Angus non vuole misurare la glicemia, ha paura di quella piccola puntura, scalcia e urla contro le infermiere, non ne vuole sapere. Ha solo 4 anni e ha ricevuto la diagnosi di diabete di tipo1 da pochi giorni.
Sua madre Maggie è ancora sottosopra, sconvolta per quella notizia, piena di paure, di confusione, anche di sensi di colpa. Qualche giorno prima si è “sfogata” con una foto su Instagram: si vede Angus in ospedale, stretto tra le braccia materne.
Maggie ha un contatto in comune con Sara su Instagram, ma con Sara condivide molto di più che un contatto. Anche Sara, infatti, è mamma di un bimbo che solo un anno prima ha avuto la stessa diagnosi. Così succede che grazie a Instagram, Maggie e Sara si conoscono ed entrano subito in sintonia.
Ma resta il problema: Angus non vuole saperne di quella puntura.
E allora ecco che interviene il piccolo Henry, il figlio di Sara: tra coetanei ci si intende meglio e basta un breve video, sempre via Instagram, per comunicare che non c’è nulla di cui aver paura. Il messaggio di Henry è un video-tutorial, ma non di quelli pensati dai “grandi”. Non spiega come fare, lo fa vedere. Henry non dice ad Angus di non aver paura, mostra con il suo sorriso di non averne.
Angus supera la paura e, a sua volta, risponde con un messaggio ad Henry. È l’inizio di un’amicizia fraterna tra due bambini che vivono lontano, ma che condividono la stessa diagnosi, gli stessi rituali di cura, le stesse paure e che attraverso i social network si scambiano incoraggiamenti, scherzi e consigli.
I video di Henry e di Angus raccontano anche la storia delle loro mamme, che stanno dietro a quel cellulare che scatta o riprende. Tutto nasce dal senso di solidarietà che Sara descrive così:
“Da quando a Henry è stato diagnosticato il diabete di tipo 1, ho attraversato tante emozioni diverse: è come se perdessi tuo figlio, mentre lui è ancora lì; è totalmente disorientante, solo un genitore che ha vissuto la stessa esperienza può capire quello che provi”.
Quella prima foto del piccolo Angus, una sola semplice foto su Instagram, raccontava una storia che ha attivato un legame empatico. “Mi hai donato la tua storia, ti restituisco la mia con un carico di fiducia e di speranza: le cose possono andare meglio”.
Come scrive il sociologo Frank Rose (Immersi nelle storie. Il mestiere di raccontare nell’era di internet) ,“la narrazione è un semplice atto di condivisione. Noi condividiamo informazioni ed esperienze, e a volte lo facciamo più del necessario, ma in fondo perché vogliamo condividere? Perché la vita si basa sul costante scambio di informazioni…”.
Solo che una storia quando è condivisa online, su una piattaforma social, si diffonde e quel legame si allarga a macchia d’olio. Il “tutorial” di Henry ha fatto il giro dei social e i video dei due bambini – così sinceri, spontanei e non edulcorati – hanno emozionato e commosso. Altre madri e altri ragazzi, ispirate dall’esempio di Sara e Maggie, hanno iniziato a utilizzare Instagram, non per i soliti selfie, ma per raccontare la propria vita con questo “compagno di viaggio”.
Intorno a questa storia è nata una piccola comunità.
Dalla condivisione alla testimonianza
Nata spontaneamente, quasi per caso, questa narrazione è diventata l’occasione per raccontare il diabete in modo diverso, l’occasione per offrire un esempio, una testimonianza.
Come spiega Jonathan Gottschall (L’istinto di narrare: Come le storie ci hanno resi umani) “quando condividiamo delle storie rafforziamo i nostri legami con le altre persone. All’interno di un gruppo – di qualsiasi gruppo, famiglia, ufficio, chiesa – le storie stabiliscono delle regole e articolano un esempio significativo”.
Sara ha iniziato a collaborare con la Beyond Type 1Foundation, un’associazione che si occupa di sensibilizzare, educare, sfatare i falsi miti intorno al diabete di tipo 1. Un’associazione che dichiara esplicitamente la volontà di raccontare una storia diversa: “Riconosciamo che c’è un’altra storia da raccontare: quella di una comunità forte e partecipe che vive una vita piena oltre la diagnosi”.
Lo fanno per esempio con la campagna #LivingBeyond: se la diagnosi segna uno spartiacque, bisogna raccontare com’è la vita al di là di questo spartiacque. E ancora una volta si può fare con una semplice foto su Instagram. O con un video, come questo che vede ancora Henry come protagonista.
La morale della favola
Ogni nuovo mezzo di comunicazione ha aumentato il potere della narrazione: la scrittura, il cinema, la televisione e ora il digitale e il web. Le regole sono cambiate ma non lo scopo: coinvolgerci attraverso l’immedesimazione. Qual è il cambiamento maggiore che hanno portato le nuove tecnologie? Aprire a tutti i lettori la possibilità di diventare a loro volta narratori, con strumenti alla portata di tutti.
Francesca Memini