Il modello italiano allunga la vita
Un’analisi sulla popolazione diabetica dimostra che le persone seguite regolarmente dal centro specialistica in collaborazione con il medico di famiglia e secondo le linee guida standard riduce nettamente la mortalità
Proprio alla vigilia del congresso della Sid a Torino, sono stati pubblicati gli incoraggianti risultati di uno studio sulla popolazione del capoluogo piemontese che dimostrano che il modello italiano di cura e assistenza è in grado di allungare la vita delle persone con diabete. Chiave del risultato è lo stretto coordinamento tra il medico di famiglia e il centro di diabetologia, con visite, controlli e parametri terapeutici stabiliti dalle linee guida raccomandate.
Lo studio si intitola The impact of adherence to screening guidelines and of diabetes clinics referral on morbidity and mortality in diabetes (è stato pubblicato in lingua inglese lo scorso 4 aprile sulla rivista on line PLoS ONE, della Public library of science – www.plosone.org). Si tratta di un’indagine importante e approfondita, svolta dal gennaio 2003 al dicembre 2006, che ha seguito oltre 31mila soggetti diabetici (di tipo 1 e di tipo 2) con più di vent’anni (il 3,5% della popolazione cittadina, che conta circa 900mila persone), controllati e valutati nel tempo da un’équipe di ricercatori composta da diabetologi, epidemiologi della Regione Piemonte e del Dipartimento di salute pubblica dell’Università di Torino (guidato da Carlo Bruno Giorda, direttore della struttura complessa diabete e malattie metaboliche della Asl Torino 5, oggi presidente della Amd).
La ricerca (che porta la firma, oltre che di Giorda, anche di Roberta Picariello, Elisa Nada, Barbara Tartaglino, Lisa Marafetti, Giuseppe Costa, Roberto Gnavi) parte dalla constatazione generale che “nonostante la elevata consapevolezza che il diabete sia una delle principali problematiche sanitarie”, in tutto il mondo la qualità della cura delle persone con diabete è variabile e spesso insoddisfacente. Le ragioni sono naturalmente diverse e complesse, ma fra queste vi è la non appropriata organizzazione dell’assistenza.
Lo studio torinese mostra invece che visite periodiche ai pazienti, controllo regolare dell’emoglobina glicata e dei livelli lipidici e pressori, monitoraggio dell’occhio e dell’albuminuria, sinergia costante tra medico di base e servizio di diabetologia, secondo le linee guida raccomandate dalle associazioni dei diabetologi italiani consentono di migliorare nettamente la prognosi, la qualità e l’aspettativa di vita delle persone con diabete.
Alcune cifre lo indicano significativamente: i pazienti seguiti oltre che dal medico di medicina generale anche dal centro di diabetologia in un rapporto di regolare collaborazione vedono ridursi il rischio relativo di mortalità per tutte le cause e per la mortalità cardiovascolare del 40% rispetto ai soggetti in carico al solo medico di famiglia. Persino il rischio di tumore diminuisce del 26%, quello di amputazioni degli arti inferiori si dimezza; mentre le possibilità di infarto del miocardio e di ictus risultano più alte del 30% nel gruppo seguito dal solo medico di base. Di per sé il controllo dei pazienti da parte dei servizi diabetologici contribuisce a migliorare la prognosi a lungo termine, riducendo il rischio di decesso del 33%, percentuale che si rafforza quanto più puntualmente si rispettano le linee guida.
Giorda trae un bilancio decisamente positivo dai risultati emersi dallo studio: “Siamo riusciti a dimostrare che il modello di assistenza italiano, quando seguito secondo le sue proprie linee organizzative precise, salva la vita delle persone con diabete: si riduce la mortalità per disturbi cardiovascolari, diminuisce la mortalità in assoluto, come diciamo noi tecnici, ‘per tutte le cause’. E si riduce persino la mortalità per tumore”.
Come si spiegano questi confortanti dati? Approfondisce Giorda: “La persona con diabete, seguita, oltre che dal proprio medico di famiglia, dal centro diabetologico di riferimento, applicando tutte le procedure di esame, cura e assistenza previste dalla linee guida, e quindi visitato periodicamente, vive più a lungo. Per quanto riguarda il perché, ipotizzerei due ragioni principali. La prima è che il richiamo periodico, nella cura del diabete, ma più in generale in tutte le patologie croniche, ricorda al paziente la propria condizione di malattia e aumenta la qualità della cura. La seconda è che un controllo così stretto sicuramente incide sullo stile di vita: ecco perché diminuisce la mortalità in assoluto, e probabilmente, grazie alla stretta sorveglianza, permette di rilevare con anticipo altre malattie, come per esempio un tumore, e quindi anche in questo caso la sopravvivenza migliora”.