L’ASSISTENZA DIABETOLOGICA IN ITALIA – Vi curiamo sempre meglio

I numeri possono risultare affascinanti oppure noiosi, ma di sicuro sono utili per descrivere e capire la realtà. Da tempo l’Amd si impegna a dare una definizione precisa della qualità dell’assistenza diabetologica in Italia con l’ausilio delle cifre, ricavate da un’indagine sistematica sull’attività dei centri specialistici della penisola. Questo capillare lavoro di ricerca prende il nome di Annali ed è giunto ormai alla sesta edizione: è una fotografia, sempre più accurata con il passare degli anni, della situazione nazionale che permette da un lato di comprendere come stanno andando le cose e dall’altro di studiare il modo per migliorarle. L’ultima edizione (Annali Amd 2011 – Livelli di controllo metabolico, pressorio e lipidico e utilizzo dei farmaci nel diabete di tipo 2 – Gli anni 2005-2009 a confronto) ha raccolto dati provenienti da 251 centri di tutta Italia e ha misurato l’evoluzione dell’assistenza e i risultati nella gestione dei pazienti nell’arco di un quinquennio (è stato esaminato un vasto campione di popolazione, da oltre 262mila nel 2005 a più di 415mila nel 2009, circa un sesto degli assistiti). Lo studio si è concentrato sul diabete di tipo 2, la forma largamente più diffusa della patologia.

Dall’analisi dei parametri di qualità della cura Amd conclude che l’assistenza sta migliorando progressivamente, anche se molto lavoro resta da fare per ottenere risultati ancora più efficaci. Prendendo in considerazione gli indicatori fondamentali (emoglobina glicata, pressione arteriosa, profilo lipidico, livello del colesterolo, microalbuminuria, trattamenti farmacologici), è infatti possibile stabilire una sorta di “voto”, lo score Q, un indice che consente una valutazione complessiva della prestazione assistenziale fornita dai centri diabetologici. Ebbene, in un range di valutazione che va da 0 a 40, il valore medio più recente (anno 2009) è di 24,3, due punti in più rispetto a cinque anni prima (era 22,2). Per farsi un’idea più chiara del senso di questi numeri, è bene precisare che, secondo Amd, un punteggio inferiore a 15 si associa a un aumento del rischio di complicanze di circa l’80%, mentre tra 15 e 25 il rischio è più alto del 20%, una differenza notevole.

Spiega Carlo Bruno Giorda, presidente dell’Associazione medici diabetologi: “Lo score Q valuta da un punto di vista qualitativo l’efficienza delle cure e dell’assistenza prestate, e conseguentemente l’efficacia nel prevenire le complicanze tipiche del diabete, dall’infarto all’ictus, ai disturbi alla vascolarizzazione, alla mortalità. Un dato importante che emerge è che i centri di diabetologia con score Q superiore a 25 sono passati dal 26,1% al 36,1%, il che si traduce sicuramente in un minor numero di eventi cardiovascolari nelle persone assistite”. Sono infatti aumentate le persone in cura nei centri che raggiungono un punteggio superiore a 25 nella valutazione delle cure ricevute: nel 2005 una persona con diabete su quattro presentava un punteggio superiore a 25, nel 2009 si è arrivati a una su tre. Contemporaneamente si è ridotta la percentuale di soggetti che ricadono nelle classi inferiori a 15 (dove il rischio di complicanze è più elevato) e comprese tra 15 e 25.

Precisa Giacomo Vespasiani, coordinatore degli Annali Amd: “Presentiamo, per la prima volta, un approfondimento nel diabete di tipo 2 sulla relazione tra cambiamenti nei livelli di controllo dei principali parametri clinici associati al diabete e alle complicanze cardiovascolari (emoglobina glicosilata, pressione arteriosa e colesterolo) e utilizzo di farmaci. In estrema sintesi, si registra una riduzione dei valori della pressione e del colesterolo Ldl “cattivo”, in corrispondenza con un maggior impiego di farmaci antipertensivi e anticolesterolo: un primo indicatore di una migliorata cura della persona con diabete nel complesso, non solo della cura della sua glicemia. I valori medi dell’emoglobina glicosilata si sono mantenuti costanti, ma con una riduzione delle persone curate solo con la dieta e un aumento di quelle trattate con insulina. In altre parole, si è mantenuto lo stesso livello di controllo a fronte della cura di situazioni verosimilmente più serie”.

Risulta infatti che nel tempo si sono ridotti i valori dei principali parametri clinici associati al diabete e alle sue complicanze: +29% i soggetti con pressione arteriosa nella norma, cioè inferiore a 140/90mmHg (anche se un 57% ha ancora valori troppo alti); +38% chi è in equilibrio con il colesterolo Ldl (soltanto il 26% è molto fuori dai limiti); meno numerosi i pazienti con emoglobina glicosilata superiore all’8%; maggiore efficacia dei farmaci.

Più bravi degli americani

Per quanto riguarda il fondamentale valore della emoglobina glicosilata, gli Annali rilevano che nel corso dei cinque anni a confronto, non è sostanzialmente variato il livello medio, rimasto stabile intorno al 7,5%, ma in compenso è diminuita la quota dei pazienti con livelli molto alti, cioè sopra l’8% e soprattutto sopra il 9%. Il rapporto osserva peraltro che l’obiettivo di una glicata uguale o inferiore a 7%, indicato da varie linee guida, compresi gli Standard italiani per la cura del diabete Mellito, è stato raggiunto in meno della metà dei pazienti. D’altra parte, è calata anche la percentuale dei soggetti con valori pari o inferiori alla soglia considerata ottimale di 6,5%.

