Aggiornamento
UN PROBLEMA CHE PUO’ COLPIRE GLI UOMINI DIABETICI
Il sesso stanco
La disfunzione erettile è una delle più frequenti complicanze di un diabete mal controllato, ma è anche un indice di allarme per la malattia coronarica. In questa prima puntata dedicata al tema, vediamo come si manifesta e come si può prevenire. Nel prossimo numero parleremo delle terapie oggi disponibili
prof. Paolo Brunetti
Direttore Dipartimento di Medicina interna Università degli Studi di Perugia
Per disfunzione erettile (DE) si intende l’incapacità di raggiungere o di mantenere una erezione sufficientemente valida per ottenere un rapporto sessuale soddisfacente. Uno studio divenuto ormai classico condotto negli anni ’90 nel Massachusetts su circa 1300 soggetti di età compresa fra 40 e 75 anni (“Massachusetts Male Aging Study” o Mmas), ha dimostrato che ben il 52% di questi era affetto da una DE di vario grado, con un aumento sensibile e progressivo con l’età, essendo presente nel 39% degli uomini di 40 anni di età e nel 67% di quelli di 70 anni. Lo stesso studio ha dimostrato che il rischio di DE aumentava di 4 volte negli uomini affetti da malattie cardiovascolari, di 3 volte in quelli affetti da diabete mellito ed era all’incirca doppio nei soggetti ipertesi. Si calcola che dal 50 al 75% degli uomini diabetici abbia una qualche forma di DE.
Sebbene alla base della DE si riconoscano componenti sia psicogene sia organiche, in almeno l’80% dei casi, la DE è associata alla malattia aterosclerotica oppure a uno o più fattori di rischio cardiovascolari, sia classici, come l’età (pari o superiore ai 45 anni), la dislipidemia (alti livelli di colesterolo Ldl e bassi di colesterolo Hdl), l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito, il fumo, l’inattività fisica e l’obesità, sia emergenti, quali la resistenza insulinica e la sindrome metabolica. In effetti, la DE viene oggi considerata, più che una conseguenza, una manifestazione precoce della aterosclerosi e un precursore della malattia vascolare sistemica. Il 67% dei pazienti con malattia coronarica e DE riferisce che i primi sintomi di quest’ultima hanno preceduto i sintomi della coronaropatia, con un intervallo medio di tempo di 3-4 anni. Si è anche dimostrato che la gravità della DE è correlata con il peso dei fattori di rischio cardiovascolare e con la gravità della malattia coronarica. In altri termini, la DE può essere considerata un “barometro”, indicativo del rischio cardiovascolare globale e non soltanto un problema limitato alla funzione del pene. In questo senso, la raccolta di dati anamnestici relativi alla attività sessuale, dovrebbe essere inclusa, superando l’abituale reticenza ad affrontare questo argomento, nell’iter diagnostico mirato alla valutazione delle condizioni cardiovascolari individuali.
L’erezione del pene è il risultato di un processo vascolare che richiede l’integrità anatomica e funzionale del rivestimento endoteliale e della muscolatura liscia dei corpi cavernosi e delle piccole arterie. Il pene è un organo fornito di una abbondante vascolarizzazione, essendo costituito da due corpi cavernosi laterali irrorati dalle arterie dorsale e cavernose. Il ritorno sanguigno è assicurato dalle vene subtunicali che confluiscono nella vena dorsale profonda. L’uretra è circondata da un corpo spongioso che ne impedisce la chiusura durante l’erezione.
Fisiologia dell’erezione
L’intero processo che conduce all’erezione è mediato dalla sintesi e dalla liberazione di una piccola molecola gassosa, l’ossido di azoto (o NO). La stimolazione sessuale provoca la liberazione di NO da parte delle fibre nervose nonadrenergiche e noncolinergiche che innervano il pene e dall’endotelio che tappezza i seni cavernosi e il lume delle arterie peniene. L’NO così formato si diffonde alle cellule muscolari lisce dove attiva l’enzima guanilato-ciclasi e quindi la formazione di GMP ciclico (GMPc). L’aumento della concentrazione di GMPc provoca, tramite l’apertura dei canali del potassio calcio-dipendenti e il blocco conseguente dell’ingresso degli ioni Ca++, il rilascio della muscolatura liscia che, a livello delle arterie peniene, induce un aumento del flusso ematico mentre, a livello dei corpi cavernosi, facilita l’ingorgo degli spazi sinusoidali, la compressione delle vene subtunicali, l’interruzione del deflusso venoso e, di conseguenza, la tumescenza e la rigidità del pene. L’ossido nitrico liberato dalle terminazioni nervose ha la funzione di avviare il processo, mentre quello prodotto dall’endotelio delle arterie e dei corpi cavernosi giuoca un ruolo importante nel mantenere una valida erezione.
