Milano, 22 ottobre 2002:Ascensia ha realizzato un sogno
Al circolo della stampa di Milano si è svolta oggi la conferenza stampa di saluto per Ascensia Cho Oyu 2002. Erano presenti tutti i partecipanti alla spedizione ed è stato proiettato in esclusiva il filmato con alcuni dei momenti più significativi di questa esperienza.
Tra gli altri sono intervenuti:
Vittorio Casiraghi e Marco Peruffo,
i due alpinisti diabetici promotori del progetto e partecipanti alla spedizione
Prof. Angelo Avogaro,
responsabile della Ricerca medico-scientifica, Dipartimento di Malattie del Metabolismo dell’Università di Padova
Giampaolo Casarotto,
alpinista e capo-spedizione di Ascensia Cho Oyu 2002
Daniele Rosa
Responsabile Relazioni Esterne Bayer
Diabete.net vi racconta quello che è stato detto.
Un sogno realizzato
I primati sono fatti per essere battuti. Noi vorremmo che di questa esperienza restasse qualcosa di più importante…
Si potrebbe sintetizzare così, con queste poche parole, quello che è stato detto ieri nel corso della conferenza stampa di saluto di Ascensia 2002.
Poco importa che Marco sia probabilmente il primo diabetico al mondo a raggiungere una simile quota. Poco importa perché, come lui stesso ci ha raccontato, il suo traguardo è una traguardo condiviso da tutti. I primati non importano ai ragazzi del gruppo ADIQ perché per loro il fatto che Marco sia arrivato in cima equivale alla rinuncia fatta da altri che si sono fermati a solo 50 metri dalla vetta. Ha lo stesso valore simbolico, quello della consapevolezza dei propri limiti. Una consapevolezza che non impedisce di misurarsi con imprese estreme ma che, al contrario, permette di farlo senza correre inutili rischi.
È questa la vera vittoria per i ragazzi di ADIQ: imparare a conoscere i propri limiti e non “osare” oltre quanto questi permettono di fare.
Nessuno di loro sembra aver vissuto questa esperienza come una sfida, una competizione o un modo per dimostrare qualcosa. Sui loro visi si legge la soddisfazione per gli obiettivi raggiunti. Ma è una soddisfazione priva di compiacimento. È un sentimento diverso e, in qualche misura, più duraturo e forse più invidiabile. È la serenità di chi è capace di seguire una passione e di farlo con maturità e completezza.
Ieri si è parlato del modo con cui tutti hanno vissuto queste esperienza e del significato che ha avuto per loro. Ma si è anche parlato delle difficoltà incontrate e di che cosa voglia dire per un diabetico praticare uno sport o fare esercizio fisico.
Oltre all’aspetto umano, è stato affrontato anche quello scientifico, che prevedeva l’applicazione di un protocollo medico.
Effettuare i test glicemici in alta quota non è stato facile. La maggiore difficoltà incontrata era dovuta alla vasocostrizione delle dita. La vasocostrizione, che in alta quota è una condizione comune, impedisce o rende difficoltoso effettuare i prelievi per misurare la glicemia.
Un’altra difficoltà incontrata è stata quella di conservare l’insulina. Le temperature sono state eccezionali e inferiori di quasi 10 gradi rispetto a quelle previste.
Anche il funzionamento degli apparecchi usati per la misurazione della glicemia poteva rappresentare una difficoltà. Gli apparecchi usati hanno un range di funzionamento di circa 5 gradi. Per mantenerli a una temperatura funzionale, sono stati tenuti in custodie di panno e mantenuti a contatto col corpo. Questo ha garantito il loro perfetto funzionamento e ha reso possibile effettuare tutti i controlli previsti dal protocollo.
Un minestrone di immagini ed emozioni – Vittorio Casiraghi
Vittorio è il primo a parlare. Si chiede (e, forse, ci chiede) se è a casa, finalmente a casa. Sì, è a casa, perché respira senza fatica, senza affanno. Respirare normalmente in alta quota è difficile e faticoso. Così come resistere al freddo e aspettare che le condizioni del tempo migliorino.
Vittorio è a casa, ma nella sua testa e nel suo cuore ci sono ancora tante immagini, tanti ricordi, tanti momenti di quello che ha vissuto nelle ultime settimane: un “minestrone di sensazioni”, come l’ha definito lui.
