Qualche giorno fa ho scritto a Serena per organizzare il nostro appuntamento telefonico.
Prima di chiamarla ho preparato alcune domande; pensavo che avere una traccia da seguire potesse aiutare entrambe durante la chiacchierata.
Ovviamente nulla è andato secondo i miei piani. È bastato un minuto di conversazione per capire che con Serena non avrei seguito alcuna traccia, ma che sarebbe stata lei a tenere il filo del discorso.
“Mi sono sempre impegnata a fare apparire il diabete per quello che è, senza crogiolarmi o ingrandire la situazione”. Mi dice sorridendo.
Serena non ha bisogno di essere messa a suo agio. Complici le sue origini siciliane, emerge fin da subito un carattere forte e un buonumore contagioso.
Il suo desiderio di raccontarsi e la sua risata, sempre pronta a sdrammatizzare, mi spiazzano.
“Rispetto a chi scopre di avere il diabete in età adulta o durante l’adolescenza, quando vuoi semplicemente essere accettata dai tuoi coetanei e omologarti a loro, io devo dire che ci sono praticamente nata. Da piccolina ero la star tra i miei amici perché avevo le penne di insulina personalizzate, una volta con le stelline, una volta con le barchette, e tutti me le invidiavano. – Si ferma, ride e poi prosegue – Il diabete è cresciuto con me. Non ho mai sentito il suo peso in maniera ingombrante.”
Serena scopre di avere il diabete di tipo 1 all’età di cinque anni, a seguito di un dimagrimento improvviso. Le analisi del sangue non lasciano spazio a fraintendimenti: il valore della glicemia risulta di 484. Un numero che torna in maniera costante nella vita di Serena, anche se in circostanze sempre diverse.
“All’inizio ho subìto un po’ di emarginazione. Nessun compagno mi invitava più a casa sua per pranzare insieme. Poi mia mamma ha deciso di invertite le regole. Sarebbero venuti i miei compagni a pranzo da me. E così è stato.”
Serena mi dice che se il diabete non è diventato un nemico è grazie ai genitori, che le hanno sempre fatto vivere ogni situazione con estrema normalità, anche durante la fase delicata dell’adolescenza.
“Ricordo un bellissimo viaggio in Umbria, avevo 16 anni. A Chieti ho scoperto il microinfusore e non l’ho più lasciato. È uno strumento che ho scelto io e che mi ha cambiato la vita in meglio. So che non tutti lo accettano; devi volerlo. Io sono sempre stata a favore – si interrompe pochi secondi e poi aggiunge – adesso la tecnologia sta facendo passi da gigante. Il mio attuale microinfusore non è più quello che avevo a 16 anni. Nel frattempo sono usciti nuovi aggiornamenti che mi permettono di avere sempre tutto sotto controllo. Per esempio, ora ho i dati della mia glicemia sul cellulare”.
Serena mi conferma che vivere con il diabete adesso non è come qualche anno fa; ora si hanno più possibilità di condurre una vita normale. Ci tiene comunque a ribadire che per lei non è mai stato un problema.
“Ci sono persone bionde, persone con gli occhi azzurri e persone diabetiche come me. Non vivo assolutamente questa situazione con angoscia o preoccupazione, soprattutto grazie a chi mi ha sempre supportata. Mio marito Peppe, per esempio, che non ha mai identificato il diabete come un problema e mi sostiene ogni giorno”. Ingenuamente le dico che dovrebbe essere la normalità, ma lei ribatte “Purtroppo non è così scontato. Non tutti hanno la sensibilità che ha avuto Peppe nell’accompagnarmi in questo cammino. Per questo lo ringrazierò sempre”.
Di Serena mi colpisce la tranquillità e il suo desiderio di normalizzare la situazione.
Alla mia domanda su quali siano le sue passioni mi risponde che ama cucinare “sì, anche i dolci”.
Poi aggiunge che, per un fattore culturale e familiare, è cresciuta con l’idea che farsi un’unità di insulina in più sia meglio rispetto al privarsi di qualcosa che si desidera, perché è proprio in quella rinuncia che si vive il diabete come un nemico.
“Quando un genitore scopre che il proprio figlio ha il diabete e vive la situazione come un dramma, alzo il telefono e ci faccio una bella chiacchierata. È successo la scorsa settimana con una mamma di una bambina di sei anni. Siamo state al telefono mezz’ora. Voglio dare un aiuto concreto, ma soprattutto voglio che passi un messaggio di normalità. Con il diabete bisogna convivere, tanto vale accettarlo e imparare a volergli bene”.
In una chiacchierata di soli venti minuti, Serena mi ha insegnato tre cose:
che la prospettiva migliore con cui possiamo guardare le cose dipende da noi;
che aiutare con un sorriso chi vive la nostra condizione è un grande atto di coraggio;
che convivere con il diabete non è sempre facile, ma si può imparare ad accettarlo e normalizzarlo.
La nostra chiacchierata si conclude qui, ma prima di salutarci le chiedo se possiamo vederci di persona. “Ma certo! Ci organizziamo presto”.
A cura di Francesca Conti