il punto
UN’INDAGINE ICON SUGLI SPECIALISTI ITALIANI
Il diabetologo la pensa così
Chi cura il diabete dà importanza decisiva all’emoglobina glicata per il buon compenso metabolico del paziente, vuole più informazione per sé e per gli altri soggetti coinvolti nella gestione della patologia, chiede più stretta collaborazione con il medico di base
Da tempo i diabetologi raccomandano il buon compenso del diabete come chiave di volta per tenere lontane le complicanze e mantenere una qualità della vita pari a quella di chi diabetico non è. Per rafforzare questo fondamentale messaggio, le loro organizzazioni -la Idf (International diabetes federation), la Amd (Associazione medici diabetologi), la Sid (Società italiana di diabetologia)- hanno promosso una campagna di informazione e sensibilizzazione sul buon compenso, che coinvolgerà progressivamente specialisti, medici di famiglia, pazienti e popolazione generale. L’iniziativa ha già prodotto un libro bianco scritto a più mani da un gruppo di diabetologi (“Evidenze ed elementi per una efficace campagna informativa sul buon compenso del diabete”, presentato ufficialmente a Milano pochi mesi fa), per fissare le basi scientifiche consolidate di questo principio, che si vuole fare diventare senso comune diffuso.
Nel quadro di questa campagna di ampio respiro si colloca anche una interessante ricerca condotta dall’istituto di ricerca Icon Added Value, che -interpellando un campione rappresentativo- ha analizzato l’orientamento e l’esperienza sul campo dei diabetologi nei confronti del tema del buon compenso metabolico, dandoci così un quadro più preciso di come si cura il diabete in Italia e di che cosa pensano i medici dei risultati ottenuti e dei progressi ancora da fare.
La ricerca di Icon ha selezionato un campione di 322 diabetologi, tenendo conto del sesso, dell’età, della distribuzione geografica dei centri e degli ambulatori e ha elaborato le domande da porre (questionari a risposta multipla), tenendo naturalmente conto anche del fatto che i diabetici di tipo 1 e quelli di tipo 2 si trovano in un rapporto quantitativo di 1 a 5.
I primi elementi che emergono dall’indagine sono che ottantacinque diabetologi su cento ritengono necessaria una ampia campagna di informazione sull’importanza del buon compenso, e che, in larga maggioranza, considerano fondamentale una stretta collaborazione con tutti i soggetti coinvolti nella gestione del diabete, dai medici di famiglia, ai pazienti stessi. Sintetizza così il presidente di Icon Gadi Schoenheit: “Il diabetologo, pur considerandosi centrale nella gestione della patologia e della sua prevenzione, valuta ancor più positivamente la possibilità di un network di ruoli che, partendo dalle diverse discipline mediche, arrivi anche al paziente”. Sembra dunque che il principio del team diabetologico, tanto caro ai vertici della diabetologia italiana, sia sostanzialmente condiviso dalla base. Va osservato a questo proposito che i diabetologi danno molta più importanza alla collaborazione con il medico di base e al rapporto con il paziente che al ruolo dell’amministrazione sanitaria, della legislazione e dell’opinione pubblica.
In particolare, al medico di famiglia i diabetologi chiedono di collaborare effettuando diagnosi precoci (87%), selezionando i pazienti a rischio (81%), attuando screening (66%), controllando che il paziente rispetti la terapia prescritta (64%), sia in grado di adattare la strategia dal diabetologo al singolo paziente sfruttando la sua più approfondita conoscenza della persona (57%).
“Il diabetologo è la figura cardine nella cura del diabete -commenta al riguardo il presidente della Amd Umberto Valentini- ma i medici di medicina generale seguono molti pazienti diabetici: per farlo bene, devono avere un dialogo costante con i diabetologi. La stessa persona con diabete deve avere tutte le conoscenze necessarie per potersi orientare e gestire. Occorre quindi creare intorno al paziente una rete di assistenza sanitaria che possa sempre intervenire a sostenerlo, chiamando a partecipare tutti gli attori coinvolti e non soltanto i diabetologi”.
