Un progetto di geomedicina che lega Italia e Usa, contro il diabete: l’Italian Barometer Diabetes Observatory Foundation e l’Università di Roma Tor Vergata, in collaborazione con l’Università di Ginevra, ha portato davanti all’Ambasciata italiana di Washington DC, USA, la proposta di una nuova ricerca il cui scopo consiste nel focalizzarsi non tanto sulle basi genetiche, oggetto di numerosi studi, quanto sulla geografia del diabete di tipo 2 e sulle possibili relazioni con alcune caratteristiche sociali.
La scuola diabetologica italiana, all’interno di un clima di collaborazioni internazionali tipico della ricerca in campo medico, ha presentato a Washington questo nuovo progetto di geomedicina, in occasione del convegno “Quality of care and quality of cure in diabetes – Scientific, social, economic and policy approach” organizzato dall’Ambasciata d’Italia.
“Il progetto di ricerca applica le conoscenze e la pratica della geomedicina, una nuova disciplina che indaga i rapporti e le implicazioni dell’ambiente, in senso lato, con la genesi delle malattie”, ha spiegato Francesco Dotta, Segretario generale della IBDO Foundation e Direttore della UOC di Diabetologia del Policlinico Le Scotte di Siena. “È un progetto innovativo, che studierà il fenomeno in un’area pilota, la Regione Basilicata, che con il 6,9 per cento della popolazione colpito da diabete è una delle regioni Italiane in cui più si sta diffondendo la malattia.”
L’obiettivo – ha confermato lo stesso Dotta – è quello di capire come mai si affermino queste particolarità geografiche, che sebbene al momento vedono i riflettori puntati sulla Basilicata, sono in realtà diffuse in altre parti del mondo. Quali sono i determinanti sociali e geografici che possono incentivare la diffusione del diabete di tipo 2? La risposta a queste domande potrebbe gettare luce sulle cause della “epidemia” in atto in alcuni Paesi, e non in altri. Alimentazione, tipologia di lavoro, abitudini sportive e stili di vita possono essere dei validi “marcatori” da non sottovalutare, importanti tanto quanto le conoscenze sulla genetica.
Eleonora Maria Viganò
Fonte: Quotidiano Sanità