MILANO CITY MARATHON 2003: da zero a 8000 in…42 chilometri e 195 metri
Passo dopo passo, metro dopo metro Filippide instancabile correva lontano lungo la pista polverosa da Maratona ad Atene mettendo in fila, uno dietro l’altro, chilometro dopo chilometro, senza pensare come e quando sarebbe terminata quella immane sofferenza. In mezzo a migliaia di podisti mi è difficile immaginare lo sforzo compiuto dall’emerodromo Filippide (uomo capace di correre per un giorno intero ed anche più a lungo) che, nel 490 a.C., schiantò, agonizzante per la fatica, sulle pendici dell’Acropoli di Atene dopo aver annunciato la vittoria dell’esercito ateniese sui Persiani nella piana di Maratona. Il mito eroico della Maratona, tramandatoci da Erodoto, è rimasto inalterato nel tempo: certo sono cambiati i tempi, l’evoluzione della specie umana anche (basta pensare ai corridori africani) e lo sviluppo tecnologico ha poi risolto molti problemi e supportato nuovi traguardi, trasfigurando i connotati eroici e tragici dell’origine in un evento sportivo ed agonistico di massa, ma il fascino rimane e la sfida con se stessi e soprattutto con la distanza giungono a noi intatti.
Sono trascorsi pochi giorni dalla Maratona di Milano e la fatica si fa ancora sentire sui muscoli mentre i ricordi sono freschissimi. Era dall’autunno del 2000 che non partecipavo ad una maratona competitiva: gli anni passano un po’ per tutti, atleti e non, così come l’abitudine alle lunghe distanze, ma l’invito rivoltomi da Alberto Ghelli, l’infaticabile Presidente della Sezione Emilia Romagna dell’Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici, a partecipare alla terza edizione della Maratona di Milano, rappresentava una buona occasione per riprendere in mano le redini di una stagione sportiva un po’ bislacca, tra infortuni fisici e qualche scompenso metabolico. Abbandonate le montagne e le predilette arrampicate per dieci lunghissime settimane mi sono allenato in pianura macinando strada e asfalto per arrivare all’appuntamento agonistico meneghino in uno stato di forma quantomeno presentabile.
Correre la maratona non è una passeggiata per nessuno: 42 chilometri impegnano chiunque, tanto il campione professionista quanto l’ultimo degli amatori, qualunque sia la velocità ed il ritmo di gara. Per un diabetico di tipo 1 poi, la gestione di una corsa che può durare dalle 2.45/3.00 ore fino a punte di 5.00/5.30 ore ininterrotte, diventa una faccenda un po’ più complessa.
Domenica mattina, il clima rigido, il cielo grigio e caliginoso non mi invogliava per niente. Alla fine sono partito grazie all’incitamento di mia moglie Sara, ai consigli di Vittorio, amico e compagno di tante avventure alpinistiche in giro per il mondo, che per l’occasione si è trasformato in un attento osservatore della gara per magari, in un futuro molto prossimo, vestire pure lui i panni del maratoneta. Parto con la testa svuotata, senza pensare a nulla e cercando di estraniarmi il più possibile, ma mi accorgo subito che le gambe non girano come dovrebbero: non c’è fluidità ed efficacia di movimento ed il freddo ostacola la falcata come se si trattasse delle gambe di legno di Pinocchio.
Sei, otto, dieci, i chilometri non passano mai e soprattutto le sensazioni fisiche non migliorano. Non riesco a capire se si tratta di stanchezza o dei prodromi di una crisi ipoglicemica. Ad un certo punto, intorno al 12esimo o 13esimo chilometro , raggiungo un gruppetto compatto che viaggia ad un ritmo ben cadenzato e ritmato, senza sussulti, scatti e progressioni improvvise. E’ quello che mi ci vuole in questo momento di crisi. Mi accorgo che due maratoneti, avanti nel gruppetto, procedono all’unisono e stranamente legati per un braccio con un lacciolo. Uno dei due porta una segnalazione in evidenza con scritto “guida cieco”. Capisco allora che si tratta di un atleta non vedente. Basta poco a relativizzare il proprio mal-essere e relazionarsi con altri problemi della vita, con altre dimensioni oltre il diabete, in un contesto insolito come lo può essere una maratona. Saprò in seguito che il fortissimo maratoneta non vedente incrociato, è il plurimedagliato Carlo Durante, che ha terminato la sua corsa in 2.56′ ore, all’età di sessantadue anni e solo perché non era molto allenato!
