Ho per le mani una storia davvero bella.
E vorrei che dalle mie mani si trasferisse su questo file, rimanendo tale.
È una storia davvero bella, perché c’è di mezzo la vulnerabilità di tanti e la voglia, di una, di mettersi al servizio di questa vulnerabilità.
Dico “la voglia di una”, perché quella che sto per raccontare è la storia della Dottoressa Giuseppina Chierici. Eppure, questa storia, sottende l’impegno di molte altre persone.
Tutto nasce, cinque anni fa, dall’associazione Diabete Romagna. Tutto nasce da un’idea – che non aveva precedenti sul suolo italiano – da un progetto, anzi da un bisogno.
C’era la necessità di creare un servizio a domicilio per persone con diabete non autosufficienti e fragili.
Un servizio interamente finanziato dall’associazione Diabete Romagna, grazie al sostegno dei suoi donatori (sul sito potete trovare tutte le informazioni per saperne di più: www.diabeteromagna.it).
Farlo, significava creare un ponte tra ospedale e territorio, coinvolgere i medici di base e trovare la persona giusta.
Come spesso accade, quando si comincia a credere in un progetto, a parlarne a voce alta, ad immaginarlo, a ragionare sui benefici che produrrà, si muove qualcosa e si innescano inaspettate, meravigliose sincronie. Persone che arrivano esattamente quando devono arrivare.
Persone attese, che fanno il loro ingresso, rendendo possibile ciò, che fino a poco prima, era soltanto un’ipotesi, un’idea.
La dottoressa Giuseppina Chierici era la persona attesa. Ventun’anni in un ospedale, nella provincia di Reggio Emilia, di cui cinque come responsabile della diabetologia
Il futuro però prevedeva per lei il passaggio nell’altra parte della regione, la Romagna, che noi emiliani aneliamo per il mare, la piadina e la verve delle persone che la abitano.
In quel momento della sua vita, Giuseppina era alla ricerca di qualcosa di diverso (dicevamo le inaspettate e meravigliose sincronie) e l’ha trovato.
Si è trasferita col marito a Riccione e ha iniziato questa nuova avventura.
«Per i primi sei, otto mesi, è stato difficile. Il servizio non si conosceva e quindi come tutte le cose ci voleva tempo. Poi è letteralmente esploso e i pazienti che seguo, ad oggi, sono circa cinquecento».
Il suo raggio d’azione si estende tra Forlì, Cesena e Rimini.
I pazienti e i famigliari l’aspettano, la contattano telefonicamente, le chiedono consigli e le sottopongono dubbi e problematiche di vario tipo.
Si affidano. Ed è quel tipo di fiducia che è reso possibile da diversi fattori. Il primo è certamente l’ascolto.
«L’ospedale è un ambiente più freddo e spesso ti confronti col famigliare di una persona non autosufficiente. Ora, il mio approccio è completamente cambiato, perché sono io ad entrare nella loro realtà. In questo modo, mi rendo conto anche delle dinamiche famigliari e queste sono informazioni preziosissime che in ospedale non potrei reperire. Una prima visita non può durare meno di un’ora. Ho bisogno di avere un quadro chiaro della situazione. Seguo l’istinto. Cerco di capire chi ho davanti. Credo che si debba sempre entrare in punta di piedi nelle case degli altri, senza giudizio».
E questo è senz’altro un altro fattore imprescindibile.
«Ogni caso è a sé, e va trattato come tale, come unico. Non c’è una formula che vada bene per tutti, ma è necessario riservare a tutti empatia e attenzione. Sono soprattutto persone anziane quelle con cui ho a che fare. E per un anziano la visita di un medico è sempre un evento importante».
Mentre ragiono su questo terzo fattore, l’empatia – della quale tutti, in qualità di mittenti o destinatari, abbiamo dovere e bisogno – rivedo le mie nonne, in attesa del medico. Sedute sulla poltrona, ordinate, ansiose. Era veramente un evento. Avevano bisogno di raccontarsi e di essere tranquillizzate. Una tranquillità che solo il medico era in grado di generare.
E mi si stringe il cuore, perché penso che tutti quanti abbiamo nella mente un’immagine così. L’immagine di qualcuno che molto amiamo o abbiamo amato, durante gli anni della sua vita nei quali era più fragile e anche per questo, a noi così caro.
Così si instaurano i rapporti. Una signora di novantatré anni manda regolarmente messaggi a Giuseppina per accertarsi che stia bene; una figlia le fa trovare un mazzo di fiori, perché il primo di gennaio sua madre aveva la glicemia alle stelle e sebbene fosse il primo di gennaio, sebbene fossero le 22:00, Giuseppina ha risposto al telefono. Un signore particolarmente goloso gioisce, quando sente uscire dalla sua bocca queste parole: “Se impara a gestire le glicemie può concedersi un po’ di tutto a tavola”.
Ci sono manifestazioni continue d’affetto, perché il quarto fattore che Giuseppina, col suo lavoro, incarna, è la presenza.
«È fondamentale far sentire la propria vicinanza. È fondamentale far sentire che ci sei».
E proprio mentre la Dottoressa Giuseppina Chierici mi dice queste parole al telefono, qualcuno, su WhatsApp, mi manda un messaggio con una citazione di Tina Anselmi:
“Capii che per cambiare il mondo, bisognava esserci”.
A cura di Patrizia Dall’Argine