Ma cosa intende il diabetologo per “buon controllo metabolico”? A questa cruciale domanda posta dalla inchiesta di Icon, la netta maggioranza, il 71% degli intervistati, cita un parametro che sta diventando sempre più decisivo, l’emoglobina glicata, specificando correttamente il suo valore più opportuno al di sotto della soglia del 7%. Più generiche le altre risposte: il 35% indica “valori buoni di glicemia”, senza specificare i livelli in termini precisi, il 4-5% risponde “valutare lo stato del paziente nel complesso”, “controllare i parametri lipidici”, verificare “la riduzione o l’assenza di complicanze”.
Osserva il presidente della Sid Riccardo Vigneri: “Per verificare il buon compenso metabolico e valutare gli eventuali rischi di complicanze l’emoglobina glicata è uno strumento più utile della glicemia, perché permette di fotografare la situazione degli ultimi due mesi. I valori ottimali della emoglobina glicata non sono fissati una volta per tutte: si può però affermare che al di sotto del 7% il rischio di complicazioni non è diverso da quello dei non diabetici, anche se recentemente la Idf ha abbassato la soglia di sicurezza al 6,5%. Il problema è che i due terzi dei diabetici oggi hanno livelli superiori al 7%. Naturalmente, poi il buon compenso va valutato tenendo conto di tanti fattori, oltre ai valori glicemici: la pressione, i lipidi nel sangue, l’alimentazione, l’esercizio fisico, l’abitudine al fumo, l’età del soggetto, l’eventuale stato di gravidanza per le donne, le peculiarità del singolo organismo eccetera”.
Per quanto riguarda le principali strategie messe in atto per raggiungere il buon controllo metabolico, il 66% dei diabetologi nomina la “terapia farmacologica” (insulina, ipoglicemizzanti), il 63% indica la dieta, il 43% la modifica degli stili di vita e delle abitudini del paziente, il 32% raccomanda una regolare attività fisica. L’indagine Icon ha domandato a questo punto agli intervistati che cosa servirebbe in più al diabetologo per poter ottenere migliori risultati nel controllo metabolico. Le risorse ritenute più importanti che oggi andrebbero potenziate sono dunque risultate essere le seguenti: occorrono più opportunità di formazione sui temi principali del buon controllo (per il 59%), più informazione sulla comunicazione con il paziente (per il 54%), maggiore informazione sull’importanza del controllo metabolico e sui costi -sanitari ed economici- del cattivo compenso (45%), più materiale scientifico sul buon controllo (per il 40%).
Di che cosa avrebbe invece soprattutto bisogno il paziente per mettersi meglio in sintonia con le prescrizioni del medico? Secondo l’84% dei diabetologi, in primis di una maggiore coscienza dei rischi di un mancato compenso metabolico; per l’80% di più informazione sul tema. Che i diabetici abbiano bisogno di maggiore informazione è confermato, per esempio, dal fatto che soltanto il 30% di loro sa che cosa sia l’emoglobina glicata.
E’ significativo il fatto che i diabetologi ritengano dunque necessario “saperne di più” e che questo, a loro prevalente giudizio, valga sia per i pazienti, sia per loro stessi, perché -come sottolinea ancora Schoenheit- “più informazione porta a maggiore consapevolezza”.
Su questa richiesta di maggiore informazione da parte degli stessi medici conclude così Riccardo Vigneri: “I diabetologi le cose le sanno, quello che è soprattutto necessario è rendere l’informazione di base omogenea per tutti”.
IL BUON CONTROLLO SECONDO LO SPECIALISTA | |
Emoglobina glicata bassa, sotto il 7% | 71% |
Valori buoni di glicemia | 35% |
Stato complessivo del paziente | 5% |
Controllo parametri lipidici | 5% |
Riduzione/assenza di complicanze | 4% |
Dipende dal paziente | 3% |
Valori buoni del colesterolo | 3% |
Controllo parametri pressori | 2% |
Controllo del peso | 2% |
Valore della glicosuria | 2% |
Qualità della vita | 1% |
Altro | 3% |
Nostra sintesi da fonte Icon Added Value |