Esiste una correlazione tra l’empatia del medico e l’incidenza di eventi cardiovascolari (CVD) nei pazienti con diabete di tipo 2?
Un quesito complesso a cui tenta di dare una risposta uno studio pubblicato sulla rivista Annals of Family Medicine.
Si tratta di uno studio di coorte prospettico che ha coinvolto oltre 600 persone con diabete di tipo 2, nell’East Anglia (Regno Unito), che sono stati seguiti per una media di 10 anni fino al dicembre 2014. Dodici mesi dopo la diagnosi, i pazienti hanno fornito una valutazione dell’empatia del proprio curante in riferimento all’anno di cure ricevute, attraverso uno specifico questionario validato (CARE).
“L’empatia nelle cure include la comprensione del punto di vista del paziente, la condivisione delle decisioni tra il paziente e il medico e la considerazione del contesto più ampio in cui si manifesta la malattia”, spiegano gli autori dello studio.
CARE è un questionario validato che comprende 10 domande, a cui è possibile rispondere assegnando un punteggio su una scala da 1 a 5: Quanto è stato bravo il curante nel (1) farti sentire a tuo agio, (2) lasciarti raccontare la tua storia, (3) ascoltare davvero, (4) essere interessato a te come persona, (5) comprendere appieno le tue preoccupazioni, (6) mostrare cura e compassione, (7) essere positivo, (8) spiegare chiaramente le cose, (9) aiutarti a prendere il controllo, (10) fare un piano d’azione insieme a te.
I punteggi di CARE sono stati raggruppati in tre gruppi (alto, moderato e basso livello di empatia) ed esaminati per individuare eventuali correlazioni con gli outcome clinici nell’arco di tempo osservato: gli eventi cardiovascolari o fatali, estrapolati dalle cartelle cliniche del medico di medicina generale, dai registri nazionali e dai registri ospedalieri.
Ne è risultato un rischio di eventi fatali inferiore del 40-50% per coloro che hanno riportato migliori esperienze empatiche, rispetto a quelli che hanno valutato una bassa empatia. Anche per quanto riguarda gli eventi cardiovascolari il rischio sembrerebbe minore, sebbene i risultati in questo caso non siano statisticamente significativi e gli autori dello studio descrivano chiaramente i limiti quando si prendono in considerazione un numero maggiore di variabili cliniche.
Serve un po’ di cautela nell’interpretare i risultati: dato che si tratta di uno studio osservazionale i risultati non determinano un rapporto di causalità né tantomeno di causalità diretta. Ma i dati rilevano un’associazione significativa che merita ulteriori approfondimenti.
L’importanza dell’empatia per la persona con diabete
Sappiamo, purtroppo, che il diabete di tipo 2 è associato a una maggiore incidenza delle malattie cardiovascolari (CVD) e a un’aspettativa di vita inferiore, ma questo studio apre a delle ipotesi sull’importanza che gioca la relazione con il medico, in particolare la relazione empatica, nel ridurre questo rischio.
Precedenti studi avevano suggerito una correlazione nel breve termine tra esperienza di cura positive e riduzione di fattori di rischio come l’ipertensione, l’ipercolesterolemia e i valori dell’emoglobina glicata, che potrebbero quindi sul lungo termine avere un impatto anche sul rischio di mortalità.
Sempre sulla base di precedenti studi è possibile ipotizzare che un medico empatico favorisca l’engagement, la motivazione e la responsabilizzazione del paziente rispetto alla gestione del diabete, da cui deriverebbe una migliore aderenza alla terapia e alle indicazioni sullo stile di vita. Altri studi hanno mostrato come anche soltanto una maggiore soddisfazione del paziente nella relazione di cura possa avere un impatto significativo sulla salute.
Come spiegano gli autori: “Sono necessari ulteriori studi per comprendere quali aspetti della percezione dell’empatia da parte del paziente potrebbero influenzare i risultati sulla salute e come integrare questa comprensione nell’educazione e nella formazione dei professionisti.”
Cosa emerge dai dati qualitativi
Contestualmente alla somministrazione del questionario CARE, i ricercatori hanno chiesto ai pazienti di rispondere a una domanda aperta (“Se desideri aggiungere qualcosa, puoi farlo qui”) riproponendola anche a 10 anni di distanza.
L’analisi di queste risposte – i cui risultati sono stati pubblicati sul British Journal of General Practice – ha evidenziato alcuni aspetti del punto di vista dei pazienti che non potevano emergere dal questionario quantitativo. In particolare, l’importanza per i pazienti di temi come l’incontro faccia a faccia, la durata delle consultazioni, la continuità nella relazione di cura.
Si tratta di aspetti che devono far riflettere non soltanto sull’importanza della formazione del medico alle competenze relazionali e all’empatia, ma anche sulla necessità di un contesto organizzativo sanitario che permetta al curante di metterle concretamente in atto.
In Italia sono numerose le iniziative che vanno proprio in questa direzione: un esempio su tutte, la Scuola per educatori in diabetologia di AMD (https://aemmedi.it/scuola-amd/scuola-per-educatori/),un percorso formativo che ha tra gli obiettivi anche quello di trasmettere al diabetologo capacità umanistiche, relazionali e comunicative, per permettere di risvegliare il riconoscimento non solo delle risorse esterne a disposizione, ma anche di tutte quelle risorse interne.
A cura di Francesca Memini
Bibliografia
- Hajira Dambha-Miller, Adina L. Feldman, Ann Louise Kinmonth, and Simon J. Griffin, Association Between Primary Care Practitioner Empathy and Risk of Cardiovascular Events and All-Cause Mortality Among Patients With Type 2 Diabetes: A Population-Based Prospective Cohort Study Ann Fam Med July/August 2019 17:311-318; doi:10.1370/afm.2421 https://www.annfammed.org/content/17/4/311.long
- Dambha-Miller H, Silarova B, Irving G, et al. Patients’ views on interactions with practitioners for type 2 diabetes: a longitudinal qualitative study in primary care over 10 years. Br J Gen Pract. 2017; 68(666): e36–e43. https://bjgp.org/content/bjgp/68/666/e36.full.pdf