A volte penso che vorrei poter tornare indietro, negli anni, e affidare alla memoria scritta di un quaderno, tutte le prime volte della mia vita.
Com’è stato imparare ad andare in bicicletta? Me lo ricordo vagamente. Avevo paura. Molta. Mi sentivo goffa, a livello motorio, rispetto ai miei coetanei. Ma è altro ciò che mi interessa. Vorrei rivivere la sensazione specifica che ha accompagnato la prima pedalata. Qual era? Cos’era?
A volte mi sento sopraffatta dall’idea di tutte le prime volte che abbiamo vissuto nella nostra esistenza.
Ho sempre voluto preservare, con tutte le mie forze, quel tipo di stupore. Ho sempre voluto che rimanesse immacolato e saldo. Ma più avanzo con l’età e più dimentico di celebrare le mie prime volte. I nuovi sapori che vengono accolti dal mio palato, un paesaggio che non avevo ancora attraversato, uno stato d’animo imprevisto.
Le prime volte sono necessarie iniziazioni. Siamo già altro alla fine di quelle fugaci e irreversibili esperienze.
Me lo ricorda Laura, che in questa intervista sottolinea la valenze di tutte le prime volte che riguardano il diabete, iniziando dall’azione più iconica di questa patologia: la puntura.
Un gesto, che come dice lei “Va guardato. Va capito. Mi sono detta: ‘Questa è la prima, chissà quante ce ne saranno ora, da qui in avanti’. Pungermi mi ricorda ogni giorno che sono malata, ma allo stesso tempo che l’insulina mi salva la vita“.
Laura ha avuto l’esordio 2 anni fa, in piena pandemia. Era arrivata a pesare 45 kg. Un esordio in pandemia significa solitudine potenziata, paralizzante; acutizzata dalla lontananza col mondo e da strutture sanitarie sfinite da un’altra emergenza.
Una fatica immane, cercando di interpretare la valanga di informazioni, veicolate – nel suo caso – con fretta, con freddezza e alle quali da quel momento in avanti ci si deve adeguare.
“Ho messo la mia vita in stand by per un anno. Mi sono fermata col lavoro, con lo studio, con lo sport. Ho dedicato tutto il tempo che avevo per capire cosa mi stesse succedendo.”
Questo capire è fatto soprattutto di corpo, di reazioni a tratti violente, come la prima ipoglicemia.
“Me la ricorderò per tutta la vita. L’improvvisa confusione mentale. Ho iniziato a sudare e tremare. È stato terribile. Soprattutto perché, ingenuamente, credevo che ipoglicemia e iperglicemia fossero eventi sporadici e non all’ordine del giorno. Inizialmente avevo paura di queste reazioni fisiche che non potevo controllare. E la paura è stato il grande tema di questi anni, finché a un certo punto ho cominciato a dialogarci: ‘Cosa mi spaventa?’, mi chiedevo.
E ogni volta riguardava un campo diverso della mia vita: Andare a cena con gli amici e sentirmi a disagio… L’ipoglicemia mentre sono al lavoro… Riprendere gli allenamenti di pole dance.
Ogni volta, arrivavo alla stessa conclusione: Ti fa paura? Allora fallo. E lo facevo.
Tornavo a lezione di pole dance. E magari la prima volta si staccava il sensore, la seconda andavo in ipo, ma la terza andava meglio. E in questo modo ho ripreso a fare tutto“.
“All’inizio la gestione del diabete ha avuto un impatto fortissimo su di me. Ogni prima volta è stata difficile e dolorosa. Se capitava che il sensore non funzionasse, mi sembrava che mi cadesse letteralmente il mondo addosso. Ho attraversato paura, frustrazione, e ora sono arrivata all’abitudine. Ho iniziato a respirare quando ho capito che gli altri, le altre persone con diabete, conducevano una vita normale. I medici spesso sono molto cauti nel definire quello che puoi o non puoi fare. E io continuavo a chiedermi: ‘Cosa esattamente dovrà cambiare? Dovrò diventare spettatrice della mia vita?‘.
Creare una pagina Instagram, @diabete_intavola, è stato essenziale in questo processo di comprensione. Per me non era solo uno sfogo, avevo bisogno di un confronto con chi viveva esattamente quello che stavo vivendo io. La pagina è diventata sempre più importante. Ci sono molte interazioni e io non manco mai di rispondere. Sento di dover fare qualcosa per gli altri, così come è stato fatto per me. È necessario cercare sempre il contatto. È necessario saper chieder aiuto agli altri, diabetici e non”.
E forse, penso io, è necessario segnare tutte le prime volte della nostra vita. Anche quelle più spiazzanti e dolorose. Soprattutto quelle. Per potersi dire, per potersi ricordare, chi eravamo prima delle nostre iniziazioni e cosa siamo ora.
A cura di Patrizia Dall’Argine