L’insulina da inalare

DAGLI USA ARRIVA LA PRIMA INSULINA POLMONARE
Insulina a pieni polmoni
Sarà presto disponibile anche in Italia un’insulina somministrabile per via inalatoria: si tratta di una grossa novità, anche se non può sostituire la terapia iniettiva. Vediamo come si usa, quali sono i suoi pregi e limiti e quando il suo impiego è consigliabile
prof. Paolo Brunetti
Direttore Dipartimento di Medicina Interna Università degli Studi di Perugia
Dopo dieci anni di sperimentazione vede la luce negli Stati Uniti la prima formulazione di insulina somministrabile per via inalatoria, presto disponibile anche in Italia.
Dall’introduzione in terapia dell’insulina, nel 1923, fino a oggi, è questa la prima volta che viene validata una via di somministrazione diversa da quella della iniezione sottocutanea. Le altre potenziali alternative, attraverso la mucosa nasale o buccale mediante spray, per via transcutanea tramite cerotti o per via orale, hanno dato finora esito negativo. La molecola insulinica, infatti, malgrado le sue piccole dimensioni (peso molecolare pari a 5700 dalton), non è in grado di superare la barriera della mucosa orale o nasale e, d’altro canto, l’aggiunta di composti capaci di aumentare la permeabilità delle mucose ne danneggia l’integrità. Inoltre, se somministrata per via orale, va soggetta all’azione degli enzimi digestivi con conseguente perdita della sua attività biologica. La via polmonare offre invece una potenzialità assai maggiore.
Infatti, la superficie alveolare a livello della quale avviene l’assorbimento è assai vasta, da 75 a 100 m2, più o meno le dimensioni di un campo da tennis, ed è dotata di una permeabilità relativamente elevata anche nei confronti di proteine di basso peso molecolare. Inoltre, il tessuto alveolare, proprio perché fisiologicamente deputato alla funzione respiratoria e agli scambi gassosi che questa comporta, è dotato di una ricchissima vascolarizzazione che consente un facile ingresso nella corrente sanguigna.
I primi tentativi di utilizzazione della via respiratoria risalgono addirittura al 1925 a opera di un ricercatore tedesco (Gausslen), che, con un nebulizzatore, riuscì a ottenere una riduzione della glicemia in cinque pazienti diabetici, senza peraltro poter estendere questa esperienza per la non riproducibilità dei risultati e la difficoltà di impiego dell’apparato di nebulizzazione. E’ dagli anni ’70 che si è recuperato interesse per questa via di somministrazione, anche se soltanto recentemente sono state superate le difficoltà tecniche che finora ne hanno impedito una utilizzazione su vasta scala. In particolare, è stato necessario mettere a punto nuove formulazioni di insulina e perfezionare la tecnologia dell’inalatore.
Meglio in polvere
Affinché qualsiasi sostanza somministrata per aerosol sia convogliata in profondità nel parenchima polmonare fino agli alveoli, è necessario che le dimensioni delle particelle del composto inalato ubbidiscano a precise regole. E’ stato infatti dimostrato che le dimensioni ideali delle particelle devono essere comprese fra 1 e 5µ. Particelle di diametro superiore a 5µ sono destinate infatti a depositarsi nell’orofaringe o nelle vie aeree superiori senza raggiungere gli alveoli, mentre le particelle troppo piccole possono essere perdute durante l’espirazione.
L’insulina può essere somministrata in forma liquida o in polvere. La maggior parte dei sistemi attualmente in fase di sviluppo utilizza insulina in polvere e fra questi -, già disponibile per uso clinico. Le formulazioni in polvere secca, rispetto a quelle in soluzione, hanno il vantaggio di poter erogare una dose maggiore per ogni singolo “puff”, di resistere all’inquinamento e alla crescita microbica in assenza di conservanti e di essere stabili a temperatura ambiente anche per molti mesi. La stabilità dell’insulina in polvere può avere risvolti positivi, per esempio nei lunghi viaggi.
La formulazione in polvere secca di insulina ha particelle di diametro inferiore a 5µ ed è disponibile in blister da 1 e 3 mg, corrispondenti rispettivamente, sul piano dell’attività biologica a 3 e 9 UI di insulina somministrate per via sottocutanea. Nel blister è anche presente una quota di materiale inerte, amorfo, in forma di eccipiente, costituito da mannitolo, glicina e citrato di sodio, che aumenta la stabilità dell’insulina durante lo stoccaggio. Sono allo studio o in fase di sperimentazione avanzata altri sistemi che utilizzano insulina umana regolare in soluzione o analoghi dell’insulina.
