Quando la contatto per chiederle se posso intervistarla, mi risponde prontamente: “Sì, facciamo domani…”. Il domani in questione era un sabato. Ma Antonella Ielasi, e l’ho capito subito, in quel frangente, non ha il piglio di chi aspetta, di chi tacita il suo desiderio di comunicare solo perché siamo alle porte del fine settimana; soprattutto in virtù del fatto che il suo diabete, così come il diabete di tutti, non si riposa mai.
E così ci siamo sentite, di sabato, verso sera, alle 19. Mi ha risposto con una voce squillante. Me la sono immaginata nella sua Valle d’Aosta, un eden per chi come me è costretto ad arrabattarsi tra il caldo denso della pianura padana.
Un eden, sì; non privo di ombre, però.
Ed è proprio di queste ombre che Antonella mi vuole parlare:
“Mi sono ammalata un anno fa, per San Valentino. Avevo sete, moltissima sete. Ho provato ad attribuire la colpa al riscaldamento della casa, o a un nuovo dentifricio che stavo testando per lavoro”, ma diventa chiaro, molto presto, che si tratta di altro e le analisi lo confermano. “Avevo appena sconfitto una malattia autoimmune alla tiroide, che avevo dovuto fronteggiare per 10 anni e questa notizia è stato un vero shock. I primi 3 mesi dopo l’esordio sono stati difficilissimi. Mi sono trasferita nella casa di mio padre, e non uscivo mai. Avevo paura di farmi del male, perché non conoscevo il diabete. Ho sempre vissuto la socialità attraverso il cibo. Le restrizioni sul piano alimentare mi hanno provocato un grandissimo stress.
Poi ho deciso di informarmi e mi sono documentata sui presidi. Ho realizzato che solamente in Valle d’Aosta ci sono tra i 6000 e i 7000 casi (diabetici di tipo 1 e 2). Attualmente i microinfusori sono presidi gratuiti per i minorenni. Quello che vorrei concretizzare è la possibilità di allargare l’assegnazione a una fetta di persone molto più ampia, considerando che i diabetici adulti di tipo 1, che ne necessitano, sono “solo” 600 ”.
E da allora, Antonella ha preso di petto la situazione.
Ha creato una rete. Ha compreso l’urgenza di generare curiosità e consapevolezza, per poter sensibilizzare la comunità.
E dato che “un’immagine vale più di mille parole”, in occasione del 14 novembre 2019, Giornata Mondiale del Diabete, è uscita un’immagine di Antonella, che ritraeva il suo corpo trafitto da siringhe, sulle braccia, sulle gambe e nella pancia.
Sull’immagine si legge: “Diabete di tipo 1. Queste sono le iniezioni che devo fare in un mese”.
Questo campagna di comunicazione si chiama “Dia[BE]logue – Essere diabetici e parlarne”. Un progetto patrocinato dal consiglio regionale della Valle D’Aosta.
“L’immagine è stata affissa su cartelloni di 6 metri per 3, affinché fosse ben visibile per tutti”.
Dal 16 dicembre Antonella è il nuovo presidente dell’Associazione Diabetici Valle d’Aosta.
“Ho sentito che ‘mi toccava’. Era qualcosa che dovevo prendere in mano, per dare uno scossone.
Il direttivo è composto da ragazzi giovani. Non tutti sono diabetici. Ci sono anche famigliari di persone diabetiche e cerchiamo di muoverci sul territorio con progetti di diverso tipo. Un esempio: stiamo cercando di creare aperitivi sugar free, utilizzando la stevia.
Il diabete tende a isolare, ti fa sentire diverso, difettoso e noi vogliamo lavorare sull’inclusione.
Attraverso la campagna Dia[BE]logue, si sono creati rapporti saldi e sinceri”.
Come il rapporto che lega Antonella alla sua famiglia. Mi cita spesso il padre e le sorelle. Il contatto costante, “simbiotico”, la grande cura che ogni componente riserva agli altri, il fatto che la tecnologia permette alle persone della sua vita di essere a conoscenza delle sue glicemie, attraverso notifiche giornaliere.
“Il diabete è un bagaglio che mi porto dietro. Ed è inevitabile che condizioni anche le persone che ho intorno. Indubbiamente il diabete mi ha permesso di aprire gli occhi”.
È inevitabile, resta solo chi vuole restare. Qualcuno si perde. Ci sono persone che non lo vogliono vedere un corpo trafitto da siringhe. Che piuttosto di confrontarsi con la sofferenza degli altri la negano o la minimizzano (non so sinceramente cosa sia peggio). Però, d’altro canto, ci sono persone che restano, che comprendono; che fermano per strada una ragazza di 32 anni, diabetica, fiera e combattiva – che non ha nessuna intenzione di mollare e lo dichiara con un cartellone di 6 metri per 3 – e guardandola negli occhi le dicono ‘Ti ringrazio, mi hai insegnato qualcosa che non sapevo’”.
A cura di Patrizia Dall’Argine