Anno 22 – n.2
Aprile-Giugno 2005
Il punto
INTERVISTA AL DIABETOLOGO EZIO FAGLIA
Piedi da amare
Fra le più gravi complicanze causate da un diabete trascurato vi sono quelle che riguardano il piede, problemi che possono condurre fino all’amputazione della parte. Esistono però misure di prevenzione e metodi di cura efficaci e sicuri, Ne parliamo con lo specialista
Un recente fatto di cronaca, a Milano (una signora con una gravissima forma di piede diabetico che rifiutava l’unico intervento ormai possibile, l’amputazione) ha portato all’attenzione del grande pubblico le conseguenze di questa complicanza. Si tratta di un problema molto serio e non raro, degenerazione grave di un diabete a lungo trascurato, di cui forse non si parla abbastanza.
Il piede diabetico si può prevenire e, quando insorge, può essere adeguatamente curato, scongiurando l’extrema ratio dell’amputazione della parte. Occorre però che il paziente sia a conoscenza di quali sono i rischi che corre e di ciò che è bene fare per tenerli lontani. Dell’argomento abbiamo parlato con uno specialista, il diabetologo Ezio Faglia, primario del Centro per la cura del piede diabetico dell’Unità di medicina interna dell’Istituto Multimedica di Sesto San Giovanni, in provincia Milano.
Dottor Faglia, come può un diabetico arrivare a trovarsi in condizioni così gravi da non avere più altra scelta che l’amputazione del piede?
Purtroppo è possibile e i motivi sono due. Il primo motivo è la gravità delle malattie coesistenti: per esempio, la presenza di una malattia occlusiva delle arterie della gamba può essere talmente grave da non permettere altra soluzione se non l’amputazione della gamba stessa. L’altra ragione è invece la scarsa conoscenza e la conseguente sottovalutazione della lesione del piede. Se vi è un ascesso del piede e si tarda a intervenire chirurgicamente per evacuare il pus, il rischio è che l’infezione si estenda talmente da rendere necessaria una amputazione. Se si esegue un intervento chirurgico senza assicurarsi prima che al piede arrivi abbastanza sangue per permettere la guarigione della sutura chirurgica, si rischia che questa vada in gangrena e sia necessaria una amputazione. Se un piede di Charcot (neuroartropatia) viene scambiato per flebite, o distorsione o artrosi e non viene immediatamente scaricato con un apparecchio gessato, il piede evolve verso una deformità tale da rendere inevitabile l’intervento più estremo.
Qual è l’incidenza delle complicanze ai piedi nei diabetici e quanto costano cure e interventi per curarle?
Secondo i dati della letteratura medica, circa il 15% dei diabetici andrà incontro nella sua vita a una ulcera del piede che necessita di cure mediche. Gli stessi dati riportano che più del 50% delle amputazioni non traumatiche è effettuato in persone diabetiche, che rappresentano il 4% della popolazione. La mia impressione è che il dato sul numero di pazienti che andranno incontro a un’ulcera del piede sia attualmente sottostimato. La popolazione invecchia, e i diabetici invecchiano di pari passo. Il piede diabetico, soprattutto il piede ischemico, è una tipica complicanza dell’anziano, e quindi dobbiamo aspettarci un numero sempre più alto di diabetici che svilupperanno qualche problema al piede. Io credo che, se il diabete è l’epidemia del terzo millennio, il piede diabetico è l’epidemia del diabete.
I costi sono ingenti: la lesione del piede è la complicanza per la quale più frequentemente è necessario il ricovero in ospedale. Le possibilità di cura sono enormemente migliorate in questi anni: basti pensare alle procedure di rivascolarizzazione periferica con angioplastica e considerare che i palloncini che si usano in questa procedura costano parecchie migliaia di euro. Disponiamo oggi di macchinari per la cura delle ulcere e di materiali di medicazione molto sofisticati, ma assai costosi. L’uso di queste tecnologie migliora nettamente le possibilità di guarigione della lesione del piede, ma bisogna sostenerne i costi. Se questo non avviene, si resta alle medicazioni con alcool.
Quali sono le misure di prevenzione fondamentali per scongiurare questo tipo di complicazioni? Ci sono dati che dimostrino quanto si risparmia, in termini economici, con la prevenzione e la riduzione di interventi e amputazioni?
