Mi colpiscono molto, di Marco Zenone, il garbo con cui si racconta e l’attenzione nel dare un nome preciso alle cose, ai sentimenti e agli eventi che hanno scandito la sua vita.
L’evento di cui parliamo oggi è, ovviamente, il diabete. Una vita senza diabete, mi dice, non se la ricorda (l’esordio è avvenuto poco prima dei suoi cinque anni). Ma appaiono nella sua memoria flash potentissimi: «la siringa in vetro da sterilizzare con l’acqua bollente, le lancette pungidito, la visita della maestra delle elementari, i miei genitori sotto shock dopo la notizia. Erano anni in cui il diabete non era così attenzionato come oggi e le terapie erano ancora approssimative.
Il diabete ha avuto un forte impatto sul piano pratico: orari, modalità pasti, attività fisica. Il corollario psicologico ha a che fare con le relazioni e la socialità. Mi sono sempre sentito penalizzato, in difetto. Il cibo è un lubrificante sociale: aperitivi, cene, feste… Ero vincolato e non ho vissuto in modo leggero. Alla fine un equilibrio l’ho raggiunto. Ma ho sacrificato momenti nodali di socialità. Non volevo essere al centro dell’attenzione».
Questo è un nodo cruciale per la maggior parte delle persone che hanno attraversato il diabete e sono state attraversate da lui. Il fatto di cercare di “assottigliarsi”, di rendersi trasparenti per evitare tutte quelle domande, tutte quelle spiegazioni. Allo stesso modo, se ci si pensa, questo cercare di mimetizzarsi avvia un processo dolorosissimo alla luce del fatto che riconoscimento e identità vanno di pari passo.
«Ci sono periodi in cui tutto va nel verso giusto, ma ce ne sono altri molto duri, nei quali, ad esempio, devi cambiare sito nel bel mezzo di una cena di lavoro. Sono momenti di vita segnati con l’evidenziatore, che ti riportano alla difficoltà. Quando ero adolescente erano prioritari, adesso meno. È frustrante quando cerchi di spiegare i meccanismi del diabete e la persona che hai di fronte non comprende i motivi per i quali ti comporti in un certo modo. Ad esempio, hai la glicemia alta e non mangi una certa cosa, ma poi la glicemia cade e magari ti bevi una coca. Sembri irragionevole, stralunato, una persona che non aderisce alla terapia. La mia sensazione è quella di non essere in grado di spiegare questo meccanismo. Sento il peso emotivo di non riuscirmi a confrontare».
Marco è nato a Galliate nel 1973. Oggi vive a Oleggio, sempre in provincia di Novara. Ha scritto un libro. E questo è il secondo evento di cui parliamo oggi. S’intitola, Non ti voglio, Edizioni Effedì, pubblicato a fine 2020, acquistabile su tutti gli store online e in libreria (qui il sito: https://www.hangardellibro.it/libro/non-ti-voglio/). Il romanzo è solo a tratti autobiografico. Racconta la storia d’amore tra Enzo, un ragazzo diabetico, neoadulto (ha trent’anni) e Arianna, una ragazza per la quale il diabete di tipo 1 è una realtà sconosciuta. «Enzo si sente in difetto, in ritardo rispetto alle tappe della vita… È qualcosa di molto lontano dal classico ‘diario di un diabetico’. Non volevo soffermarmi sull’aspetto tragico del diabete, su quella che viene definita ‘pornografia del dolore’. Ho voluto raccontare una vicenda che potrebbe capitare a qualsiasi diabetico utilizzando la comicità e l’umorismo. Ci sono parti puramente informative, testimonianze di vita, tante digressioni, salti temporali, singolari enunciati e stravaganti formule matematiche. Per non parlare dei giocosi calembour a chiusura di ogni capitolo. È un progetto di cui sono orgoglioso e a cui tengo molto. E sono contento di aver veicolato l’aspetto del diabete».
Non ti voglio si è guadagnato l’attenzione delle principali riviste italiane di diabetologia ed è stato scelto dalla Casa Editrice per partecipare all’Indipendente Grand Tour, una rassegna dedicata all’editoria indipendente piemontese, la cui tappa finale si è tenuta al Salone Internazionale del Libro di Torino.
«Nella scrittura mi rifaccio certamente al ‘900 italiano e europeo: Svevo, Pirandello, Queneau. Ma apprezzo molto anche il post modernismo americano. Credo sia fondamentale l’ironia. Nel caso del diabete è stata una scelta non solo stilistica ma personale. Il diabete di tipo 1 è invadente, ingombrante, intransigente. Vuole essere accontentato. Devo chiedere il permesso, le scelte della mia giornata dipendono più dall’accontentare lui che me stesso. Negli anni ’80/’90 le scelte sono state funzionali alla malattia e disfunzionali alla mia crescita personale. Si sono radicate certe abitudini alimentari e sociali che reputo odiose, perché troppo asservite alla malattia, e quindi ho voluto ridicolizzarle e metterle alla berlina».
Chiudiamo l’intervista con un’ultima frase. Dall’altra parte del telefono mi dice: «Io spero di continuare a scrivere». E lo dice, Marco, come qualcuno che della scrittura è profondamente innamorato e sa che quello sarà un amore che molto difficilmente si potrà estinguere.
A cura di Patrizia Dall’Argine