Le linee guida dell’ADA

Le regole del gioco
L’autorevole American diabetes association riepiloga e aggiorna i principi cardine della diagnosi, della terapia e della prevenzione: come individuare la patologia e le situazioni a rischio, mosse e contromosse per evitare le complicanze e difendere la propria salute

Anche quest’anno, l’Associazione americana per il diabete (Ada) non ha fatto mancare la pubblicazione, assai preziosa e di grande interesse pratico, della linea guida che indica i procedimenti diagnostici e gli interventi terapeutici che si ritengono maggiormente utili per migliorare lo stato di salute dei soggetti diabetici. Abbiamo ritenuto utile per i nostri lettori estrarre dal testo le notizie che riguardano il diabete di tipo 2, denominato in passato anche diabete dell’età adulta, sia per la sua crescente e preoccupante diffusione, sia per lo scarso rilievo che, erroneamente, a questa patologia viene in genere attribuito da chi ne è affetto e molto spesso anche dagli stessi medici.

I criteri diagnostici
L’esordio del diabete di tipo 2 differisce sostanzialmente da quello di tipo 1, definito anche, in passato, diabete  infanto-giovanile. Questo si manifesta, infatti, il più delle volte in maniera improvvisa con un marcato aumento della sete, l’eliminazione di una maggiore quantità di urina, anche durante la notte, una perdita di peso più o meno marcata, malgrado l’aumento della fame e dell’apporto calorico, e una riduzione della forza e della efficienza fisica: sintomi che richiamano l’attenzione del paziente o dei familiari e che inducono a fare una rapida verifica, magari con uno stick urinario, per verificare la possibile presenza di glicosuria.
Il diabete di tipo 2, invece, molto frequentemente non viene diagnosticato al suo insorgere, per l’assoluta mancanza di ogni sintomatologia. Infatti, a differenza del tipo 1, i valori della glicemia non sono all’esordio così alti da provocare la classica sintomatologia sopra ricordata. Si calcola perciò che almeno un terzo di tutti i pazienti diabetici non sappia realmente di esserlo e che si giunga alla diagnosi solo dopo l’insorgenza di una complicanza come, per esempio, un infarto del miocardio o un ictus. Da qui, la necessità di una diagnosi più tempestiva che consenta di porre in essere tutti quei presidi terapeutici che oggi sappiamo essere in grado di prevenire le possibili complicanze cardiovascolari.
Per la diagnosi di diabete possiamo disporre oggi di due test assai semplici: la determinazione della glicemia a digiuno e l’esecuzione di un carico orale di glucosio. In condizioni normali, la glicemia misurata sul plasma venoso dopo almeno 8 ore di digiuno deve essere inferiore a 100 mg/dl. Una glicemia eguale o superiore a 125 mg/dl consente di formulare la diagnosi di diabete. Glicemie comprese fra 100 e 125 mg/dl definiscono una condizione che, pur essendo anomala, non è ancora diabete e che, perciò,  viene semplicemente definita “anomala glicemia a digiuno”.
Il carico orale di glucosio viene eseguito assumendo la mattina, a digiuno, 75 g di glucosio e determinando la glicemia sia prima della assunzione del carico sia a distanza di 2 ore. In condizioni normali, la glicemia due ore dopo il carico deve essere inferiore a 140 mg/dl. Valori eguali o superiori a 200 mg/dl fanno porre la diagnosi indiscussa di diabete, mentre valori intermedi fra 140 e 199 mg/dl indicano una condizione patologica che non è ancora diabete e alla quale viene data la definizione di “intolleranza al glucosio”. E’ implicito che, quando si ricorra inizialmente alla misura della glicemia a digiuno, laddove si riscontri la presenza di una glicemia anomala, compresa fra 100 e 125 mg/dl, è necessario procedere con l’esecuzione di un test di carico.
Sia l’”anomala glicemia a digiuno” sia l’”intolleranza al glucosio” meritano l’appellativo di pre-diabete, perché entrambe predispongono, se non corrette da una adeguata terapia, alla insorgenza di diabete e delle complicanze aterosclerotiche cardiovascolari.
Lo screening per la diagnosi di diabete e pre-diabete dovrebbe essere compiuto in tutti i soggetti adulti, anche se privi di sintomi, qualora siano in sovrappeso e portatori di uno o più fattori di rischio fra quelli qui di seguito indicati.
• Familiari di primo grado diabetici
• Donne che abbiano partorito feti macrosomici (peso eguale o superiore a 4 kg) o alle quali sia stato diagnosticato, in passato, un diabete gestazionale
• Ipertensione arteriosa con valori eguali o superiori a 140/90 mmHg o in trattamento anti-ipertensivo
• Valori di colesterolo Hdl inferiore a 35 mg/dl o di trigliceridi superiori a 250 mg/dl
• Rilevazione in passato di elevati valori di glicemia anche se sporadici
• Una storia di malattie cardiovascolari
• Donne con sindrome dell’ovaio policistico
Poiché l’età è di per sé un fattore di rischio, un test di screening dovrebbe essere comunque eseguito in tutti i soggetti al di sopra dei 45 anni anche in assenza dei fattori di rischio specifici sopra indicati.
A differenza del passato, oggi, a causa della diffusione epidemica della obesità anche infantile, si assiste, per la prima volta nella storia della specie umana, alla comparsa del diabete di tipo 2 anche nei bambini e negli adolescenti obesi. Per questo lo screening diagnostico deve essere esteso anche all’età infantile, a partire dai 10 anni o dalla pubertà se questa interviene a una età inferiore, in presenza di obesità e di due fattori di rischio aggiuntivi fra quelli di seguito indicati.
• Storia di diabete nei familiari di primo e di secondo grado
• Storia materna di diabete gestazionale
• Dislipidemia, ipertensione o sindrome dell’ovaio policistico
La determinazione della emoglobina glicata (HbA1c) completa l’accertamento diagnostico
ma non è un requisito necessario per la diagnosi. La HbA1c esprime il valore medio della glicemia degli ultimi due mesi e può darci indicazioni preziose sull’equilibrio metabolico raggiunto in quel periodo. In condizioni normali non supera il 6%. La sua determinazione non è utile per la diagnosi, bensì per il monitoraggio della efficacia della terapia.

