice delle Dolomiti per l’annuale appuntamento con Diabetrek, un campus sportivo dedicato ai ragazzi diabetici per condividere l’esperienza dello sport e della malattia.

“È inutile’ disse il vento ‘devo andare sul serio. Del resto, questa forse è la notte famosa in cui tu finirai di essere bambino. Non so se qualcuno te l’ha detto. Di questa notte i più non si accorgono, non sospettano nemmeno che esista, eppure è una netta barriera che si chiude d’improvviso. Capita di solito nel sonno. Sì, può darsi che sia la tua volta. Tu domani sarai molto più forte, domani comincerà per te una nuova vita, ma non capirai più molte cose: non li capirai più, quando parlano, gli alberi, né gli uccelli, né i fiumi, né i venti. Anche se io rimanessi, non potresti, di quello che dico, intendere più una parola’(…)La voce del vento si affievolì nel nulla. Senza dubbio egli continuò a salutare il ragazzo, rivolgendogli espressioni affettuose. Ma oramai era troppo in alto per poter essere udito. Benvenuto avrebbe voluto gridargli qualche parola, ma non riusciva a parlare, una cosa gli chiudeva la gola. Agitò allora il cappello, mentre si levava il sole, fino a che fu completo silenzio.” (da ‘Il segreto del bosco vecchio’ di Dino Buzzati)

Siamo tornati da pochi giorni dalle Pale di San Martino, da una bellezza che quando ti entra nel cuore ci rimane per sempre, scrivendo ancora tutti insieme un altro capitolo della storia di ADIQ, racconto ormai lungo e denso di avventure e scoperte. Le pareti e le torri delle Pale ci hanno accolto da subito con il sorriso del sole. I suoi raggi ci hanno accompagnato al tramonto, perdendosi tra le pareti immense, al calore e agli odori buoni del rifugio Pradidali. È stata subito salita densa, intensa ma nessuno si è lamentato, soprattutto i più giovani, ragazzi e ragazze, grande lo spirito, agili e andanti le gambe.

Molti di noi, anche gli adulti, hanno scoperto la ferrata, l’ebbrezza che dà salire cercando la sporgenza, l’emozione unica che unisce l’artificiale metallico, l’umano fatto di muscoli, nervi, sudori e brividi, il naturale, la roccia che sporge, il buco che è appiglio. Tutto diventa tocco sensibile, essenziale contatto, ricerca di sicurezza, prossimità, corpo a corpo benevolo e deciso con la parete ruvida, scivolosa a volte, che ti sostiene.

La montagna appartiene a se stessa, alle rocce antiche di cui è espressione e nella cui essenza si plasma, modellandosi, piegandosi, sgretolandosi; appartiene al cielo che la sovrasta e che spesso, geloso e paterno, la cela ai nostri sguardi troppo curiosi con coltri di nuvole che calano senza annunciarsi; è delle stagioni, del freddo, del caldo, del ghiaccio, del vento, dell’universo che era, che è e che sarà anche quando noi saremo oltre. Gli animali stessi, le poche specie che sanno abitare la vastità essenziale, scabra, inospitale dell’alta montagna la attraversano con rispetto, perizia, leggerezza. Per noi umani, più ingombranti e impacciati, pesanti e rumorosi, essa è una meta ambita che sempre ci spiazza, ci sorprende, ci tempra, ci appaga generando lacrime di gioia, quando riusciamo per poco a raggiungere le vette, a gettare lo sguardo oltre per riempirci gli occhi di ciò che avevamo sognato e immaginato. Da sempre siamo spinti a cercare cosa c’è lassù per poi gettare lo sguardo oltre. Tutto questo è umano ma il tempo lassù è assoluto e ci rimanda presto verso il basso, verso la tenda, il rifugio, la casa a ripensare al tempo di lassù che un po’ ci sfugge.

Alla montagna assomiglia il diabete, la storia che ci porta spesso tutti insieme sui monti. Anche il diabete ha picchi e valli, salire e scendere, avanti e indietro, continua ricerca di equilibrio che è sicurezza, benessere, stabilità. In montagna questo si guadagna con la fatica, il progetto, la capacità di vedere oltre e quindi di immaginare. Questo ogni volta ci portiamo dentro salendo i monti con ADIQ, insieme al diabete e a tutto ciò che esso significa per ognuno di noi.

In questo settembre assolato che sapeva d’estate anche in alta quota abbiamo vissuto una edizione del DIABTREK intensa e emozionante, come sempre colma di senso. Abbiamo condiviso il nostro viaggio con ragazzi e ragazze speciali, uguali a quelli e quelle che vivono la loro straordinaria età, speciali perché pronti, con entusiasmo e determinazione, ad accettare la sfida, a mettersi in gioco, ad affidarsi ad altri, più grandi, più forti forse perché la vita in parte l’hanno già conosciuta, goduta, sfidata, patita. Tutti insieme abbiamo camminato, scalato, ci siamo legati gli uni agli altri fiduciosi, con le corde, l’affetto, l’amicizia, l’allegria, siamo saliti e con noi è salita, invitata a gran voce, la voglia di stare insieme, di sudare insieme, di faticare e di andare.

Il diabete, come esperienza di vita, come impegno, come fatica, è stato un compagno presente, intorno ad esso si sono intrecciate le nostre discussioni, le valutazioni, le strategie, è salito con noi che la sfida avevamo raccolto e valutato. In queste occasioni speciali che diventano laboratori per sperimentarsi e tornare più forti e consapevoli alla vita di tutti i giorni, i ragazzi e le ragazze, gli uomini e le donne di ADIQ, provano a costruire scenari diversi e imprevisti per il diabete, contorni da definire insieme, condividendo stati d’animo a cui trovare spazi e nomi. Le montagne, le parole, le storie, i diversi approcci, le personali strategie, i dubbi, le impressioni, i pensieri si mettono dentro al cerchio che creiamo ogni volta per rendere questa condizione ancor più comprensibile a noi stessi e agli altri, a tutti quelli che nelle grandi pianure e tra le colline non capiscono, pensano che sia una storia che non li riguarda, non li tocca. Rendere più chiare le cose nella chiarezza dei monti ci fa scendere a valle fiduciosi di aver trovato quel qualcosa in più che a inizio salita ci mancava. Torniamo alla pianura dove tutto è un po’ più confuso e rumoroso e abbiamo già voglia di altre montagne, di ritrovarci per proseguire un discorso interrotto che non vuol fermarsi, altri orizzonti frastagliati che sappiano accogliere i nostri progetti e i nostri sogni.

Gianni Romani

Educazione, Ambiente e Territorio