L’ereditarietà della consapevolezza: la storia di Dario

Quando parliamo di patologie, siamo soliti credere che l’ereditarietà si muova sempre nello stesso modo: come una drammatica linea verticale che si insinua tra le generazioni più vecchie a quelle più nuove, lasciando solchi indelebili nell’albero genealogico. L’intervista con Dario mi ha insegnato che l’ereditarietà della consapevolezza segue invece altre strade: ne apre di nuove, ripercorre più volte lo stesso tracciato e si dirama in molte più direzioni, nutrendo contemporaneamente più radici e rami.

Tutta l’energia di questo giovane uomo si manifesta dai primi momenti della nostra intervista: è un vulcano di positività che prende immediatamente le redini della conversazione, come, scoprirò presto, ha già fatto mille volte quando si deve parlare di diabete. 

22 anni, salentino di origine, attualmente vive a Parma dove studia comunicazione. Alle spalle ha tanti anni di attività sociali come rappresentante di istituto, ballerino e scout, ma anche tanti anni di vita con il diabete una malattia che però non sente come tale.

“Influisce sulla mia vita ma persino chiamarla ‘malattia’ mi fa quasi strano”, dice, iniziando a raccontarmi la sua storia.

La diagnosi è arrivata a soli cinque anni e mezzo, quando, durante un viaggio in Francia con la sua famiglia, i genitori si accorgono che si addormenta ovunque, “persino sui piatti”, dice lui ridendo.

“Mi ricordo ancora il momento preciso: stavo mangiando un biscotto, ho dato il primo morso e mia mamma urla ‘Dario lascia immediatamente il biscotto’ perché avevo 400 di glicemia: è stato un attimo iconico di cui ancora tutta la mia famiglia si ricorda”.

Nessuno è particolarmente sorpreso perché anche la mamma è diabetica e i medici si interfacciano con una persona che conosce già l’argomento. Molti anni dopo, un ulteriore membro della famiglia viene poi diagnosticato con il diabete e può approfittare di questa enorme conoscenza: il nonno che, come il nipote recentemente, sceglie di usare il sensore.

La vita di Dario resta quindi tranquilla, la sua esperienza con il diabete è filtrata da quella materna e dalla magia che i bambini sanno trovare nel mondo.

All’inizio provare la glicemia per me era quasi un gioco. Più tardi, quando ho capito che dovevo farlo sempre, un po’ meno”, ride ancora.

Come sei fortunato che hai la mamma con il diabete”. Dario se lo sente dire tante volte, e concorda anche lui, ma è proprio in questo momento che scopre l’altro lato della medaglia, il prezzo pagato per tutta questa consapevolezza. 
A un certo punto le persone informate risultano poche rispetto a quelle che di diabete sanno poco e hanno bisogno di conforto e di consigli. Anche se sei piccolo, vieni chiamato ad aiutare, a spiegare, ad essere un po’ più grande della tua età. Magari non è la tua mamma, ma quella di qualcun altro, a cui ti trovi, ancora bambino, a spiegare come vivere con il diabete.

“Ricordo bene una signora di oltre 40 anni che mi disse ‘Se ce l’hai fatta tu a farti l’insulina da solo allora posso riuscirci anche io’. Sono bei ricordi, ma in tanti momenti, a scuola e sul lavoro, avrei voluto avere persone competenti intorno me, adulti a cui non dovessi spiegare io le cose”.

Il suo sorriso si rimpicciolisce mentre ripercorre alcuni dei solchi lasciati dall’ignoranza.

Ci sono quelli ereditati dalla madre, rifiutata da un fidanzato una volta diagnosticata, quelli più personali e sottili, come la prima fidanzatina di Dario che cercò su Google “Si può prendere il diabete da un bacio?”.  Altri ancora sono più profondi, sono quelli lasciati insegnanti poco comprensivi e dai datori di lavoro che lo hanno definito “poco elegante” per aver fatto l’iniezione in pubblico. 

Episodi affrontati con fermezza, grazie a tutti gli anni di normalizzazione in casa.

“Volevano mettere in dubbio i miei gesti, ma c’è un motivo se sto facendo questa cosa e non c’è vergogna in un’iniezione che devi fare tutti i giorni. Di certo non ho aspettato che lo capissero per prendermi cura di me”.

È grazie a questa risolutezza che Dario oggi definisce il suo rapporto con il diabete “innovativo”: dopo tanti anni ad alternare differenti dispositivi, poter usare di nuovo il sensore con microinfusore porta una rinnovata stabilità.

“Certo, non è che è posso smettere di stare attento, ma io ho fatto tutte le esperienze che volevo, se c’è consapevolezza si può fare tutto. Perché l’obiettivo per tutti deve essere di vivere con il diabete, non per il diabete”.

Una massima che, sono certa, Dario ha già trasmesso e continua a tramandare a tutte le persone che incontra, lasciando loro in eredità nuovi percorsi da vivere fatti, come lui, di lucida positività e genuino entusiasmo.