Come inalare
Lo sviluppo della tecnologia dell’inalatore è stato essenziale per il successo del sistema. L’obiettivo della ricerca in questo settore è stato quello di ridurre, quanto più possibile, la perdita di insulina nel dispositivo come nell’ambiente, di ottimizzare la riproducibilità della dose somministrata e di facilitare la semplicità d’uso dello strumento, col fine ultimo di ottenere la massima esposizione degli alveoli all’insulina.
Il principio essenziale su cui si fonda il funzionamento dell’inalatore è quello della separazione del momento della erogazione della dose di insulina da quello della sua inspirazione. A differenza dei comuni spray inalatori (come gli antiasmatici) la dose di insulina è prima liberata in un compartimento chiuso che è parte integrante dell’inalatore e solo successivamente inspirata profondamente dal paziente.
L’inalatore impiegato è un apparato esclusivamente meccanico, privo di batteria e non elettronico, che richiede al paziente di attivare una leva che genera un polso di aria compressa. Questa disperde l’insulina in polvere contenuta nel blister in una camera trasparente che lascia vedere al suo interno la nubecola di insulina aerosolizzata. La diffusione dell’insulina in forma di aerosol nella camera prima dell’inspirazione ha il vantaggio di evitare l’impatto ad alta velocità dell’insulina nella gola e nelle prime vie aeree e di facilitare una inspirazione lenta e profonda.
Quando il paziente inala, attraverso il boccaglio del dispositivo, la nubecola di insulina, sospesa nella camera in un volume di aria equivalente circa a un decimo del volume di una inspirazione profonda, le particelle di insulina vengono spinte dal volume di aria che segue nella porzione più profonda dei polmoni, aumentando così l’esposizione alveolare e l’assorbimento dell’insulina nel circolo ematico.
Il dispositivo ha una dimensione accettabile quando è chiuso (16,5 cm di lunghezza), ma è più ingombrante quando è completamente esteso per l’uso (27,5 cm). Pesa circa 170 g.
Farmacocinetica
Le particelle di insulina intrappolate negli alveoli, vengono captate con un meccanismo di transcitosi, dalle cellule epiteliali alveolari all’interno di vescicole che poi trapassano nelle cellule endoteliali dei vasi capillari. Da qui le molecole di insulina vengono liberate nella corrente sanguigna.
Grazie alla ricca vascolarizzazione del polmone, l’insulina inalata con l’aerosol è quindi rapidamente assorbita in circolo. Il tempo necessario per raggiungere la massima concentrazione nel sangue dopo una inalazione è simile a quello di una iniezione sottocutanea di un analogo rapido, insulina lispro o aspart, e assai più rapido rispetto alla iniezione sottocutanea di insulina umana regolare.
La durata di azione dell’insulina inalata è tuttavia più lunga di quella degli analoghi rapidi somministrati sottocute (4-6 ore contro 3-5 ore), ma più breve di quella dell’insulina umana regolare iniettata sottocute (4-6 ore contro circa 8 ore).
Quindi, al pari di quanto è stato dimostrato per gli analoghi rapidi, anche l’insulina umana regolare assunta per via inalatoria, all’incirca 5-10 minuti prima di ogni pasto, consente un controllo della glicemia postprandiale assai più rapido ed efficace di quello consentito dalla iniezione sottocutanea di insulina umana regolare.
La breve durata di azione dell’insulina inalata la rende quindi particolarmente appropriata per il controllo della glicemia postprandiale ma, in soggetti totalmente insulino-privi come i diabetici di tipo 1 o i diabetici di tipo 2 in fase avanzata, è necessario associare alla terapia insulinica inalatoria ai pasti, la somministrazione di una iniezione di insulina ad azione ritardata per coprire il periodo notturno e le fasi interprandiali.
Efficacia e vantaggi
Gli studi clinici eseguiti nei diabetici sia di tipo 1 sia di tipo 2 hanno dimostrato che l’insulina inalata ha una efficacia paragonabile a quella dell’insulina umana regolare iniettata per via sottocutanea: è infatti possibile ottenere la stessa riduzione della glicemia e della emoglobina glicata e anche l’incidenza di ipoglicemia non è diversa.
