Un S.O.S. che aspetta una risposta. La storia di Cecilia Dainese

“I’ll send an S.O.S. to the world”, lo cantavano i Police in una canzone vecchia di 40 anni.
Sting si augurava, in quella canzone, che qualcuno raccogliesse il suo messaggio. E lui, a sua volta, il messaggio l’aveva affidato a una bottiglia.

Penso ai vari messaggi di S.O.S. che mi è capitato di inviare al mondo. A quando lanci quella bottiglia con forza, lontano, accettando la tua vulnerabilità e dichiarando, in breve, che hai bisogno di aiuto.
Oggi lo penso perché ho parlato con Cecilia, e quello che sto scrivendo ora non è tanto il racconto della sua vita, quanto uno di quei messaggi.
Un messaggio nella bottiglia. Un S.O.S lanciato al mondo.
Non pensatela piegata su sé stessa, dolorante e confusa.
Pensate a una leonessa, dritta in piedi, di fronte al mare. Pensatela come una Robinson Crusoe.
Si trova su un’isola. È sola. Ma non le passa nemmeno per l’anticamera del cervello di darsi per vinta, di perdere le speranze, di farsi scoraggiare. Guarda il mare e ruggisce e si prepara ad affrontarlo.

Il diabete lo conosco attraverso le esperienze degli altri. Tutti mi hanno sempre parlato di quella solitudine. La solitudine della vita che si capovolge all’improvviso e sembra di dover affrontare un mare in tempesta del quale non si sa nulla.
Cecilia mi racconta che in ospedale era sola. L’hanno informata che d’ora in avanti la vita sarebbe cambiata. La puntura si fa così, la glicemia si misura così. E questo è tutto. La vita cambiava e lei sapeva solo le informazioni basiche per arginare questo cambiamento. Rispetto a tutto il marasma interiore, il senso di panico, lo shock profondissimo, nessun tipo di sostegno.
“Mi è sembrato di portare a casa un bambino”, mi dice Cecilia, “qualcosa di cui non sapevo nulla, ma che sarebbe stato sempre con me”.

La prima cosa di cui si rende conto è che non esiste una risposta standardizzata alla cura. Ogni diabete è una storia a sé, è unico, con caratteristiche uniche. Ha bisogno di capire, di avere risposte chiare, di poter chiedere la stessa cosa molte volte se non l’ha compresa a fondo, di sentire che chi informa ha voglia di farlo, e si prende a cuore la salute di chi ha davanti.
“Io mi sono trovata un muro dalla parte medica. Ma avevo bisogno di consapevolezza. Avevo bisogno di comprendere cosa mi facesse bene e cosa male. E poi ho iniziato a voler comprendere ogni cosa riguardasse il diabete. Se ci sono normative specifiche, diritti sul lavoro… Non ho ancora trovato un posto fisico o virtuale nel quale sia racchiuso tutto”.

Nel frattempo la vita di Cecilia si è rivoluzionata. Il diabete ha avuto un ruolo centrale. “Certamente ha contribuito alla separazione con mio marito, perché io non l’ho mai condiviso e lui non sapeva nulla di ciò che accadesse al mio corpo, ad esempio durante una ipoglicemia. Ne era spaventato e io che sono sempre stata abituata a reggere ogni cosa, ho pensato che l’avrei potuto sostenere da sola”.
Ma non è così. La paura allontana, respinge. La non conoscenza crea mostri che diventano insormontabili. Ma la vita prosegue: a Cecilia ha portato un nuovo amore, che non ha paura di prendersi tutto il pacchetto. Cecilia e il suo diabete. Che le dice: “Tu non sei malata, tu hai una patologia” e che è il suo primo supporter.

“Io non mi sono mai concessa di vivere con calma. Avevo sempre l’acceleratore schiacciato, non sono mai stata abituata a chiedere aiuto. Ora mi ascolto, e se non ce la faccio, accetto di non farcela e penso che l’unica cosa che desidero è essere felice”.
E se non ce la fa, accetta di lanciare il suo S.O.S. al mondo.
L’ha fatto Sting. L’ho fatto io. Alzi la mano chi non l’ha fatto nemmeno una volta nel corso della sua vita.
Nello specifico, Cecilia mi ha raccontato di aver inviato mail ad associazioni ed enti e di non aver ottenuto risposte. Mi dice che vuole dare la sua disponibilità, rendersi utile per tutti coloro che come lei vivono col diabete. Ha voglia di fare, di creare qualcosa o di supportare ciò che già esiste.
Ha energia, forza, entusiasmo da vendere. Ve l’ho detto, non pensatela piegata su sé stessa, pensate a una leonessa.

Ora, in tutti questi anni, io ho raccolto moltissime testimonianze di personale medico e di associazioni illuminate, dedite, preziose. Persone che dedicano la vita alla sensibilizzazione del diabete. Cecilia vive a Milano e chi volesse contattarla può farlo attraverso la sua pagina Instagram o scrivendo a Diabete.net (www.diabete.net/contatti/).

Fatevi sentire, raccogliete il suo messaggio nella bottiglia. Sono certa che potrà scoprire che in queste acque si è in tanti a navigare e che non si lascia affondare nessuno.

A cura di Patrizia Dall’Argine