Un team internazionale, costituito da più di 90 ricercatori provenienti da oltre 40 centri europei e statunitensi, ha condotto un’approfondita indagine sulle varianti genetiche, per individuare le caratteristiche che esporrebbero alcuni individui, più di altri, al diabete di tipo 2.
Il lavoro, parzialmente finanziato dall'Unione Europea, è stato pubblicato su Nature Genetics on line.
Uno dei nuovi geni individuati sembra avere anche un ruolo nello sviluppo del cancro della prostata.
“Nessuno dei geni da noi trovati era stato precedentemente ricercato dagli studiosi del diabete”, ha commentato il professor Mark McCarthy dell'Università di Oxford “Per questo motivo ciascuno di questi geni fornisce nuove informazioni sui processi che si guastano quando si sviluppa il diabete; e ciascuno di loro offre la possibilità di sviluppare nuovi approcci per la cura di questa malattia.”
I ricercatori hanno individuato sei varianti genetiche associate a un maggiore rischio di diabete di tipo 2.
“Queste nuove variabili, insieme ad altre recenti scoperte genetiche, aprono uno spiraglio sulle cause di questa malattia e potrebbero rappresentare una grande speranza per la prossima generazione di cure” commenta Francis S. Collins, direttore del National Human Genome Research Institute (USA) , che aggiunge:“Queste scoperte possono permettere nuovi approcci per capire le cause ambientali e per sviluppare farmaci nuovi e più mirati”.
Ognuno di questi geni aumenta solo in parte il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2, spiegano i ricercatori. Probabilmente, il loro effetto combinato potrebbe essere maggiore, ma, come precisa il professor David Altshuler del Broad Institute di Harvard e del Massachusetts Institute of Technology (MIT) negli USA, dovranno ancora essere condotti studi ulteriori prima che i test genetici possano essere utilizzati per individuare i soggetti più a rischio: “Appena capiremo più esattamente il grande numero di geni ora implicati nel rischio di diabete, diventerà possibile individuare le persone più a rischio prima che la malattia prenda piede. Tuttavia, fino a quando non avremo le prove che l'uso di queste informazioni possa portare a risultati sanitari migliori, sarebbe prematuro l'applicazione di test su larga scala”.
Cordis