Indagine
La fondamentale figura del "caregiver"
L'angelo custode
Un'indagine GfK Eurisko dimostra che chi ha il diabete si cura molto meglio se, oltre che sul medico e sull'autocontrollo, può contare su una persona che gli stia vicino, lo consigli e lo conforti. E nella maggioranza dei casi questa persona è una donna
Ci si cura meglio se qualcuno ti dà una mano. E di solito è una donna la persona che assicura questo aiuto. E' soprattutto lei a incarnare il ruolo del "caregiver”, cioè quello della persona che quotidianamente si occupa e si prende cura della salute dell'altro, il marito, il figlio, la madre. E questo vale anche per il diabete, come mostrano i risultati di una recente inchiesta condotta da GfK Eurisko per Novartis, da cui risulta che, se è vero che in questa patologia la capacità di autogestione è la carta vincente del paziente, le cose migliorano decisamente quando c'è il sostegno di un'altra persona: il o, più spesso, la caregiver, che offre consigli, suggerimenti, raccomandazioni, promemoria, conforto psicologico, primo soccorso in caso di difficoltà.
Più in particolare, la ricerca -"Il caregiver del paziente diabetico: una funzione fondamentale nel sostegno della gestione della patologia”, presentata poche settimane fa a Milano- ci dice che circa 9 pazienti su 10 possono contare su qualcuno che li aiuti e che nel 60% dei casi questo qualcuno è donna (moglie, partner, sorella, amica).
"La donna cura la casa, si occupa di tutti e specialmente di chi ha problemi -commenta in proposito Vera Buondonno Lombardi, presidente della Fand-Associazione italiana diabetici- Se c'è un diabetico in casa, lei gli ricorda quando prendere le medicine, lo sollecita a rispettare la dieta e a fare movimento, lo accompagna alle visite mediche. L'uomo ha più bisogno di supporto, fa più fatica a gestirsi da sé, la donna è più autonoma”.
I dati ci rivelano che se, oltre che sul medico e sul centro diabetologico, può usufruire del sostegno di un caregiver, il paziente vive più serenamente e si controlla meglio, perché si sente protetto e seguito: infatti, chi si avvale di questo appoggio si dichiara più soddisfatto di sé stesso, meno ansioso, più attivo e riesce ad accettare più facilmente la propria condizione rispetto a chi vive solo. Per esempio, chi ha accanto a sé una caregiver si definisce tranquillo nel 68% dei casi (contro il 64% di chi deve fare tutto per conto suo), e attivo nel 63% (contro il 56). E il 70% ritiene di godere di buona salute fisica.
L'indagine riesce anche a misurare la fondamentale efficacia della funzione del caregiver: aiuta il 76% dei diabetici a non scordarsi di assumere i farmaci prescritti, il 72% a osservare un'alimentazione calibrata, il 55% a fare esercizio fisico. Ottime percentuali, a cui si può aggiungere il 50% di coloro che accompagnano il paziente quando deve recarsi dal medico o al centro diabetologico.
Non che tutto questo sia facile, naturalmente. Il 30% dei caregiver afferma di fare fatica a convincere il suo "assistito” a fare attività fisica (e lo si può ben capire in un Paese di sedentari come il nostro, per giunta mal dotato di spazi e strutture per lo sport). Il 51% invece denuncia difficoltà nell'ottenere risultati sul fronte della dieta. "E' infatti un compito gravoso -ammette Vera Buondonno Lombardi- ma è gratificante perché fa vivere meglio il paziente”.
L'importanza di questo ruolo è riconosciuta esplicitamente anche dai medici. Dice, per esempio, il professor Geremia Bolli, ordinario di medicina interna presso il Dipartimento di medicina interna e scienze endocrine e metaboliche dell'Università di Perugia: "In ambulatorio vedo spesso pazienti accompagnati da mogli o partner, che chiedono di entrare con lui e spesso se ne fanno portavoce, danno al medico notizie e dettagli utili sulla gestione della patologia”.
E' particolarmente preziosa la consapevolezza che questa figura ha della gravità delle crisi ipoglicemiche, maggiore di quella del paziente stesso: 59% contro 49. C'è una spiegazione per questa differenza, secondo il professor Bolli: "Chi sta vicino al paziente spesso percepisce prima e più chiaramente di lui i sintomi e le alterazioni comportamentali connesse alle crisi ipoglicemiche che il diabetico non coglie pienamente”. Da questa consapevolezza deriva poi una positiva attenzione nei riguardi della prevenzione del fenomeno o dell'intervento da praticare tempestivamente quando questo si manifesti.
Se si lavora in coppia, i problemi dell'uno diventano anche quelli dell'altro e l'indagine ha quindi sondato quali siano le maggiori preoccupazioni del caregiver: nell'ordine, le complicanze (per il 69%), la necessità di passare alla terapia insulinica (59%), il sovrappeso (49%). Il professor Bolli sottolinea che la consapevolezza del rischio di complicanze è un fatto positivo perché contribuisce all'impegno per prevenirle; i timori nei riguardi dell'insulina sono invece un retaggio del passato, dei tempi lontani in cui le iniezioni erano associate a condizioni di estrema gravità, mentre oggi sono terapia ordinaria, sempre più efficace, essenziale sia per la cura sia per la prevenzione delle complicanze.
Ma com'è la relazione fra paziente e caregiver da una parte e medici e centri diabetologici dall'altra? Molto buona, risponde la ricerca, visto che l'86% delle persone con diabete e il 90% di chi sta loro vicino si dichiarano soddisfatti dell'assistenza e del servizio ricevuti.
Commenta Bolli: "ll paziente diabetico deve essere coinvolto attivamente dal proprio specialista in un percorso educativo che lo aiuti ad apprendere e mettere in pratica con correttezza e costanza tutti quegli accorgimenti che consentono di gestire al meglio la patologia (come controlli glicemici, dieta, attività fisica, eccetera). Il medico deve responsabilizzare, motivare, offrire un supporto psicologico. E non solo al diabetico, ma anche a chi lo assiste. Quindi, i dati che emergono dalla ricerca sulla soddisfazione verso i medici ci fanno molto piacere”.
Una parte dell'indagine di GfK Eurisko è stata dedicata agli aspetti psicologici legati al diabete attraverso un forum on line che ha coinvolto 25 pazienti di tipo 2. Ne è emerso anzitutto il bisogno di un aiuto per riuscire ad accettare una condizione che, all'atto della diagnosi, è stata accolta come uno "shock”, "una doccia gelata”, un trauma. Di conseguenza, la persona con diabete sente la necessità sia di un supporto professionale sia di un conforto emotivo per imparare a controllarsi e gestirsi, per superare i momenti di depressione e per guardare senza paura al futuro.
In questo contesto si colloca una campagna di comunicazione per pazienti e caregiver promossa dalla Fand insieme con Onda (Osservatorio nazionale sulla salute della donna), che prevede una serie di incontri di approfondimento e confronto, con la partecipazione di medici e specialisti, sulla buona gestione del diabete. Spiega Vera Buondonno: "Puntiamo al coinvolgimento diretto e consapevole di chi, nell'ambito familiare, ricopre un ruolo centrale. Con questo progetto dobbiamo tutti insieme lavorare per convincere il paziente della pericolosità della patologia e di come questa vada governata per non incappare nelle complicanze”. Le prime tre città toccate dal progetto saranno, entro l'estate di quest'anno, Torino, Ravenna e Reggio Calabria.