Io e Claudio ci sentiamo di nuovo via telefono. Ancora non ho la possibilità di vederlo dal vivo, di guardarlo negli occhi. L’ultima volta che ci siamo parlati era tramite una connessione traballina che ha creato un ponte invisibile tra Brasile e Thailandia.
Gli mancavano pochi mesi, ma doveva affrontare ancora tutta l’Africa.
E l’Africa non è proprio una passeggiata.
Di lui, e del suo Trip Therapy si è molto parlato, molto si parla e – speriamo – molto si parlerà (https://www.triptherapy.net/). Lo speriamo perché è giusto che le storie di altri facciano riflettere, sbalordire, commuovere, meditare e soprattutto ispirare.
Allora Claudio, più di tre anni fa, è partito con una buona dose di insulina nello zaino e si è andato a prendere il mondo.
L’ha fatto perché andava fatto. Andava fatto, perché non era felice. Non era felice a causa di una vita di rappresentanza che non lo rappresentava. Ha scelto di cambiare. Ha scelto di farlo in grande. Con tempi lunghi, spazi colossali, movimenti infiniti.
“Com’è stato il ritorno?” gli chiedo
“È stato come precipitare dentro un frullatore” risponde.
Sì, certo.
In quanti avranno avuto bisogno di abbracciarlo. In quanti avrà avuto bisogno di abbracciare lui.
In quanti gli avranno chiesto di raccontare. In quanti gli avranno chiesto come si fa.
Come si fa a star via tre anni? Come si fa a star via tre anni col diabete?
Si fa. Spendendo, tra le altre cose, soltanto 20,60 euro al giorno. No, non è fantascienza.
È vero più del vero. E sì, si può.
“Dove hai avuto più difficoltà col cibo?” gli chiedo
“Negli Stati Uniti” mi risponde. “Col budget che mi sono imposto, mi dovevo accontentare del cibo da fast food, che è cibo spazzatura e il diabete era difficile da gestire. Invece molto bene in Sud America e in Asia”
E poi c’è la questione non indifferente della dengue, una febbre emorragica che lo ha colpito in Colombia e che purtroppo ha dovuto affrontare.
E infine c’è tutta la questione dell’insulina, che si è congelata in Patagonia e che invece, dall’altra parte del mondo, precisamente nel deserto del Sahara, è stato necessario sotterrare, creando una buca nella sabbia.
Ma a parte questi casi estremi, la gestione del diabete è andata bene.
Ancora una volta: fantascienza? No, si può fare.
E dopo tre anni di avventure, il ritorno.
“Era ora” mi dice “Il ritorno è stato il momento più bello di questo viaggio”.
Certo, non è difficile immaginarlo. Pensarsi tra gli affetti dopo un tempo così lungo di lontananza.
Si viaggia per tornare, in fondo. E le radici mica le puoi spostare. Sono lì che ti aspettano. Puoi diventare foglia, volare lontano di Paese in Paese, ma la radice resta sempre lì.
“L’Italia è un posto meraviglioso, solo non sostenibile. È complesso vivere qui. Il costo della vita è altissimo”. E aggiunge che l’Australia, tra i tanti Paesi visitati, è quello che offre il miglior rapporto qualità e costo della vita.
Ora, piano piano, Claudio sta tornando alla quotidianità. Una quotidianità totalmente diversa da prima. È, infatti, attualmente impegnato nella presentazione del suo libro “L’orizzonte ogni giorno un po’ più in là” che lo sta portando in lungo e in largo per l’Italia.
È spesso invitato a tenere talk motivazionali, e credo, che in questo ambito, abbia davvero molto da insegnare, comunicare e condividere. Infine, è possibile viaggiare con lui. Organizza avventure per gruppetti di persone con la sua stessa passione. È così possibile visitare posti magnifici, come l’Islanda, con una guida d’eccezione. Prossima tappa: Marocco.
“Sei felice, Claudio?”
“Sì, decisamente” mi risponde “La questione è questa: Non mi sono ritrovato, direi piuttosto che ho trovato me stesso in modo stabile, con un maggiore equilibrio. La stabilità è stata la mia conquista”
La stabilità…Patrimonio di pochi.
Patrimonio, è certo, di tutti i coraggiosi.
Patrizia Dall’Argine