Vittorio ha ricordato e ringraziato chi ha creduto, voluto e reso possibile questa spedizione. Ha sottolineato, come gli altri, quanto sia stato importante “il gruppo”, ricordando che questa è stata una vittoria di tutti. Di chi è salito in cima, ma anche di chi è rimasto al campo base ad aspettare. Ma l’aspetto più importante per lui è l’aver raggiunto una consapevolezza da poter comunicare e condividere: “la possibilità che un diabetico possa svolgere attività in ambienti estremi è ormai una realtà”.
Abbiamo portato a casa la spedizione – Giampaolo Casarotto
Il capo spedizione ha ricordato quali erano gli obiettivi della spedizione e come siano stati rispettati tutti. Ma ha anche e soprattutto sottolineato l’importanza del gruppo. Un gruppo di appassionati (e non professionisti) della montagna. Dei “domenicali”, come li ha definiti lui.
“Abbiamo portato a casa la spedizione, come si dice in gergo. Ma la cosa più importante, per tutti, è stata che abbiamo rispettato gli obiettivi che ci eravamo posti prima di partire. I nostri obiettivi fondamentali erano tre, in questo ordine:
1. mantenere lo spirito di gruppo e di amicizia;
2. rispettare l’impegno scientifico e riuscire ad applicare il protocollo previsto;
3. raggiungere l’obiettivo alpinistico vero e proprio.
Giampaolo ha ricordato come, proprio da un parziale rifiuto da parte di alcuni medici, sia poi nata l’idea o il desiderio di riuscire un giorno a realizzare un’iniziativa del genere. Quando, anni fa, lui e Marco volevano andare in Perù, fu loro sconsigliato di farlo. Oggi sanno che salire in quota è possibile anche per un diabetico.
Lo sport è un fondamentale momento terapeutico per un diabetico – Prof. Avogaro
Il professore Avogaro ha ricordato quale fosse l’obiettivo scientifico di questa spedizione: valutare se l’alpinismo può portare o meno a un danno metabolico per un diabetico. I dati raccolti con l’applicazione del protocollo verranno analizzati e presto saranno pronti tutti i risultati.
Come gli altri, anche il professore ha fatto una premessa: “senza questo gruppo, sarebbe stato impossibile ottenere dei risultati scientifici”.
Quello che lui vorrebbe che restasse di quest’esperienza è il suo significato simbolico e la possibilità che i ragazzi di ADIQ servano da esempio, diventino una sorta di “modello”.
Il professore Avogaro ha sottolineato l’importanza dell’attività fisica nella vita di un diabetico.
“Il diabete non è guaribile ma è curabile” – ha ricordato – “e l’attività fisica è un fondamentale momento terapeutico. Perché l’invito a svolgere esercizio fisico non resti astratto, è però necessario dare ai ragazzi dei modelli, degli esempi positivi”.
In Italia, il 17% dei bambini è obeso. Negli USA, il 20% dei bambini obesi è diabetico. I progressi della ricerca scientifica sono molto importanti, irrinunciabili, ma bisogna ricordare che il diabete si cura anche modificando il proprio stile di vita, con la dieta e l’esercizio fisico.
La normalità di essere diabetico: nessuna sfida, solo l’amore per la montagna e la consapevolezza dei propri limiti – Marco Peruffo
“E’ andata bene”. Queste le parole d’esordio dell’intervento di Marco. Il suo racconto è semplice, vero, piacevole. Un racconto fatto col cuore, sorridendo spesso. Un racconto che fa capire lo spirito di questa iniziativa, di questo gruppo.
“La linea tra successo e insuccesso è sottilissima. È banale dire che è stata dura. È stato faticoso. Ed io, più della quota, ho sofferto il freddo. In vetta ci sono arrivato io, e non altri, anche per fortuna. Perché all’una di notte, l’ora prevista per partire, avevo la glicemia migliore”.
“Tutti noi ci siamo assunti dei rischi, ma rischi che sono stati il frutto di anni di preparazione e di conoscenza dei propri limiti, fisici e mentali. Nessuno di noi ha perso la proporzione. Possiamo dire che siamo stati tutti delle persone “a misura d’uomo”. Non ci siamo spinti oltre. E credo che non esista un buon diabetico o un bravo alpinista che “osino”.
Io sono diabetico da 24 anni. Come diabetico, non mi sento uguale agli altri. Ho dei limiti fisiologici e terapeutici. Ma sono 15 anni che faccio alpinismo e, prima che con le braccia e con le gambe, lo faccio con la testa e col cuore”.
“I primati non ci interessano perché, per definizione, sono fatti per essere battuti. Noi vorremmo che di questa esperienza restasse qualcosa di più duraturo, di diverso”.
Per conoscere meglio gli alpinisti di ADIQ, visita il sito dell’Associazione: www.adiq.org