Prisca Hartmann Gulienetti sembra uscita da un quadro di Botticelli. Questo per definire il tipo di bellezza che incarna. Due occhi che folgorano e una cornice di riccioli biondi. E lo possiamo appurare tutti, proprio tutti, dato che Prisca è modella e basta digitare il suo nome su Google per capire di cosa sto parlando.
Poi c’è un’altra bellezza, altrettanto folgorante, altrettanto magnetica, che è quella che emerge da un’ora di intervista con lei.
Una narrazione fresca, mai banale, puntuale e introspettiva.
“Sono una persona matura, che dà il giusto peso alle cose. Ho valori semplici ma molto importanti e radicati”, mi dice. E si sente, si avverte. Da quel modo di vedere la vita come un luogo di opportunità, dove ognuno deve prendersi la propria responsabilità senza delegarla a terzi, senza puntare il dito, lavorando sodo.
Ecco, Prisca lavora sodo.
Da ragazzina lavorava sodo con lo sport. La sua passione era l’atletica, il salto in alto.
“Lo sport è stato importantissimo. Mi ha insegnato la disciplina, la determinazione, mi ha fatto comprendere attraverso la fatica e la costanza che io sola sono artefice del mio destino. È stata una scuola importantissima anche per poter assorbire l’avvento del diabete”.
Il diabete arriva a 13 anni. Prisca sta male ma non si riesce a capire da dove arrivi quel male. Fa molti esami. Mangia ma non ingrassa, si addormenta ovunque. Arriva a pesate 37 kg.
È il 31 ottobre. Lei e suo padre decidono di fare un weekend in Umbria. I giorno prima ha fatto delle analisi e stavolta hanno inserito anche un test glicemico.
“Stavo mangiando dei tagliolini. Mia mamma ha chiamato e ha detto a mia padre di partire immediatamente e andare in ospedale d’urgenza. Sono salita in macchina ed ero già in crisi glicemica. Nel mio caso, non c’era davvero più tempo da perdere”.
“E come hai accolto l’esordio?”, le chiedo.
“Il primo approccio è stato positivo. Ero stata così male che avere finalmente una diagnosi, una risposta, mi aveva restituito fiducia. Sapevo che potevo curarmi e ripartire. Il momento più difficile è arrivato invece a 16 anni. Al diabete si erano aggiunte l’anemia autoimmune e la tiroide di Hashimoto. I miei genitori erano diventati “infermieri”. Le loro domande erano sempre legate ai miei valori glicemici, mentre io avrei voluto parlare di quello che accadeva a scuola, e di come mi sentissi. Con i miei coetanei era un disastro. Soffrivo la pochezza di discorsi basati sul niente, mentre io mi dovevo salvare la vita tutti i giorni. Ero un pesce fuor d’acqua. E sono entrata in una forte depressione. Non era tanto legata all’accettazione della malattia, quanto al fatto di non avere un posto nel mondo. E poi desideravo essere indipendente. Volevo cavarmela da sola, e per farlo dovevo prendere la mia vita in mano”.
E lo fa. Comincia un percorso psicoterapeutico e poi decide di trasferirsi a Milano per studiare.
Prende la patente e si dà da fare per avere una buona glicata. Per i suoi genitori sono due condizioni importanti per dare il loro consenso.
Prisca aveva iniziato a 14 anni a fare la modella a Roma, per gioco. Ma a Milano le cose si fanno serie. Diventa un lavoro. E a Milano si scontra ripetutamente con i duri – e ottusi – dettami della moda, contro muri e resistenze legate al tema del diverso, del non conforme. Un sensore attaccato a un braccio non è conforme. Non è accettabile. Quindi è costretta a toglierlo, più e più volte. Si sente a disagio quando, in ipoglicemia, deve bere un succo di frutta e si nasconde per non sentirsi giudicata. Resiste per un po’, ma poi non ne può più. Non può più accettarlo.
Allora inizia a parlare di diabete di tipo 1 sul suo profilo Instagram (priscahg). Inizia un percorso nel quale viene coinvolta anche la sua agenzia di moda, che comprende le sue esigenze e le sta vicino. Accetta il fatto che su 30 brand ce ne sono 4 o 5 che l’accettano per quella che è. Lavora con loro. Non scende più a patti con nessuno. La sua salute smette di essere terreno di contrattazione.
Prisca mi ricorda quanto siamo ancora lontani da un’idea di moda inclusiva. Il corpo che mostra la verità, quando la verità non ci piace, diventa un corpo scomodo. Non vogliamo vedere la malattia, anche se è parte della nostra vita. Così come da sempre non vogliamo vederci invecchiare, eppure invecchieremo tutti.
Siamo lontani da quel tipo di accettazione, di apertura all’altro. Ma siamo meno lontani quando persone come lei cominciano a dire no. Ecco, il no di Prisca, è un passo in avanti per tutti. E io, per questo, la ringrazio.
E me la immagino mentre va in montagna, col suo sacco a pelo, a passare qualche giorno in solitudine. Me la immagino sul set – sta studiando recitazione – oppure dietro le quinte del set – è laureata in Regia e Produzione – appassionata di tanto, di tutto quello che tocca. Me la immagino, soprattutto, quando tra pochi giorni prenderà il volo per la Bolivia e lì passerà un mese, toccando alture oltre i 3000 metri dove i dispositivi non funzionano e dove dovrà fidarsi esclusivamente del suo sentire.
Me la immagino bellissima e combattiva. E mi immagino quanto sarebbe diverso, tutto molto diverso, se le battaglie degli altri diventassero anche nostre.
A cura di Patrizia Dall’Argine