L’insulino-resistenza è considerata l’anticamera del diabete di tipo 2. Una condizione per cui il recettore non risponde alla presenza dell’ormone, portando le cellule a essere poco sensibili all’insulina. Di questa situazione si sa per esempio che riguarda le persone con obesità e sovrappeso e che compare in associazione a stili di vita poco sani dal punto di vista alimentare e fisico. Ora, grazie a uno studio americano, si è scoperto anche che una mutazione al gene che codifica l’N-acetiltrasferasi avrebbe un ruolo nello sviluppo dell’insulino-resistenza. Ed è ereditabile.
A questa conclusione si è arrivati studiando il Dna di circa 5000 individui, scoprendo che una variante particolare del gene codificante l’N-aciltranferasi 2 (NAT2) risulta associata ai fattori di rischio per diabete e cardiopatie. Ma non finisce qui. L’analisi delle caratteristiche molecolari e genetiche dell’insulino-resistenza e del livello di sensibilità all’insulina sono motivate dalla presenza di ben 65 varianti di diabete di tipo 2 dovuti a problemi in step differenti della secrezione dell’insulina. Per questo è fondamentale capire quali siano i geni coinvolti. Un altro esperimento, per esempio, ha stabilito che inibire l’N-acetiltransferari negli animali riduce la sensibilità insulinica, rafforzando il suo ruolo nella condizione di insulino-resistenza.
Poiché lo studio su basi genetiche richiede lo studio di molti soggetti, coinvolge competenze differenti e discipline eterogenee, è nato quindi un consorzio, dal nome GENESIS (GENEticS of Insulin Sensitivity), che conduce diversi studi tra i quali uno su 2.764 soggetti europei, proprio per approfondire il ruolo di NAT2. Ebbene, ancora una volta si è avuta conferma che la mutazione è associata ad una ridotta sensibilità insulinica e che questo è indipendente dall’indice di massa corporea. Conoscere queste caratteristiche permette di agire in fase precoce – anche sugli stili di vita – e di sottoporsi a controlli periodici in grado di diagnosticare un probabile sviluppo di diabete di tipo 2.
Eleonora M. Viganò
Fonte: Quotidiano Sanità