La stessa via metabolica che conduce alla formazione di GMPc e di NO -e che è determinante per la funzione erettile- è anche responsabile della vasodilatazione delle arterie del circolo sistemico, ivi incluso quello coronario e del circolo polmonare. Ma, accanto alle proprietà vasodilatatorie, la molecola dell’ossido nitrico possiede anche importanti proprietà antiaterogene. Infatti, a livello della parete vascolare, inibisce l’espressione di citochine proinfiammatorie e di molecole di adesione, limitando il reclutamento di monociti macrofagi. Inoltre, inibisce la proliferazione e la migrazione delle cellule muscolari lisce e limita la trombosi intravasale. Non sorprende, perciò, se il difetto o la perdita della sintesi endoteliale di NO, con i suoi molteplici effetti antiaterogeni, caratterizza la fase iniziale della malattia aterosclerotica. Infatti, l’endotelio è il bersaglio comune di tutti i fattori di rischio cardiovascolare classici o emergenti come le varie forme di dislipidemia, l’ipertensione arteriosa, il diabete, il fumo, l’età, la menopausa, l’iperomocisteinemia e una storia familiare di aterosclerosi precoce.
Le modalità attraverso cui i vari fattori di rischio possono interferire con il processo endoteliale della formazione di NO, sono molteplici. Sia l’iperglicemia sia l’aumentata concentrazione plasmatica di acidi grassi liberi (FFA), comuni al diabete come alla sindrome metabolica, provocano, nelle cellule endoteliali, una produzione in eccesso di radicali liberi di ossigeno, con conseguente stress ossidativo. Ne deriva una disfunzione endoteliale, caratterizzata da una riduzione di attività della NO-sintetasi, dalla produzione di citochine proinfiammatorie, dal rilascio di fattori di crescita e dalla contrazione della muscolatura liscia. E’ stato dimostrato, in effetti, come il tessuto penieno di soggetti diabetici con DE contenga alti livelli di superossidi e di prodotti della perossidazione lipidica.
Alla disfunzione endoteliale conducono anche l’attivazione dell’enzima proteinchinasi C (PKC) e l’accumulo di prodotti avanzati della glicazione (AGE). Gli AGE, accumulandosi nel collageno della tunica e del tessuto cavernoso compromettono infatti la produzione sia neurogena sia endoteliale di NO e, inoltre, ne accelerano l’inattivazione. Esiste, infatti, una correlazione fra controllo glicemico e funzione erettile. La concentrazione di emoglobina glicata (HbA1c) è un predittore indipendente di DE, non soltanto perché espressione di una precedente iperglicemia, ma anche per la sua capacità di interferire direttamente, attraverso la generazione di anioni superossidi e l’inattivazione di NO, con il fenomeno di rilascio muscolare indotto dall’ossido di azoto.
La disfunzione endoteliale, che presuppone quindi una riduzione della disponibilità di NO, conseguente ad un difetto di sintesi e/o a un eccesso di inattivazione, è quindi un importante fattore fisiopatologico che sottende sia la disfunzione erettile sia la malattia vascolare sistemica. L’analisi di marker precoci di disfunzione endoteliale ha dimostrato, tuttavia, che il danno del letto vascolare penieno si verifica prima che la malattia vascolare sistemica divenga clinicamente evidente. Soggetti diabetici con DE, ma con funzione cardiaca indenne, presentano una significativa riduzione della vasodilatazione endotelio-dipendente dell’arteria brachiale e un aumento precoce della proteina C reattiva (PRC).
La relazione sesso-cuore
I motivi per cui una disfunzione erettile può precedere la comparsa di una malattia cardiovascolare sono oggetto di discussione. Considerando la natura sistemica della aterosclerosi, si potrebbe pensare che tutti i letti vascolari siano interessati nella stessa misura. L’esperienza clinica dimostra, invece, come i sintomi relativi alla compromissione dei vari distretti non compaiano nello stesso tempo. Due osservazioni appaiono rilevanti a questo proposito.
1. Per una efficiente erezione è necessaria una dilatazione delle arterie peniene assai rilevante, dell’ordine dell’80%, cosicché una riduzione anche modesta della disponibilità di NO può interferire negativamente sulla efficienza del sistema.
