E’ quindi naturale che in uno studio del genere una condizione cronica così diffusa e rilevante come quella diabetica, che coinvolge alcuni milioni di italiani, ricevesse particolare attenzione.
E allora, dunque, gli italiani hanno paura del diabete? Si potrebbe rispondere con una sorta di ossimoro: non ne hanno paura, però lo temono. In altre parole, la risposta cambia a seconda della domanda posta. Infatti, il campione interpellato da Makno, rappresentativo della popolazione italiana adulta, alla domanda “quale malattia vi fa più paura?” risponde anzitutto “il tumore, il cancro” (40,7% delle risposte). Il 6% dichiara di temere l’infarto, il 3% indica l’Aids, il cancro al polmone, il carcinoma della prostata o della mammella, il 2, 7% l’ictus. Sorprende il fatto che più del 30% non sappia rispondere alla domanda. Il diabete parrebbe ignorato o dimenticato: è nominato soltanto nello 0,4% delle risposte.
Se però alle stesse persone si presenta un elenco delle principali malattie croniche e si chiede loro di attribuire a ciascuna il suo livello di gravità, usando una scala da 1 a 10, ecco che il quadro muta. La maggioranza degli intervistati, in tutte le fasce di età, sembra ben consapevole che con il diabete non si scherza e lo colloca al terzo posto, insieme con la osteoporosi, nella graduatoria della pericolosità e serietà della patologia: indice di gravità 7,2, inferiore soltanto a depressione e ansia cronica (7,6) e insufficienza cardiaca (8,1) e superiore ad artrite e ipertensione. Sembra quindi che la coscienza del problema esista, e che abbia piuttosto bisogno di essere risvegliata con una specie di procedimento maieutico.
Se dunque è pur vero che sono soprattutto gli eventi acuti a spaventare e a colpire l’immaginario degli italiani e che le patologie croniche sono ancora un po’ sottovalutate, benché siano in rapida crescita, i risultati dell’inchiesta non devono essere valutati negativamente. Secondo Marco Comaschi, già presidente di Amd e responsabile di medicina interna all’Ospedale La Colletta di Genova-Arenzano, “la serietà del diabete viene colta appieno dalla popolazione. Esiste quindi uno spazio di crescita nella misura in cui riusciremo a far capire che infarto o ictus, che tanto fanno paura, in buona parte sono conseguenza del diabete o della sindrome metabolica”.
Il Bilancio Sociale Salute ha approfondito l’analisi sondando i propri interlocutori sul concetto di cronicità, che proprio il diabete rappresenta in modo esemplare. Anche qui i risultati sono da considerarsi positivi, secondo Amd. Vediamo in che senso.
Di fronte alla malattia cronica in generale, continua a prevalere il modello ideologico dominante che prevede di “combattere sempre la malattia e puntare alla guarigione”: lo sostiene il 74% del campione. Comaschi sottolinea però che è estremamente importante che esista un 22% che ritiene giusto “abituarsi a convivere con la malattia”. “Sono colpito molto positivamente da questo dato -afferma il diabetologo- perché indica un distacco da quel modello un po’ miracolistico che oggi ancora prevale. E’ invece importante, ed è un problema che noi in quanto diabetologi sentiamo molto, che un paziente come quello diabetico si abitui a convivere con la sua condizione e impari a gestirla bene, grazie all’informazione, al dialogo con il medico e all’educazione terapeutica. Questa disponibilità, manifestata da una buona percentuale di persone, è significativa: ci dice che un quinto degli italiani ha colto benissimo la sfida che la patologia cronica pone e ha anche le idee chiare su come rispondere”.
A quest’ultima considerazione del dottor Comaschi danno sostanza le risposte alle domande che la Makno ha posto al sotto-campione di coloro che hanno manifestato “attenzione” alla questione della cronicità o che la vivono direttamente. A queste persone è stato domandato di valutare alcune proposte utili per favorire la convivenza con una malattia cronica. Ebbene, il 38,7% ha indicato come misura efficace “una maggiore assistenza specialistica”, il 26,2% “un’informazione mirata”, il 22,8% “più risorse ai medici di famiglia e agli ospedali”, il 18,1% “un più facile accesso alle strutture del Servizio sanitario nazionale”, il 15,6% la promozione di “un cambiamento di mentalità con l’aiuto di psicologi”, il 12,2% la corresponsabilizzazione dei pazienti. Soltanto il 14% di questo gruppo non si è sentito in grado di rispondere: una percentuale piuttosto bassa per una domanda così complessa -fa notare il presidente di Makno Mario Abis- segno, quindi, della maturità delle persone interpellate. Inoltre, dinanzi a una condizione cronica, il 46,5% manifesta un atteggiamento di reattività e positività, il 25,1% oscilla tra stati d’animo contrapposti, ora di combattività, ora di scoramento, e soltanto il 22% si abbandona alla rassegnazione
Sembra quindi cominciare a farsi strada una nuova visione della salute, che non fa più riferimento allo schema classico malattia-guarigione, perché deve fare i conti con le condizioni croniche, quelle che non guariscono, e deve pertanto fare propria la cultura della prevenzione, dell’attenzione ad abitudini e stili di vita, della capacità di convivere con la patologia e imparare a controllarla. Sembra il ritratto del buon paziente diabetico.
In particolare, gli intervistati, chiamati a esaminare le misure preventive più utili, mettono al primo posto l’attività fisica regolare (indicata da circa il 50% delle persone), una alimentazione sana ed equilibrata (45,3%), la rinuncia a fumo, alcol e droghe (29%), regolari esami di controllo (28,9%).
L’altro tema importante della ricerca Makno era il punto di vista degli italiani sul funzionamento del sistema sanitario e sulla qualità dell’assistenza. La media generale non arriva alla sufficienza: dall’1 al 10, il nostro sistema sanitario ottiene un modesto 5,58. Esistono però nette differenze nella valutazione dei diversi attori e componenti del sistema e per molti di essi i cittadini mostrano soddisfazione. Il voto più alto va al medico di famiglia (7,4), seguito dai laboratori di analisi (7), dagli specialisti (6,8), dal pronto soccorso (6,5), da reparti e operatori ospedalieri (6,4). Quello che proprio non merita la sufficienza, secondo gli italiani, sono l’assistenza agli anziani e i servizi amministrativi.
L’apprezzamento verso il medico di medicina generale è un elemento molto positivo, secondo la Amd, che, come sottolinea Comaschi, “da anni ha individuato nel medico di famiglia il suo naturale interlocutore in un’assistenza diabetologica a dimensione d’uomo”.
Secondo l’Associazione medici diabetologi, la cronicità, e dunque il diabete, devono essere affrontati in modo diverso da come ancora si fa oggi nella maggioranza dei casi: fondamentale, come comincia ad avvenire in varie parti d’Italia, è che si costruisca intorno alla persona diabetica una équipe capace di coinvolgere, in una collaborazione integrata, tutte le figure professionali interessate al problema. Ma, come dice ancora Comaschi, “di questo team deve far parte anche il diabetico, che impara a curare sé stesso”. Ebbene, dal Bilancio Sociale Salute, emergono confortanti conferme del fatto che un paziente disponibile, consapevole e non passivo né rassegnato di fronte alla patologia cronica, comincia a essere una realtà.