La dose iniziale è stabilita sulla base del peso corporeo, del tipo di diabete, del grado di scompenso metabolico. Per ogni dose prescritta, i pazienti assumono una o due inalazioni. La dose massima per ogni singola somministrazione preprandiale è di 6 mg.
L’esperienza clinica ha allontanato i dubbi circa una possibile scarsa riproducibilità degli effetti dell’insulina inalata. In realtà, il grado di variabilità osservato nello stesso paziente dopo l’inalazione di una medesima dose di insulina, in tempi diversi, non si differenzia da quello della via sottocutanea. Questi risultati presuppongono tuttavia una adeguata istruzione del paziente per un uso appropriato dell’inalatore.
Nel diabete di tipo 2 l’insulina inalata è stata usata con successo anche in associazione con gli ipoglicemizzanti orali per il controllo della iperglicemia postprandiale. In questo caso, ove persista una quota residua di secrezione insulinica, può non essere necessario l’inserimento in terapia di una dose serale di insulina ad azione ritardata.
Nei diabetici di tipo 2 la disponibilità di una insulina ad assorbimento polmonare può essere di aiuto nel superare la riluttanza assai diffusa a iniziare la terapia insulinica. Ciò può consentire di accorciare quel periodo assai lungo, di mesi se non di anni, di insufficiente controllo metabolico, con iperglicemia persistente, che segue il fallimento della terapia orale. L’uso più precoce dell’insulina polmonare può perciò contribuire alla prevenzione delle complicanze cardiovascolari, il vero problema del diabete di tipo 2.
Non sembra perciò azzardato ritenere che proprio il diabete di tipo 2, nella sua fase di fallimento secondario della terapia ipoglicemizzante orale, rappresenti una potenziale indicazione elettiva all’impiego dell’insulina polmonare laddove vi sia un rifiuto della terapia insulinica convenzionale.
E’indubbio tuttavia che l’insulina polmonare possa avere una forte attrattiva anche per i pazienti con diabete di tipo 1. E’ infatti assai diffusa, anche se non giustificata razionalmente, una condizione di ansietà, fino a una vera e propria fobia, per la terapia iniettiva, considerata come espressione di dipendenza farmacologia e causa di profondo disagio sul piano sia individuale sia sociale.
In generale, possiamo dire che l’insulina polmonare si pone come una opzione alternativa in tutti i casi in cui, per una inadeguata adesione del paziente alla prescrizione di una terapia insulinica convenzionale, non si raggiunge il target glicemico necessario per la prevenzione delle complicanze micro e macrovascolari.
Alcuni studi sono stati dedicati al livello di accettabilità e di soddisfazione registrato nei diabetici sia di tipo 1 sia di tipo 2 con l’insulina polmonare rispetto a quella sottocutanea e i risultati depongono concordemente a favore della prima.
Problemi e dubbi
Accanto agli apparenti vantaggi, altri aspetti della terapia insulinica inalatoria meritano un approfondimento. Innanzitutto, la biodisponibilità dell’insulina inalata è circa pari al 10-15% della insulina iniettata sottocute, cosicché la dose di insulina da somministrare per via inalatoria, per avere una pari efficacia, è da 8 a 10 volte superiore a quella somministrata per via sottocutanea. Questa affermazione merita tuttavia una precisazione. Infatti, fino al 50% e oltre della dose di insulina erogata dall’inalatore, malgrado il perfezionamento tecnologico del dispositivo, può andare disperso nello strumento e nella cavità orale o nel faringe o essere espirato nell’ambiente. Quindi, anche se la dose somministrata di insulina è da 8 a 10 volte superiore rispetto a quella realmente assorbita a livello alveolare, la reale quantità di insulina “extra” depositata nelle vie respiratorie non è probabilmente più di 3-4 volte quella somministrata per iniezione e quindi inferiore al limite di tolleranza dei polmoni per l’inalazione di polveri insolubili (30 mg al giorno).
Questa considerazione lascia perciò presumere che l’eccesso di polvere di insulina depositato nei polmoni non ne alteri la funzione. Studi a breve termine non hanno dimostrato modificazioni sostanziali della funzione polmonare per quanto riguarda il volume espiratorio forzato in un secondo, la capacità polmonare totale, la capacità di diffusione e la saturazione di ossigeno. Solo in alcuni studi sono state osservate modeste modificazioni della funzione polmonare, peraltro non progressive e reversibili con la sospensione del trattamento. Un effetto collaterale, osservato in una esigua percentuale di casi, è la tosse, lieve o moderata, ma con una tendenza alla progressiva diminuzione.