2. Le arterie peniene hanno un diametro più piccolo rispetto alle arterie coronarie e, rispetto a queste, sono perciò più suscettibili di ostruzione. Ciò può spiegare perché soggetti con DE raramente abbiano sintomi di malattia coronarica, mentre i pazienti coronaropatici soffrano spesso di disfunzione erettile.
Il rilievo diagnostico di una disfunzione erettile non è perciò soltanto indicativo di una compromissione della funzione sessuale e quindi di una riduzione della qualità di vita, ma offre anche una opportunità unica di riconoscere, con molto anticipo, una malattia cardiovascolare non diagnosticata. La DE può essere definita una “sentinella” della cardiopatia ischemica. Anche in assenza di una storia clinica di cardiopatia, soggetti con DE dovrebbero essere sottoposti a una visita cardiologia, a un ECG (elettrocardiogramma) da stress e a una valutazione della funzione endoteliale.
LA PREVENZIONE PIU’ EFFICACE
Questione di stile
Anche le difficoltà della sfera sessuale maschile possono essere prevenute attraverso una vita sana, basata su una corretta alimentazione, senza eccessi e fondata sulla dieta mediterranea, e su una regolare attività fisica
I fattori di rischio che sono alla base della disfunzione erettile e della successiva insorgenza di una cardiopatia coronaria sono gli stessi che, con la loro aggregazione, costituiscono la “sindrome metabolica” e che ritroviamo nel diabete mellito. Fra questi, un particolare ruolo viene svolto dall’obesità, specialmente se addominale, legata a un eccessivo apporto calorico e a una insufficiente attività fisica. Nel “Massachusetts Male Aging Study”, un BMI≥28 (indice di massa corporea) e una attitudine sedentaria si sono rivelati due predittori significativi di DE a lungo termine. Dallo stesso studio è emerso anche come l’assunzione di una dieta a contenuto elevato di colesterolo e di acidi grassi saturi costituisca un rischio di DE maggiore rispetto a quello di una dieta più bilanciata.
Uno studio clinico randomizzato su 65 soggetti con sindrome metabolica, definita secondo i dettami dell’Adult Treatment Panel III, è stato eseguito a Napoli per valutare l’efficacia di una variazione dello stile di vita, orientata verso l’adozione di una dieta mediterranea e l’esecuzione, ogni giorno, di almeno 30 minuti di attività fisica. La dieta era caratterizzata, nel gruppo di intervento, dalla prevalenza di carboidrati integrali ricchi di fibre (50-60% dell’apporto calorico), dalla riduzione dei grassi animali (uso di olio di oliva), dalla introduzione di quantità definite di frutta, vegetali e noci e dalla preferenza data al pesce rispetto alla carne.
Al termine di due anni di follow-up si sono osservati una riduzione significativa della concentrazione plasmatica di glucosio, insulina, colesterolo Ldl e trigliceridi, un aumento del colesterolo Hdl e una diminuzione della pressione arteriosa. Al miglioramento delle condizioni metaboliche ed emodinamiche ha fatto riscontro una riduzione della proteina C reattiva e un miglioramento della funzione endoteliale valutata mediante infusione venosa di arginina (precursore di NO) e della funzione erettile valutata mediante l’applicazione dell’International Index of Erectile Function (IIEF). E’ suggestivo pensare che, a determinare i risultati positivi ottenuti nello studio, abbia contribuito il potere antiossidante dei componenti della dieta mediterranea.
D’altro canto, nei due maggiori studi di prevenzione del diabete di tipo 2, lo studio americano Dpp (“Diabetes Prevention Program”) e quello finlandese (Tuomilheto J et al.), un cambiamento dello stile di vita, consistente nel ridurre mediamente il peso, in tre anni dal 5 al 7% con adeguate misure dietetiche, consistenti soprattutto in una riduzione dell’apporto lipidico, e nello svolgimento di un’attività fisica aerobica moderata per 30 minuti al giorno per almeno 5 giorni la settimana, ha consentito di prevenire il passaggio da una condizione di intolleranza al glucosio (Igt) a un diabete conclamato, in una percentuale superiore al 50%, con un effetto superiore a quello ottenuto con l’impiego di farmaci. E’ logico pensare che la prevenzione del diabete mellito così ottenuta si traduca anche in una protezione dell’endotelio, poiché il diabete è il maggiore fattore di rischio di disfunzione endoteliale. Pertanto, il tentativo di modificare lo stile di vita deve essere il primo approccio terapeutico in soggetti con fattori di rischio cardiovascolare e disfunzione erettile, sia in assenza sia in presenza di diabete. (P.B.)