Impariamo a contare
Il corretto dosaggio dell’insulina è strettamente legato alla quantità di glucidi assunti: se si apprende il meccanismo di valutazione di questo rapporto si può regolare al meglio la terapia e tenere sotto controllo la glicemia
Manca spesso nei pazienti la capacità di dosare l’analogo rapido dell’insulina prima dei pasti in rapporto alla composizione di questi per evitare l’insorgenza di iperglicemie postprandiali. Ogni paziente dovrebbe essere addestrato al calcolo dei carboidrati contenuti in ogni pasto per utilizzare al massimo le ottime qualità degli analoghi rapidi di cui oggi disponiamo.
Il concetto fondamentale che ogni paziente deve acquisire è che l’innalzamento postprandiale della glicemia, che raggiunge il suo picco mediamente dopo 90-120 minuti, è dovuto all’assorbimento del glucosio derivato dalla digestione dei carboidrati contenuti nei cibi ingeriti e che, per contenere entro limiti fisiologici l’incremento glicemico, è necessario iniettare nel tessuto sottocutaneo, preferibilmente subito prima del pasto, una dose di insulina valutata insieme con dietista e diabetologo, che generalmente è di una unità per ogni 10-15 g di carboidrati ingeriti ed è dipendente dalla sensibilità insulinica individuale.
Un modesto contributo all’innalzamento glicemico può derivare anche dalla quantità di proteine e grassi presenti nel pasto, ma il loro processo di trasformazione in glucosio richiede un tempo più lungo, cosicché il loro impatto sulla glicemia immediatamente postprandiale è modesto. In un pasto misto, inoltre, si attenua la differenza esistente fra carboidrati complessi e semplici, caratterizzati, ove ingeriti singolarmente, da una diversa velocità di assorbimento e cioè da un diverso indice glicemico. Ciò che quindi conta nel valutare la dose di insulina necessaria per la metabolizzazione di un pasto è soltanto la quantità complessiva di carboidrati in esso contenuta. A parità di volumi ingeriti, può avere invece un effetto sulla velocità di ascesa della glicemia la quantità di grassi e di fibre perché, nel primo caso, si ha un ritardo nella velocità di svuotamento gastrico e, nel secondo, un ritardo nella velocità di digestione intestinale.
Acquisire la capacità di contare i carboidrati significa aumentare la flessibilità della dieta, controllare l’iperglicemia postprandiale, ridurre la variabilità glicemica e il rischio di ipoglicemia e, in ultima analisi, migliorare il controllo metabolico. L’alternativa al conteggio dei carboidrati è il ricorso alle liste di scambio di cibi equivalenti per variare la dieta senza modificare il contenuto di carboidrati del singolo pasto e mantenere quindi inalterata la dose di insulina. Questa metodologia è però fortemente limitativa delle possibilità di scelta del soggetto e lo espone al rischio di ipo o iperglicemia ogni qual volta esca da un ambito assai circoscritto di opzioni alimentari.
Il conteggio dei carboidrati conferisce quindi al soggetto in terapia insulinica una piena flessibilità di vita e lo mette in grado di fronteggiare anche situazioni impreviste senza incorrere nel rischio di compromettere il suo equilibrio metabolico. È perciò importante offrire ai diabetici in terapia insulinica e particolarmente ai giovani con diabete di tipo 1, un percorso educativo che dia loro le competenze necessarie per:
• riconoscere il contenuto di carboidrati dei singoli alimenti
• valutare la quantità in grammi della porzione prevista di cibo
• calcolare la conseguente quantità di glucosio da ingerire
• definire la dose di insulina da assumere sulla base della sensibilità individuale all’insulina.
Il contenuto di carboidrati può essere desunto dalle tabelle di composizione dei singoli alimenti, dalle etichette nutrizionali, ove disponibili, e dalle varie pubblicazioni sull’argomento, spesso illustrate con immagini di piatti già pronti per il consumo. La sensibilità individuale all’insulina può essere dedotta dalla esperienza pregressa o dai risultati di test appositamente disegnati e di facile esecuzione. Ulteriori informazioni su questa tematica potranno essere utili per un uso appropriato della terapia insulinica, un controllo metabolico ottimale e una normale libertà di vita dei diabetici di tipo 1. Sensibili progressi sono stati fatti in questa direzione con lo sviluppo di mini-infusori potenziati da un sensore del glucosio e dotati di algoritmi capaci di tradurre le variazioni glicemiche in corrispondenti variazioni della velocità di infusione dell’insulina, ma siamo ancora lontani da una traduzione pratica delle conoscenze finora acquisite.