Esami e accertamenti
Non deve sorprendere che si ponga sullo stesso piano la condizione di diabete con quella
apparentemente meno impegnativa di pre-diabete: infatti, questo stato ha un’alta probabilità di evolversi verso un diabete conclamato. Inoltre, entrambe le situazioni rappresentano un importante fattore di rischio per le malattie cardiovascolari.
Il primo compito è quello di accertare la possibile presenza di altre patologie che,
condividendo con il diabete le medesime cause, sono spesso associate e devono perciò essere riconosciute e adeguatamente trattate. Le più frequenti sono l’ipertensione arteriosa e la iperlipidemia caratterizzata, nei diabetici, più che da un aumento del colesterolo totale e del colesterolo Ldl, da una riduzione del colesterolo Hdl (colesterolo buono) e da un aumento dei trigliceridi.
In secondo luogo, è necessario valutare se, a causa del diabete e delle patologie eventualmente associate, si sia già creato un danno a carico di uno o più organi bersaglio. In questo senso è utile un accurato esame clinico dell’apparato cardiocircolatorio che si può giovare di un approfondimento strumentale con una valutazione elettrocardiografica ed ecocardiografica e un esame ecodoppler delle principali arterie. Fondamentale è poi una valutazione del fondo oculare per verificare lo stato della retina e la misura della quantità di albumina espulsa con le urine per escludere un possibile danno renale incipiente. E’ opportuno che, in caso di negatività, l’esame del fondo oculare e la ricerca della microalbuminuria debbano essere ripetuti ogni anno.

Per ulteriori informazioni potete visitare la pagina: Standards of Medical Care in Diabetes—2011