Patrizia Lunelio ha festeggiato da poco le nozze d’argento con il diabete di tipo 1, ma anche del suo matrimonio!
Il suo esordio infatti è stato proprio poco dopo essersi sposata, accompagnata all’altare da una forte perdita di peso (all’epoca inspiegabile) e dalla poliuria per tutta la luna di miele.
“Si può dire che della Grecia e della Turchia, le nostre mete per il viaggio di nozze, ho visitato più le toilette”, scherza sorridendo.
Poi arriva Dicembre, l’esordio diventa inequivocabile, si fa quindici giorni in ospedale e un ritorno a casa pieno di domande.
“Mi hanno mandato a casa spiegandomi ben poco, nemmeno la conta dei carboidrati. Ho capito di avere bisogno dell’insulina a vita perché le infermiere mi facevano iniezioni a tutte le ore.”
Insieme alle poche informazioni si aggiunge, per scelta personale, il bisogno di mantenere quanto più privata possibile la propria condizione.
“Ho sentito subito la necessità di tenerlo nascosto al contrario di Davide (n.d.r.: di cui aveva letto l’intervista poco prima di sentirci). A parte i miei familiari, pochi altri erano a conoscenza della mia patologia, volevo evitare il pietismo altrui e tutelare la mia privacy.”
Questa affermazione può sorprendere, dato che la redazione ha scoperto Patrizia grazie alla sua pagina Instagram Diabetare. È stato dunque spontaneo chiederle cosa le ha fatto cambiare idea.
Ce lo racconta alla fine di questo articolo, prima è necessario dare spazio all’argomento che Patrizia ha sentito più importante mettere in luce. Si tratta del secondo boccone amaro che ha ricevuto in ospedale al momento dell’esordio.
“Quando ancora ero in ospedale chiesi all’ostetrica se sarei stata in grado di avere figli. Mi rispose in modo perentorio che me lo potevo scordare, che sicuramente avrei avuto problemi. Tu pensa che effetto sentirselo dire da ragazza giovane, appena sposata che programma di creare una famiglia. Io però sono andata avanti per la mia strada.”
Patrizia ha avuto due figli grazie a un percorso che definisce “un’avventura”. Senza tante cerimonie però, altri la sua avventura l’hanno chiamata “egoismo” alla luce del potenziale ereditario del diabete.
“Secondo questa persona, che mi ha scritto in DM, chiunque abbia un problema di salute dovrebbe ricevere una lettera scarlatta. Tanti la pensano così, a quanto pare. Un’altra signora mi ha scritto per dirmi che leggendo la mia storia si è pentita di non aver provato ad avere figli: anche lei ricevette forti pressioni per non tentare nemmeno. Ho riscontrato che è davvero comune fare queste osservazioni alle donne che hanno l’esordio prima di avere figli.”
Ecco, dunque, il messaggio che Patrizia voleva trasmettere più di tutti attraverso questa intervista: “Non è stata una passeggiata, ma avere figli e il diabete di tipo 1 si può fare. Devi pianificare tanto, concordare obiettivi e parametri con il tuo medico. Ma non è impossibile. Sicuramente non bisogna rinunciare al mettere al mondo un figlio per quello che dicono gli altri.”
E torniamo dunque a questi altri, le persone che Patrizia ha incontrato grazie a Diabetare: per fortuna non tutte hanno espresso commenti negativi come quello riportato sopra. Ma dopo una vita passata nella più totale riservatezza (solo i familiari stretti sapevano del diabete), che cosa le ha permesso di iniziare a esprimersi pubblicamente?
“Solo oggi mi accorgo che invece è più giusto parlarne, per stare bene con sé stessi e con gli altri.”
“Due anni fa ho deciso di passare dalla terapia multiniettiva al microinfusore, impossibile da nascondere. Così sono uscita allo scoperto, finalmente. Poi l’anno scorso ho deciso di aprire la pagina Instagram: è stata una gioia condividere e incontrare tante persone che vivono le mie stesse esperienze, le stesse sensazioni. All’inizio sono stata presa per la vecchia del gruppo: davano per scontato che avessi il diabete di tipo 2 per l’età, a dimostrazione del fatto che c’è da imparare anche nella nostra community. Però continua a piacermi.”
Insomma, concludiamo insieme, è uno strumento per lanciare un manifesto molto pratico: andare nel mondo senza nascondersi. “Tornando indietro, non sceglierei più di nascondere la mia patologia, mi sdoppiavo appena mettevo piede fuori casa. Ora invece voglio normalizzare tutto e raccontarmi”.