«Pratico la scherma come un atleta olimpico, ma non posso entrare in un gruppo sportivo militare, perché sono considerato al di sotto di un atleta paraolimpico».
Questa è l’amara considerazione di Giulio Gaetani, che non soltanto pratica la scherma come atleta olimpico, ma vince e vince tanto. E infatti ha conquistato la coppa del mondo di spada Under 20 nel 2019 e nel 2020. Sei podi, su sei gare.
Numeri che fanno girare la testa. Risultati che sono frutto di una volontà ferrea e di una dedizione irreprensibile, che certamente meritano plauso e grande ammirazione per chi, come lui, dedica la vita a uno sport, a un sogno.
Ma, la riflessione sulla quale voglio soffermarmi oggi non riguarda la vittoria. Perché anche se non stessimo parlando di un campione di tale calibro, ci troveremmo comunque di fronte a un paradosso, che bene ha descritto lo stesso Giulio all’inizio della nostra intervista.
Ovvero, il fatto di gareggiare come atleta olimpico, ma non poter entrare a far parte di un gruppo sportivo che permetterebbe a Giulio di allenarsi e beneficiare di un sostegno economico. Inoltre, a Giulio è preclusa anche l’opportunità di partecipare alle normali selezioni di accesso ai corpi militari tramite concorsi.
Insomma, Giulio Gaetani ha dimostrato, senza dubbio alcuno, di essere idoneo fisicamente, ma ancora non basta. Ha il diabete. E per il solo fatto di averlo, quanto dimostrato finora crolla come un castello di sabbia travolto da una corrente.
Come vogliamo chiamare questa corrente? Burocrazia? Discriminazione? Ingiustizia? A voi, che leggete, la scelta. Per quanto mi riguarda, vorrei optare per la parola cecità. Che più che una parola è una scelta. È la scelta di non ragionare tramite fatti, e quindi tramite un approccio di tipo empirico. È la scelta di etichettare cose e persone e metterle in una scatola sigillata. Tu sei così. E questo è quello che puoi fare. E questo è quello che ti è concesso. E oltre a questo non devi chiedere.
Che bella, allora, la storia di Giulio Gaetani, che ci dimostra che nessuna scatola può essere chiusa così ermeticamente da impedirne l’uscita. E infatti lui è uscito. Con una diagnosi di diabete dall’età di due anni.
Ci è uscito, quel giorno che, a causa di una otite, si trovava a casa da scuola. Aveva 8 anni e mentre lui fronteggiava quel dolore alle orecchie, Matteo Tagliariol diventava campione olimpico di spada maschile a Pechino, infiammando il suo cuore di bambino.
Ci è uscito quando ha compreso che quella fiamma non accennava a spegnersi e la sua vita tutta è stata spesa per alimentare quella fiamma e farla diventare fuoco. Così, ancora ragazzino, andava a Taranto per allenarsi la sera alle 18:00, dormiva da un amico e si svegliava alle 5 per tornare a Lecce, e andare a scuola.
E sempre per quel fuoco lui e sua madre si sono trasferiti a Torino da circa otto anni, affinché gli fossero concessi i migliori maestri e le migliori opportunità.
La spada è un vero e proprio lavoro, qualcosa che lo occupa quotidianamente, ma verso il quale non riceve alcuna retribuzione.
«La scherma è uno sport psicologicamente molto complesso. È uno sport individuale e quindi è tutto sulle tue spalle. È tutta tua la responsabilità. È uno sport che mi ha dato tanto, che mi ha fatto girare il mondo e incontrare tante persone. Non è facile, ma mi ha regalato esperienze uniche. Ora sogno le Olimpiadi».
Fuori da quella scatola, da quell’etichetta, da quei non puoi, Giulio Gaetani ha combattuta e ha vinto.
Una vittoria che ha un peso maggiore, considerando che gli altri atleti non devono fare i conti con andamenti glicemici tutt’altro che propizi.
Allora, sperando che Giulio possa trovare – nel più breve tempo possibile – il riconoscimento che merita, lo ringrazio per avermi mostrato in maniera così vivida cosa siamo in grado di compiere quando dedichiamo la vita al fuoco che ci arde dentro.
A cura di Patrizia Dall’Argine