Eleonora Betti e il suo diabete d’artista

Il divieto di sbagliare, è un monito che va letto al contrario.
Ad essere vietata, infatti, è la perfezione, “un’utopia che diventa crudele”. Così la definisce la persona che mi parla dall’altra parte del telefono.
Poche volte ho sentito qualcosa di più azzeccato e incisivo.
Il divieto di sbagliare è il titolo del suo primo disco, e ora sta lavorando al secondo.
Eleonora Betti è una musicista. Per essere più precisi, una pianista e una cantautrice. Insomma, per farla breve, un’artista.
È anche un insegnante. Ed è estremamente coerente, mi viene da pensare, perché anche insegnare è un’arte, un diverso tipo di palco, un atto creativo in divenire.
«Mi piace molto relazionarmi con persone più giovani, creare un’interazione. Ho la sensazione di avere l’opportunità di costruire ponti. Ed è mia convinzione, che ci siano ponti da costruire. Rifiuto l’idea dei giovani come di una generazione perduta».

Eleonora ha il diabete di tipo 1 dall’età di undic’anni.
«Sono cresciuta convivendoci nel quotidiano. Non vergognandomi, ma nemmeno sentendomi totalmente rilassata. A venticinque anni, mi è stato proposto di mettere il microinfusore. Inizialmente non volevo, perché pensavo mi avrebbe resa ancora più visibile, ma le glicemie non andavano bene e ne avevo bisogno. Alla fine, col microinfusore, sono stata meglio, e mi sono sentita persino più libera. Potevo mangiare ovunque, anche per strada, senza lo stress psicologico e le difficoltà pratiche di dover decidere se fare un’iniezione pubblicamente, o dovermi nascondere. Anche su questo, comunque, ci sarebbero tanti muri da abbattere. Poi, ho scritto un post sulla mia pagina Facebook, nel quale, per la prima volta, ho parlato del diabete. La reazione è stata sorprendente. Hanno iniziato a seguirmi molte persone. Una ragazza che conoscevo mi ha chiesto se potevamo incontrarci. Anche lei era diabetica e nemmeno lo sapevo. Questo è accaduto perché una persona cara mi aveva spronato, dicendomi: ‘È ora che smetti di vergognarti del micro, non credi?’. Ho lasciato maturare questa frase in me, finché ho deciso di parlarne apertamente».

«Il blog è stata la naturale evoluzione (diabetedartista). L’idea non era quella di dover rassicurare, ma volevo raccontare la mia esperienza in modo sincero, però anche ironico e leggero. Sono rimasta stupefatta. Mi hanno contattata molti genitori di bambini diabetici, dicendomi che leggermi gli restituiva un senso di enorme sollievo. Questo mi ha fatto riflettere. È interessante la reazione degli altri di fronte alla nostra vulnerabilità. Viviamo la cultura dell’essere perfetti a tutti i costi, eppure, quando ci si espone raccontando di qualcosa che non è andata bene, non sempre gli altri vogliono aggiungere zavorre. Il più delle volte si mettono in ascolto. Rendendomi visibile, altre persone hanno capito che possono, a loro volta, rendersi visibile. Che non è necessario nascondersi. Allo stesso modo, non ho nessun problema a rispondere agli alunni che mi chiedono, ad esempio, cos’è quel “bottone” che porto nel braccio (sensore), perché rispondendo libero chi mi ha fatto la domanda da un imbarazzo che avrebbe altrimenti, libero me stessa e libero tutti gli altri».

Rispondendo, liberiamo tutti gli altri. Una frase da stampare a lettere di fuoco, ogni volta che ci sottraiamo dal dire. Ogni volta che a un bambino che indirizza lo sguardo su qualcosa e qualcuno che è diverso, gli diciamo di non guardare, di non chiedere, di passare oltre.
Rispondendo, liberiamo. Svuotiamo di forza e di sostanza la materia di cui sono fatti i tabù, i pregiudizi e l’ignoranza.
Rispondendo, liberiamo dalle credenze limitanti che così bene abbiamo introiettato. E che ancora fanno associare la causa del diabete di tipo 1 ad un’assunzione spropositata di dolci.
Rispondiamo, per piacere. Facciamolo tutti. Come diventa leggera una vita priva di non detti.

E leggerezza è certamente la sensazione che mi arriva da Eleonora, quando mi racconta che ha iniziato a studiare pianoforte a sei anni e che questa passione è stata una grande lezione di vita, perché ha continuato a pulsare, ad ardere, a presentarsi come aria fresca, come qualcosa che vivifica e cura. Qualcosa che fa dimenticare tutto il resto. E infatti non si è mai fermata. Concerti, viaggi, un anno all’estero.
«Non ho mai esitato. Durante un concerto ho sempre con me una bustina di zucchero. Non ne ho mai avuto bisogno, ma se dovesse succedere lo direi semplicemente al pubblico, utilizzando il microfono. È il modo in cui crei le relazioni che determina le risposte. Inizialmente, pensavo che scrivere un blog sul diabete avrebbe spostato l’attenzione da me come musicista a me come persona con una malattia. Non volevo risultare patetica. Ma non è andata assolutamente così. Per cui ho continuato con tranquillità a raccontare quella parte di vita e a lavorare con la musica e le parole. E nelle canzoni le due cose stanno insieme».
E se volete sapere come stanno insieme nelle sue canzoni, ascoltate Il divieto di non sbagliare e concedetevi, nello stesso tempo di abbatterlo questo divieto.
«Portiamo con noi il carico di tutti i nostri errori. Più che portarne il peso, dovremmo sollevarlo e fargli prendere un po’ d’aria.
Il mio sistema immunitario, ad esempio, ha fatto un grande errore, se vogliamo metterla così. Ma io lo accolgo e lo umanizzo e lo abbraccio».

Non so voi, ma ad ascoltare le sue parole, io mi sento subito meglio.

A cura di Patrizia Dall’Argine