Dobbiamo distinguere tra prevenzione delle ulcerazioni e prevenzione dell’amputazione. Per la prevenzione dell’ulcerazione la misura fondamentale è l’educazione del paziente alla cura del piede. Nell’ambito della educazione del paziente io considero anche l’acquisire consapevolezza: avere sempre presente che il controllo ottimale del diabete, come valori glicemici ma anche come stile di vita, diminuisce significativamente lo sviluppo di complicanze. L’uso di calzature e plantari studiati appositamente per il piede diabetico è molto efficace nel prevenire una seconda ulcera quando sia guarita la prima. A mio parere, scarpe e plantari sono efficaci anche per prevenire una prima ulcerazione, ma studi su questo argomento sono al momento contradditori e non consentono certezze.
Per prevenire l’amputazione è indispensabile una diagnosi precoce, ma soprattutto corretta della patologia, e il suo trattamento con le migliori tecniche disponibili. Che prevenire un’ulcera del piede sia economicamente molto vantaggioso, è evidente. Che prevenire un’amputazione, e cioè curare una ulcera del piede in maniera tale da non arrivare all’amputazione sia meno costoso che amputare è a mio parere una questione aperta. Le cure di una lesione del piede sono molto costose se si applicano tutte le terapie che la scienza medica oggi ci offre. Io penso che per evitare una amputazione si debba ragionare non tanto in termini di soldi, ma in termini di qualità della vita, sia per chi può continuare a vivere su due gambe sia per chi gli sta vicino. E da questo punto di vista costi anche elevati mi sembrano ampiamente giustificati.
Quali sono le prospettive future di miglioramento nella terapia del piede diabetico? Su quali sentieri si muove oggi la ricerca specifica su questo problema?
La prospettiva più valida a mio parere sta nel miglioramento della rete assistenziale specialistica: è ampiamente dimostrato che i risultati migliori nell’evitare l’amputazione si ottengono in centri dedicati, specializzati nella cura del piede diabetico. E’ in questi centri che sono state sviluppate le pratiche più efficaci, come l’uso estensivo della rivascolarizzazione, di apparecchi di scarico per le ulcere plantari, di tecniche chirurgiche sofisticate sul piede di Charcot, eccetera. Credo che i sentieri su cui muoversi debbano riguardare il miglioramento della vascolarizzazione del piede, la velocità di guarigione dell’ulcera, lo sviluppo di farmaci efficaci sulla neuropatia.
Secondo lei, si tratta di una questione generalmente sottovalutata in Italia? C’è adeguata informazione oppure no?
Credo che l’Italia sia all’avanguardia nel mondo per quanto riguarda la cura del piede diabetico. Il grande numero di studi scientifici italiani pubblicati sulle più importanti riviste mondiali lo dimostra. Le società scientifiche diabetologiche, Associazione medici diabetologi e Società italiana di diabetologia, hanno dato un grande impulso alla comprensione e alla cura di questa patologia. Il grande assente è purtroppo il Servizio sanitario nazionale. Per una efficace opera di prevenzione è necessario rafforzare i servizi di diabetologia sul territorio, perché lo screening del piede e l’istruzione dei pazienti richiedono tempo oltre che competenza professionale.
Occorrerebbero più centri specializzati o possiamo considerarci sufficientemente attrezzati?
Il problema dei centri specializzati è critico. Questi centri esistono in Italia, anche se con una distribuzione geografica molto irregolare, ma sono sorti spontaneamente e non hanno un riconoscimento ufficiale-giuridico. Si può dire che il Ssn permette che esistano, ma non li riconosce come centri specialistici. Per riconoscimento non intendo una “targa”, ma una indicazione ufficiale a curare questi pazienti in strutture specializzate. Oltretutto, l’attuale struttura degli ospedali come aziende sanitarie rende a volte difficile il trasferimento di questi pazienti da ospedali non specializzati a strutture specialistiche: un paziente trasferito è un paziente “perso” per l’azienda. In secondo luogo, riconoscimento significa anche finanziare queste strutture in modo da garantirne spazi, personale e strumenti necessari per stare al passo con i progressi della medicina. Ricordo anche come il Servizio sanitario sia avaro e inefficiente con i diabetici affetti da piede diabetico: molta parte dei costi delle medicazioni sono a carico del paziente; quando un paziente è guarito dall’ulcera e necessita di calzature e plantari per prevenire ulteriori ulcerazioni, per ottenerli deve sottoporsi a una trafila burocratica per il riconoscimento della invalidità; queste procedure richiedono mesi per essere espletate, tempo più che sufficiente perché il paziente si riulceri. Un centro specialistico riconosciuto potrebbe sopperire a tutte queste incongruenze, perché sarebbe abilitato a fornire materiale medicativo, ad avere disponibili tecnici ortopedici e podologi, a certificare l’invalidità, a fornire immediatamente calzature e plantari. Non è evidente che questo renderebbe più efficace ed efficiente l’intervento di cura e prevenzione e più facile la vita del diabetico?