Anche se gli elementi di cui disponiamo sembrano indicare una buona tollerabilità della insulina inalata, è opportuno attendere i risultati degli studi a più lungo termine prima di formulare una conclusione definitiva. Mancano inoltre studi adeguati su specifiche categorie di pazienti affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva, asma bronchiale o enfisema.
Una considerazione particolare riguarda i fumatori. Infatti, il fumo modifica profondamente il meccanismo di assorbimento dell’insulina dall’albero respiratorio, perché induce un sensibile aumento della permeabilità della barriera alveolo-capillare. Ne deriva che l’esposizione dei fumatori all’insulina inalata è da 2 a 3 volte superiore rispetto ai non fumatori. Inoltre, l’interruzione del fumo anche per sole 24-48 ore riduce sensibilmente la velocità di assorbimento e quindi l’esposizione all’insulina inalata. E’ vero il contrario, se si riprende l’abitudine al fumo. Perciò i fumatori devono essere invitati a interrompere stabilmente la loro abitudine prima di iniziare una terapia insulinica per via inalatoria. Una situazione opposta è quella che si verifica nei soggetti asmatici nei quali l’assorbimento polmonare di insulina risulta diminuito. In generale, quindi, l’abitudine al fumo e la presenza di patologie croniche dell’apparato respiratorio non rendono consigliabile l’impiego dell’insulina inalatoria.
Una preoccupazione suscitata dalla somministrazione polmonare di insulina riguarda la sua sicurezza sul piano immunologico. Si è temuto che l’esposizione ripetuta di un’ampia superficie broncoalveolare a dosi elevate di insulina potesse stimolare le difese polmonari e indurre una reazione immunologica. In realtà, la somministrazione polmonare di insulina induce una risposta anticorpale assai più intensa di quella prodotta dalla insulina iniettata sottocute. La differenza è evidente particolarmente nei diabetici di tipo 1 e di tipo 2 già in trattamento insulinico per via sottocutanea. Ciononostante, non è stata osservata alcuna relazione fra la presenza di anticorpi, da un lato, e il controllo metabolico, il profilo temporale di attività, la dose di insulina e l’incidenza di ipoglicemia, dall’altro. Ciò si deve verosimilmente all’assenza di anticorpi neutralizzanti nella risposta immunitaria evocata dall’insulina polmonare.
I PRO E I CONTRO IN SINTESI
  1. La terapia insulinica inalatoria presenta una efficacia e una riproducibilità di effetti non diverse da quelle della terapia insulinica iniettiva sottocutanea sia nel diabete di tipo 1 sia nel tipo 2. Mancano tuttavia studi accurati di confronto fra l’insulina inalatoria e un regime ottimizzato di terapia insulinica con analoghi ad azione rapida e ritardata.
  2. Gli studi finora eseguiti indicano una buona tollerabilità dell’insulina inalata a livello polmonare e la non interferenza degli anticorpi anti-insulina prodotti per effetto di questa via di somministrazione, sui parametrici metabolici. Si attendono tuttavia i risultati di studi a più lungo termine prima di una conclusione definitiva.
  3. La terapia inalatoria è incompatibile con l’abitudine al fumo e non è consigliabile nei pazienti affetti da broncopneumopatia ostruttiva cronica o asma bronchiale.
  4. La necessità di un’adeguata istruzione all’uso dell’inalatore ne limita l’impiego a soggetti adulti e capaci di collaborazione.
  5. L’insulina polmonare costituisce una nuova opzione terapeutica soprattutto nei diabetici di tipo 2 in fallimento secondario della terapia ipoglicemizzante orale che rifiutino l’inizio della terapia insulinica iniettiva.
  6. Analoga considerazione vale per i diabetici di tipo 1 che rifiutano per motivi psicologici la terapia multi-iniettiva e che, per questo, non conseguono l’obiettivo glicemico desiderato. L’insulina inalatoria non è, comunque, indicata al di sotto dei 18 anni di età.
  7. È presumibile che considerazioni di tipo farmacoeconomico pongano una consistente limitazione all’impiego dell’insulina polmonare.