Lo svezzamento è un dilemma per qualsiasi mamma: capire quando iniziare e districarsi tra le diverse possibilità alimentari, a volte pone interrogativi importanti. Per rispondere a queste domande la figura del pediatra e l’esperienza di altre mamme può aiutare. Per chi però ha in famiglia casi di diabete di tipo 1, il problema deve essere analizzato in modo ancora più preciso.
Dall’Università di Colorado è uscita una ricerca, pubblicata su Jama Pediatrics, che ha analizzato un campione di bambini (1835), per i quali esisteva un rischio familiare noto per lo sviluppo del diabete mellito, che ha dimostrato che esiste una finestra ottimale per affrontare lo svezzamento: posticiparla o anticiparla potrebbe avere un effetto nell’aumento del rischio di andare incontro al diabete giovanile.
Il periodo migliore per svezzare il bimbo, se a rischio famigliare, corrisponde ai 4 – 5 mesi, secondo i ricercatori, guidati da Jill Norris. Anticipare l’introduzione di cibi solidi sotto i 4 mesi alza il rischio del 2,23%, posticiparlo del 2,88%. Non si tratta di cifre da capogiro, che posso essere determinanti, tuttavia questa ricerca permette di avere delle linee guida e ai ricercatori consente di studiare meglio l’effetto dell’alimentazione e del primo approccio con i cibi “normali” su bambini predisposti geneticamente.
Alcuni esempi? Introdurre precocemente cibi zuccherini, come la frutta, potrebbe aumentare il rischio di diabete, così come introdurre tardi riso, orzo e altri cereali. La soluzione migliore è quella di iniziare con le classiche “pappe” alternandole all’allattamento al seno.
“Ipotizziamo che in giovanissima età, l’intestino di un neonato e di un sistema immunitario non possono essere pronti per il nuovo cibo, innescando una cascata di reazioni che portano a malattie autoimmuni, come il diabete di tipo 1, in bambini suscettibili”, spiega Norris.
I ricercatori sono comunque chiari: non esistono a oggi consigli alimentari appropriati e adatti da essere seguiti. La scelta migliore resta quella di rivolgersi al pediatra e proseguire con l’allattamento fin quando sia possibile.
Eleonora Maria Viganò
Fonte: Sole24Ore