Il cuore domina la scena

CONGRESSI

Il cuore domina la scena

Le novità dal 44° Meeting della EASD

Alle assise di Roma sono stati presentati i risultati di alcun importanti studi sulla relazione fra il livello glicemico e il rischio cardiovascolare e sui criteri di scelta delle terapie più efficaci

Grande successo ha avuto l'edizione 2008 (la quarantaquattresima) del Congresso della Associazione europea per lo studio del Diabete (Easd), svoltasi negli spazi assai funzionali della Nuova Fiera di Roma. La partecipazione è stata massiccia: più di 6000 delegati provenienti da ogni Paese, Stati Uniti inclusi. Non vi è argomento in ambito diabetologico che non sia stato affrontato nelle innumerevoli sessioni e simposi in cui erano articolati i lavori congressuali. Un particolare interesse è stato suscitato dalla contemporanea presentazione di alcuni dei più importanti studi eseguiti negli ultimi anni sul diabete di tipo 2: lo studio Accord, lo studio Advance, lo studio Vadt e lo studio di monitoraggio dei pazienti arruolati nell'Ukpds, eseguito a partire dalla conclusione dello studio di intervento. Tutte le ricerche, di ampia estensione numerica -Accord e Advance hanno arruolato più di 10.000 pazienti- miravano a chiarire una volta per tutte l'eterno dilemma del rapporto fra controllo glicemico e complicanze cardiovascolari. Per questo fine, i pazienti sono stati randomizzati, cioè sottoposti in maniera deliberatamente casuale a una terapia standard o a una terapia intensiva. Tutti i pazienti arruolati negli studi Accord, Advance e Vadt erano caratterizzati da una lunga durata del diabete, da uno scarso controllo metabolico e dalla presenza di complicanze o di fattori di rischio cardiovascolare in atto. I risultati sono stati almeno in parte motivo di sorpresa, perché, in buona misura, inattesi.

Nello studio Accord (Action to control cardiovascular risk in diabetes) l'obiettivo della terapia intensiva era molto ambizioso: mirava a ottenere il più rapidamente possibile e a mantenere nel tempo valori di emoglobina glicata assolutamente normali e cioè inferiori al 6%. I risultati sono stati assai deludenti, perché lo studio è stato interrotto dopo tre anni e mezzo per un eccesso di mortalità nei pazienti in terapia intensiva. Nello studio Advance (Action in diabetes and vascular disease: preterax and diamicron MR controlled evolution) l'obiettivo della terapia intensiva era di poco diverso, in quanto puntava a ottenere un valore di emoglobina glicata inferiore a 6,5%. Ancora una volta, i risultati sono stati almeno in parte diversi da quelli attesi, poiché i pazienti in terapia intensiva non hanno presentato, dopo un periodo medio di follow-up di cinque anni, alcun vantaggio in termini di eventi cardiovascolari maggiori e di morte cardiovascolare o da qualsiasi causa. Viceversa, è stata osservata, nei pazienti in terapia intensiva, una netta e significativa riduzione della insorgenza di nefropatia (comparsa di microalbuminuria) e della progressione di una nefropatia preesistente. Risultati simili sono stati ottenuti nello studio Vadt. Dopo 5 anni e mezzo anni di follow-up, i pazienti in terapia intensiva -per i quali l'obiettivo era  quello della normalizzazione della HbA1c- non hanno presentato alcun vantaggio in termini di mortalità generale e di complicanze cardiovascolari.

Diversi sono stati i risultati ottenuti nel Post-monitoring study (Pms) che ha fatto seguito all'Ukpds. E' opportuno ricordare, al proposito, come l'Ukpds avesse dimostrato che il controllo glicemico era in grado di prevenire  le complicanze microvascolari ma non quelle macrovascolari. Nel Pms, oltre 3000 dei 4000 pazienti inizialmente arruolati nello studio di intervento, sono stati seguiti per 10 anni senza che si esercitasse alcuna influenza sulla scelta della terapia o sull'obiettivo glicemico da perseguire. In effetti, la differenza nei valori di HbA1c, fra il gruppo in terapia intensiva e quello in terapia standard, è andata rapidamente annullandosi. Ciononostante, a distanza di 10 anni, i pazienti precedentemente in terapia intensiva, non solo hanno mantenuto l'effetto di protezione sulle complicanze microvascolari, malgrado che non vi fosse più da tempo alcuna differenza in termini di HbA1c con i pazienti in terapia standard, ma hanno anche acquisito un vantaggio in termini di complicanze cardiovascolari, con una incidenza significativamente inferiore di infarto del miocardio.

I risultati degli studi citati sembrano in parte contraddittori: mostrano, infatti, una mancata efficacia del controllo metabolico a breve termine (studi Accord, Advance e Vadt) e un effetto invece positivo a lungo termine (Pms). Ma la contraddizione è più apparente che reale. I risultati negativi degli studi Accord, Advance e Vadt ci insegnano che in pazienti come quelli arruolati negli studi (lunga durata e complicanze in atto), una terapia ipoglicemizzante eccessivamente aggressiva può avere effetti neutri o addirittura negativi. Il controllo glicemico, in pazienti particolarmente fragili come quelli arruolati per queste indagini, deve essere preferibilmente graduale, tendente a una HbA1c eguale o di poco inferiore al 7%, in modo da evitare il rischio di episodi ipoglicemici assai pericolosi. Maggiore rilievo può avere, in questa fase della storia naturale del diabete, il controllo degli altri fattori di rischio, quali la dislipidemia, l'ipertensione arteriosa e l'ipercoagulabilità.

Con questo non si vuole affermare che il controllo glicemico non abbia rilevanza nella prevenzione del danno arterioso. Infatti, il Pms ci dice che la terapia intensiva rende manifesti i suoi effetti anche a distanza di molti anni nei soggetti che, sopravvivendo per un lungo periodo, non hanno subito il danno di altri e più aggressivi fattori di rischio. L'insegnamento conclusivo che ci viene dagli studi citati è quindi quello secondo cui la terapia del diabete non può essere ricondotta a protocolli standardizzati, bensì deve essere sempre individualizzata, confezionata, cioè, secondo le caratteristiche cliniche e biologiche dei singoli pazienti.

Nuovi farmaci in vista

Controllori della glicemia

Molto spazio è stato dedicato nel Congresso Easd alla acquisizione di nuovi strumenti farmacologici. Un notevole accento è stato posto sui nuovi farmaci di tipo incretinico, di cui è stata dimostrata l'efficacia in numerosi studi, in particolare sulle nuove formulazioni, ancora non disponibili, ad azione ritardata, di exenatide e di GLP-1, la prima da somministrarsi per via sottocutanea, una volta la settimana, e il secondo con una iniezione giornaliera. E' stata documentata anche l'efficacia degli inibitori della dipeptil-peptidasi IV (DPP IV), da sola o in associazione ad altri ipoglicemizzanti orali. Infine, una nuova classe di farmaci ipoglicemizzanti si affaccia sullo scenario terapeutico ed è quella degli inibitori del trasportatore del glucosio (Sodium-glucose transporter 2 o SGT2) che, impedendo il riassorbimento del glucosio a livello renale, riducono la glicemia attraverso l'induzione di una perdita renale di glucosio. (P.B.)