Il diabete e la tecnologia

Recentemente mi è capitato di condurre un laboratorio di scrittura creativa con ragazzi di seconda superiore.
Hanno scelto di parlare di intelligenza artificiale. Si sono fatti ispirare da Jarvis, l’assistente virtuale di Ironman. Gli ho chiesto di immaginare il loro assistente virtuale. Cosa era in grado di fare e come lo faceva. Per la maggioranza di loro, era essenziale che rispondesse alle interrogazioni. Come dargli torto.
Man mano che ci addentravamo nella descrizione, l’assistente virtuale assumeva i tratti di un amico onnisciente, in grado di prevedere i desideri, conoscere i gusti, e offrire una spalla virtuale su cui piangere.
È stato bello vedere come venisse, man mano, antropomorfizzato, e caricato di attributi quali empatia e comprensione.

Questo mi ha fatto riflettere sul tema della tecnologia. Un tema il cui dibattito è sempre acceso e aperto: dove si ferma la tecnologia e dove iniziamo noi?
Anche se forse, ultimamente, l’idea di questo confine immaginario è stata scalzata da una ipotesi di commistione virtuosa, nella quale l’uomo e la macchina collaborano.
Ho provato a virare questo tema nella mia vita di tutti i giorni. Come viaggiatrice solitaria, la tecnologia mi ha risolto parecchie grane. Avere una mappa che segnala costantemente dove sei, per una come me, che non è particolarmente dotata in senso dell’orientamento, sgrava da ansie di vario genere. E poi prenotare ostelli, autobus, aerei dal telefono non sarà poetico, ma è certamente comodo.
La perdita del romanticismo del viaggio è un po’ lo scotto da pagare.

Ma se spostiamo la prospettiva più in là e pensiamo alla tecnologia necessaria non per soddisfare una passione, ma per risolvere un problema, ad esempio, in termini di salute, la questione cambia radicalmente.
I parametri da considerare sono altri.
Se c’è una cosa che ho raccolto in tutti questi anni è il senso di miglioria immediato e misurabile che la tecnologia ha apportato nella vita di persone con diabete.
Microinfusori, sensori, telefoni collegati che mostrano costantemente le glicemie a genitori con figli diabetici. Questa tecnologia non è un vezzo. Questa tecnologia cambia definitivamente la vita. La rende un po’ più semplice. Si può smettere di trattenere il fiato e tirare un bel sospiro. Di sollievo.
Questo, potrei dire, è qualcosa che accomuna tutte le storie. Questo senso di immediata liberazione.

C’è stato chi mi ha raccontato che al suo esordio c’erano ancora le siringhe di vetro, chi di non aver dormito per anni, perché era terrorizzato dalle ipoglicemie del figlio nella stanza accanto. C’è stato chi mi raccontava di fare sport, con dosi di insulina prestabilite, e di affrontare la gara sperando che andasse tutto bene.
La tecnologia ha cambiato le cose, le ha migliorate, le ha facilitate. E ancora oggi, molte delle battaglie delle persone con diabete hanno a che fare con la possibilità di avere accesso a quella tecnologia salvavita. Avere accesso a quel cambiamento, a quella miglioria e a quella facilitazione.
Questo è un esempio lampante, uno fra i tanti di quella commistione virtuosa, che vede l’uomo investire in conoscenza, per riportarla in termini tecnologici a chi ne ha bisogno.

Il diabete è variabile, per questo ha bisogno di costanti.
Il diabete è imprevedibile, per questo ha bisogno di prevedibilità.

Non si tratta di perdersi nelle vie di una città, si tratta di non perdersi in generale.
Per qualcuno la tecnologia incide profondamente sulla qualità della vita. Anzi, è parte della qualità della vita.
Ecco perché ci auguriamo che possa essere sempre più accessibile.
Per quel sospiro di sollievo. Per quelle notti di riposo. Per quelle gare che si vuol combattere ad armi pari, per quanto possibile.

A cura di Patrizia Dall’Argine