La vita e con essa il diabete, dal mio punto di vista, è ricca di testimonianze, di insegnamenti significativi, ma di nessun dogma e modello da seguire. Correre mantiene in forma, aiuta il metabolismo a consumare meglio ed in modo più efficiente ed efficace, dunque rappresenta un buon momento terapeutico nella cura del diabete, ma ad essere sincero, corro per andare più forte in montagna, per coprire maggiori dislivelli in minor tempo così da poter effettuare le scalate che ho in mente. La motivazione è la chiave per innescare il circolo virtuoso. La rivoluzione invece sta nel riuscire a coniugare l’utile con il dilettevole: l’autocontrollo e la gestione della patologia con la passione, tutto il resto viene da se … Balle e belle parole, caro mio!, muoviti che sei solo al 22esimo chilometro, un incubo, soltanto un misero chilometro dopo il giro di boa, la mezza maratona e la strada è ancora molto, molto lunga.
Dopo tanto penare però le cose migliorano gradualmente: alla soglia circa del 30esimo chilometro “i due tozzi di legno” (le gambe) piano piano si ammorbidiscono e la corsa torna tonda e distesa. Anche stavolta il “trattore Peruffo” non tradisce: correrò la seconda mezza maratona (km. 21,097) quasi due minuti in meno rispetto alla prima. Al passaggio del 35esimo chilometro Vittorio e Sara mi incoraggiano con una faccia meno preoccupata: penso tra me e me “e -7”, e cosa sono 7 chilometri? appena 28 minuti e mezzo di affanni. Dal 32esimo chilometro avevo iniziato a recuperare molti corridori e verso la fine ne supero diversi che camminano oramai con le riserve ridotte al lumicino.
Finalmente passo un arco di gomma gonfiabile che segna l’ultimo chilometro, sento la confusione della Piazza del Duomo vicina e la strada ora è transennata; a poca distanza poi inizia il lungo tappeto rosso che conduce al traguardo. Termino così i km. 42,195 della Milano City Marathon, termino pure il lungo colloquio con me stesso che mi ha fatto compagnia traghettandomi fino all’arrivo, tra un pensiero al ritiro (costante), un’impennata d’orgoglio (frequente) ed un appello alla volontà (flebile più che mai!); poi abbraccio Vittorio che mi attende poco dopo la linea del traguardo e mia moglie Sara, alter ego delle mie performance alpinistiche soprattutto e, come in questo caso, qualche volta agonistiche.
La Milano City Marathon in pillole: n. 5512 gli iscritti; n. 4950 i partenti; n. 4451 gli arrivati; n. 4 i diabetici partecipanti tra cui una donna diabetica; mi sono classificato al 321esimo posto con il tempo di 2.54′.48” a circa due minuti dal primato personale (eh, quante storie non ci si accontenta mai!).
Profilo metabolico di sabato 29 novembre
Profilo metabolico di domenica 30 novembre
Gestione pre-gara, gara e post-gara
La glicemia iniziale di 104 mg/ddl (ore 8.55) è stata corretta con 60 gr. di carboidrati (miele) diluiti in acqua. Dal terzo ristoro, cioè dal 15esimo chilometro (dopo circa un’ora di corsa) e per altri quattro ristori successivi (fino al 35esimo chilometro) ho assunto del succo di frutta zuccherato. Ho abbassato del 35% (da 7 u. a 5 u.) il dosaggio dell’insulina del mattino pre-colazione e ho cercato di sfruttare la cinetica dell’insulina intermedia della notte precedente la gara, iniettata per l’occasione, con un ritardo di un’ora e mezza (alle 0.00 anziché alle 22.30), secondo i suggerimenti del diabetologo. Ho abbondato nell’assunzione di carboidrati il giorno prima senza stravolgere però le normali abitudini. La colazione del mattino della gara è stata del tutto normale da un punto di vista quali~quantitativo per consentire una risposta uniforme e predeterminata dell’insulina. Per non perdere secondi preziosi non ho pianificato alcun controllo glicemico durante la gara, mantenendo comunque valori glicemici finali utili alla prestazione (204 mg/ddl) nonostante la scarsa insulinizzazione corporea nell’ultimo tratto di gara. Ho così motivato la glicemia di 260 mg./ddl. (ore 13.00) a distanza di appena quarantacinque minuti dalla fine dello sforzo fisico senza aver assunto alcun alimento se non acqua (ininfluente) dopo il termine della gara e tenuti in considerazione anche gli zuccheri presi durante lo svolgimento della stessa.
Nel post-gara è stato un errore non reintegrare i carboidrati in un quantitativo più consistente ma la stanchezza e la relativa inappetenza hanno avuto il sopravvento. Ciò spiega in parte la glicemia tendente al basso e l’ipoglicemia notturna nonostante la riduzione della dose di insulina intermedia della notte (da 12 u. a 10 u).
Marco Peruffo