Tuttavia, il valore medio italiano risulta migliore, per esempio, di quello che si rileva in simili analisi condotte negli Usa: secondo l’indagine Nhanes promossa dall’Istituto di sanità del governo americano e i dati della Ncqa (National committee for quality assurance), i diabetici statunitensi hanno HbA1c superiore al 9,5% in percentuali dal 20 al 40% e superiore all’8% tra il 40 e il 50%.

Dal punto di vista delle terapie adottate, lo studio mette in evidenza una generale diminuzione dei soggetti curati con sola dieta. I relatori notano che “tale aspetto diventa particolarmente evidente e significativo proprio nelle categorie di pazienti nelle quali, invece, l’intervento sullo stile di vita dovrebbe essere privilegiato, ovvero nei soggetti più giovani e nei pazienti con diagnosi di diabete più recente, risalente a meno di due anni”. Perché avviene questo, nonostante gli Standard di cura prevedano “un approccio iniziale basato sulla correzione degli stili di vita”? Possibili spiegazioni: le raccomandazioni di Ada e Easd che consigliano l’inizio della terapia farmacologia già al momento della diagnosi, e l’invio tardivo del paziente al Servizio di diabetologia da parte del medico di medicina generale, dopo diversi anni dalla diagnosi. Si riscontra inoltre, soprattutto nei pazienti con valori di glicata più elevati, un aumento nella prescrizione di insulina a scapito degli ipoglicemizzanti orali. La tendenza generale sembra essere quella di una “maggiore intensità terapeutica”.

Pressione non ottimale

Un altro elemento fondamentale nella gestione del diabete di tipo 2 è il controllo della pressione arteriosa. Gli Annali 2011 attestano un moderato miglioramento, evidenziato sia dalla riduzione della percentuale dei pazienti “fuori target” cioè con valori superiori a 140/90mmHg (da 63,8% a 57%, ovvero una riduzione relativa del 10,7%) sia dall’aumento dei soggetti “a target”, cioè con valori inferiori a 130/80mmHg (da 10,8% a 15,2%, con un incremento relativo del 29%). Complessivamente, la percentuale di persone con diabete in cura con anti-ipertensivi è cresciuta in modo significativo nel quinquennio, passando dal 38,3% al 58,6%, con un aumento del 65,3%. Tra chi è in terapia farmacologica, la quota dei soggetti con valori pressori particolarmente insoddisfacenti si è ridotta dal 68,1% al 61,3% (-10%). Parallelamente, e in misura maggiore, si è ridotta la percentuale di persone non trattate con farmaci nonostante valori pressori maggiori di 140/90mmHg: da 60,5% a 49,7% (-17,8%). Nonostante questi risultati siano da valutare positivamente -osservano i relatori-, permane comunque un eccessivo 57% dei pazienti con pressione arteriosa pari o maggiore di140/90 mmHg mentre soltanto il 15,2% risulta nella norma. Questi, secondo Amd, sono “dati inaccettabili nell’ottica di una performance assistenziale ottimale”. Si delinea quindi, un quadro generale di difficoltà nel raggiungimento di valori pressori in linea con le raccomandazioni esistenti. Secondo gli Annali, “il principale nemico nel raggiungere il target pressorio, e in generale una buona qualità delle cure, è l’inerzia terapeutica, in termini sia di inizio sia di intensificazione del trattamento”.

Colesterolo “buono”

Il confronto dei valori di colesterolo Ldl tra 2005 e 2009 documenta un “sensibile miglioramento”, evidenziato dal netto incremento della percentuale di persone con valori al di sotto di 100mg/dl (30,1% contro 41,8%, con un aumento del 38,9%), associato a una parallela riduzione della percentuale di quelli con valori oltre 130mg/dl (passati da 35,7% a 26%, con una riduzione del 27,2%). Il notevole progresso nel controllo del colesterolo Ldl è si spiega con il raddoppio, nell’arco di cinque anni, della percentuale di persone con diabete in cura con farmaci ipolipemizzanti (da 21,5% a 41,3%).

Un modello da esportare

L’esperienza degli Annali Amd spicca nel panorama internazionale delle analisi dei sistemi di assistenza diabetologica ed è guardata con interesse all’estero. Lo conferma Antonio Ceriello, vicepresidente di Amd e membro italiano del Board dell’International diabetes federation (Idf): “Gli Annali Amd hanno già ricevuto numerosi riconoscimenti a livello internazionale, perché costituiscono un database di informazioni inestimabile, che solo Paesi come la Svezia, Israele e in parte gli Stati Uniti, cioè l’élite della sanità mondiale, posseggono in forme assimilabili. Sono anche considerati dai ricercatori stranieri un’importante fonte di ispirazione per studi e analisi e abbiamo già ricevuto diverse proposte di collaborazione al proposito. Inoltre, alcuni indicatori di processo e di esito intermedio proposti dagli Annali Amd verranno inseriti nelle prossime linee guida mondiali sul diabete dell’Idf; infine, la possibilità di valutare efficienza ed efficacia delle cure prestate in ogni singolo centro su ogni singola persona con diabete (grazie all’indice o score Q, espressione delle capacità del gruppo di analisti composto da esperti di Amd e del Consorzio Mario Negri Sud, validata da importanti pubblicazioni scientifiche), ne fa uno strumento straordinario e immediato per il miglioramento continuo della qualità e la programmazione di interventi volti a ottimizzare le risorse disponibili”.