Guido: “non sono fatalista, sono realista”. Storia di un artigiano tuttofare, che convive da più di 30 anni col diabete

Eravamo uno di fronte all’altro per la Vigilia e poi per il Pranzo di Natale.
Sul tavolo – prevedibile – è passato di tutto. Un percorso culinario che abbiamo affrontato tutti con le migliori intenzioni di moderazione, senza, peraltro, riuscirci.

“Quanto mi faccio di insulina, Cele?”, chiedeva Guido a sua moglie.
Ho sentito rivolgerle spesso questa domanda nel tempo.
Sembra che la gestione del suo diabete, a distanza di più di 30 anni dall’esordio, sia ormai appannaggio di tutti e due.
E in queste feste, in particolare, Celestina è più preoccupata a sollecitarlo in termini di: “Guido, per favore, basta, trattieniti…”.
Ma come ci si può trattenere? Che fatica, penso quest’anno, come tutti gli anni.
Che fatica, starà pensando Guido. Doppia per lui, mentre sotto il naso volano piatti di cappelletti in brodo, che per noi, della bassa parmense, rappresentano qualcosa che riguarda non solo il gusto o la gola, ma l’attesa, la condivisione, l’essere lì tutti insieme.

Guido è il padre di mio cognato.
Ci conosciamo da tanto tempo, ma mai gli ho chiesto di parlarmi del suo diabete.
Stavolta però lo faccio. Vado a trovarlo nel suo garage, dove ha allestito un laboratorio. Quest’uomo, lo giuro, sa fare tutto.
L’ho visto arrangiarsi in qualunque situazione, occuparsi di giardinaggio, potare roseti – rigorosamente senza guanti – “Tanto non mi pungo” afferma. E poi l’ho visto cimentarsi in avventure idrauliche, o di carpenteria, montare e smontare qualsiasi marchingegno.
Portagli un problema, te lo risolve. Il tuttofare per antonomasia.

Nel laboratorio c’è legno un po’ dappertutto. Ultimamente si dedica all’artigianato. Ha ideato presepi e alberi di Natale. Ci mette intere giornate, li rifinisce, cambia un particolare, lo arricchisce, si dedica con cura e pazienza.
Mi mostra la sua ultima creazione. È una lampadina che simula un fuoco, inserita all’interno di una composizione di legno che ricorda un falò.
Il fuoco di Guido, quello che brucia in lui e che lo caratterizza, per lo meno ai miei e occhi, è questa creatività, questa attitudine a costruire. E presumo che questa sua capacità di sistemare, aggiustare, dar vita a qualcosa di nuovo lo abbia aiutato anche nell’esordio col diabete.
Aveva 45 anni, una vita lavorativa molto frenetica, un’alimentazione disordinata e squilibratissima.
Donava il sangue. “Hai la glicemia alta”, gli dicevano. Fino a quando non ha potuto donare più. Esordio del diabete preannunciato, inevitabile.
“Mi sono dovuto limitare. Tutte le persone con diabete sono golose. Se non lo sono, lo diventano”.
“A cosa hai rinunciato a causa del diabete?”, gli chiedo. “Alle uscite goliardiche con amici, il cui fulcro era lo stare a tavola…”.
Non si è mai dedicato allo sport, ma ugualmente bruciava calorie, con lavori pesanti: “Vangavo a mano per 7/8 ore al giorno, senza fermarmi… Per fortuna sono instancabile”.
Ed è così, questa è una delle parole chiave per definirlo: instancabile. Indaffarato. Attivo. E positivo.

Ha un modo curioso di parlare del diabete, come una cosa accaduta, più o meno come tante altre, alla quale non ha dato più valore di tante altre.
Mi dice che non si è mai spaventato, che non ha mai avuto paura, eccetto una volta in cui è andato pesantemente in ipoglicemia.
“Io sono tranquillo. Ho 72 anni. La mia famiglia è sistemata, i miei figli stanno bene”.
Anche Michele, suo figlio maggiore, ha il diabete. Ma Guido gli riserva lo stesso ottimismo che riserva a sé stesso.
“Sei fatalista”, gli dico.
“Sono realista”, controbatte.
E mi viene da sorridere. Perché lui è proprio così. È una persona, credo, che sa vivere bene il tempo presente. E questo è un pregio davvero invidiabile.

Fuori è una bellissima giornata di fine dicembre. C’è il sole e riesco a vedere, nitidamente, la punta innevata delle montagne lontanissime.
Piccoli miracoli nella bassa parmense.

A cura di Patrizia Dall’Argine