Cibo d’asporto: lontano dagli occhi, lontani da obesità

Limitare il numero di fast-food vicino ad uffici e ad abitazioni per combattere la moda del consumo di cibo d’asporto, che se fatto con frequenza raddoppia il rischio di obesità.

take awayLa ricerca è stata condotta da Thomas Burgoine dell’Università di Cambridge, nel Regno Unito, e pubblicata dalla rivista British Medical Journal. I ricercatori hanno coinvolto 5442 lavoratori di 29-62 anni, residenti nella contea di Cambridge. I ricercatori hanno tenuto conto dell’esposizione dei partecipanti a esercizi che offrono cibo d’asporto lungo il tragitto da casa al lavoro, zona ufficio compresa. L’ambiente intorno al lavoro è importante perché soggetto a forte stress e perciò si tende a consumare più cibo “appagante”, che di solito corrisponde a grassi e a piatti ipercalorici. Le persone maggiormente esposte ai negozi con cibo d’asporto tendono a consumarne ogni giorno il 15% in più di quelle meno esposte, quantità che in una settimana si traduce in 40 grammi di cibo d’asporto, pari alla metà di una porzione piccola di patatine fritte. Chi ha dichiarato di fare un frequente uso di cibo d’asporto è risultato avere un indice di massa corporea maggiore di un’unità rispetto agli altri e quasi il doppio delle probabilità di diventare obeso, senza distinzione tra uomo e donna.

“Una buona politica della salute consisterebbe nell’impedire la concentrazione di fast-food nel circondario dei luoghi di lavoro, a scanso di rischi”, suggeriscono gli autori. Il Regno Unito si è mosso già da qualche anno per ridurre la densità dei negozi di cibo d’asporto in tutti i quartieri, inizialmente mossi, però, solo per questioni di igiene e ordine pubblico  preoccupazioni legate al frastuono, ai rifiuti e all’estetica del rione, ma di recente anche a scopo di prevenzione.

Alessandra Gilardini

Fonte: British Medical Journal